FUNZIONE E DISCIPLINA DELLA CAUZIONE E DEL DEPOSITO PER LE SPESE NELL'ORDINANZA DI VENDITA COATTIVA IMMOBILIARE

 
Dispone l’art. 580 cod. proc. civ. che, per offrire all’incanto, occorre aver versato la cauzione stabilita nell’ordinanza di vendita e aver depositato in cancelleria l’ammontare approssimativo delle spese della vendita stessa. Sia la cauzione che il deposito per le spese devono essere restituiti subito dopo la chiusura dell’incanto se l’offerente non diviene aggiudicatario.
Ormai quasi in ogni tribunale della Repubblica, il complessivo importo della cauzione e del deposito per le spese della vendita viene fissato nel 30% del prezzo base dell’asta in una ripartizione, tra l’una e l’altra voce all’interno di detta percentuale, variabile a seconda che l’immobile debba essere venduto con assoggettamento del corrispettivo all’IVA ovvero all’imposta di registro.
La cauzione ed il deposito per le spese hanno origini normative differenti: la prima è prevista dall’art. 576, n. 5, c.p.c. come elemento necessario dell’ordinanza di vendita; il secondo, invece, è previsto nel già citato art. 580 c.p.c..
La cauzione di cui all’art. 576, n. 5, c.p.c. altro non è che l’applicazione specifica, alle vendite coattive immobiliari, del più ampio disposto dell’art. 119 stesso codice il quale disciplina questo potere impositivo del giudice stabilendo che, quando questi lo esercita, deve indicare l’oggetto della cauzione, il modo di prestarla e il termine entro cui deve essere prestata. La funzione della cauzione in discorso è quella di assicurare la serietà della partecipazione all’incanto perché, ove l’offerente divenga aggiudicatario dell’immobile al termine dell’incanto, ma non versi, entro il termine stabilito nell’ordinanza di vendita, il prezzo dell’aggiudicazione, il giudice dell’esecuzione individuale, o quello delegato al fallimento, emette un decreto, ai sensi dell’art. 587 c.p.c., con il quale lo dichiara decaduto dall’aggiudicazione e pronuncia a suo carico la perdita della cauzione a titolo di multa, provvedendo poi a disporre un nuovo incanto.
Più complessa, più ampia e più vaga è invece la funzione del deposito per le spese della vendita. Non a caso, infatti, l’art. 580 c.p.c. precisa che l’ammontare del suo deposito ha carattere “approssimativo”.
In nessuna parte del codice è specificato quale sia l’oggetto delle spese della vendita.
Sta di fatto, tuttavia, che a tale deposito si attinge, secondo le previsioni del decreto di trasferimento della proprietà dell’immobile aggiudicato di cui all’art. 586 c.p.c., per procedersi alla cancellazione sia delle iscrizioni ipotecarie non accollate allo stesso aggiudicatario ai sensi dell’art. 508 c.p.c., sia della trascrizione dei pignoramenti.
Per quanto riguarda le ipoteche gravanti sull’immobile aggiudicato, è l’art. 2878 cod. civ. a stabilire che uno dei modi della loro estinzione è proprio il provvedimento che trasferisce all’acquirente il diritto espropriato con l’ordine della cancellazione delle iscrizioni ipotecarie, mentre, parallelamente, l’art. 2884 c.c. stabilisce che detta cancellazione deve essere seguita dal conservatore dei registri immobiliari quando è ordinata dal giudice con un provvedimento divenuto definitivo.
Per quanto, invece, concerne i pignoramenti, è l’art. 2668 cod. civ. a stabilire che la relativa cancellazione deve avvenire quando è ordinata giudizialmente.
I costi delle rispettive cancellazioni sono previsti in modo variabile dalle leggi tributarie in relazione all’oggetto ed all’ammontare del credito che garantiscono e proprio per tale variabilità non possono essere predeterminati con sicurezza prima che si proceda alla loro richiesta.
La questione fondamentale che si è posta, consiste nello stabilire se sia assolutamente necessario accollare all’acquirente, sotto l’etichetta del deposito delle spese della vendita, anche quelle di cancellazione delle iscrizioni ipotecarie e della trascrizione dei pignoramenti. In altre parole, ci si è chiesti se tali spese debbano essere necessariamente poste a carico dell’aggiudicatario, ovvero se il giudice abbia la facoltà di lasciarle a carico del debitore.
E’ evidente che, ove il giudice avesse questa facoltà, potrebbe verificarsi una vendita all’incanto a condizioni meno onerose per gli offerenti e più certe riguardo agli oneri cui costoro vanno incontro. Si consideri, infatti, che, non di rado, il deposito per le spese è fissato nel 20% del prezzo offerto e, ove tale importo dovesse essere utilizzato per intero, esso inciderebbe in modo notevolissimo sul prezzo finale dell’aggiudicazione, maggiorandolo, a posteriori, in modo imprevedibile rispetto al momento dell’offerta.
Un’indicazione circa la possibile soluzione, nel senso appena indicato, del quesito più sopra posto, viene da una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione la quale ha stabilito che, in tema di vendita forzata, il giudice dell’esecuzione (o quello delegato al fallimento) può, con proprio provvedimento, porre le spese per la cancellazione delle trascrizioni ed iscrizioni gravanti sull’immobile trasferito a carico dell’aggiudicatario, anziché a carico del debitore (o della massa fallimentare), come disposto dall’art. 2878 cod. civ. e 586 cod. proc. civ. (nonché 105 legge fallimentare), poiché il principio dell’obbligo del pagamento delle spese predette a carico del debitore (o della massa fallimentare) non può dirsi inderogabile, non essendo tale inderogabilità sancita da alcuna norma di legge e non avendo esso ad oggetto situazioni soggettive indisponibili (Cass. 25 luglio 2002, n. 10909).
D’altra parte occorre anche dire che porre a carico del debitore le spese della vendita, significherebbe ridurre ancora di più i già ridotti proventi dell’espropriazione immobiliare nell’interesse dei creditori.
Si considerino, infatti, gli oneri che, comunque, gravano sul prezzo ricavato dall’aggiudicazione dell’immobile.
Innanzi tutto, vi è, in via generale, la modestia del prezzo stesso.
Come è noto, il pubblico interessato alle vendite coattive giudiziarie non è generalmente alla ricerca della casa dei propri sogni, poiché è veramente una coincidenza improbabile che, nel periodo in cui serve, si possa trovare all’asta l’immobile desiderato per ampiezza, rifinitura, ubicazione ed esposizione. Più spesso ci si avvicina alle aste immobiliari alla ricerca di un affare, di un investimento, ma proprio per questa ragione i prezzi vanno al ribasso. La domanda, infatti, non nasce per soddisfare un’esigenza abitativa o lavorativa, ma è unicamente motivata dalla speculazione che tanto più si avvantaggia, quanto più il prezzo scende. Ecco perché i prezzi delle aste immobiliari sono normalmente più contenuti rispetto a quelli del libero mercato, con conseguente contrazione della soddisfazione dei creditori.
Poi vi è l’I.C.I. che, a differenza dell’I.N.V.I.M. in vigore sino al 1992, non è a carico solidale del venditore e dell’acquirente, ma grava sul solo venditore ed il cui importo, pertanto, viene prelevato sul prezzo di vendita, non potendo essere posto a carico del solo acquirente. Tale imposta non è, quindi, una spesa della vendita da soddisfare con prelievo dal deposito per le spese eseguito dall’offerente, ma una tassa sui proventi dell’asta da defalcare prima di procedere al riparto del ricavato tra i creditori.
Inoltre vi sono le spese di custodia ed amministrazione dell’immobile quali oneri sostenuti per la sua conservazione nell’interesse dei creditori stessi.
Per vero, in caso di esecuzione individuale, il codice di rito prevede che, in via generale, la custodia venga affidata allo stesso debitore senza diritto al compenso (art. 559 c.p.c.). Quindi, se nel corso dell’esecuzione individuale non si sia ritenuto di sostituire il custode predeterminato dalla legge senza corrispettivo, non vi sono oneri aggiuntivi da soddisfare con il ricavato della vendita.
Ma nel caso in cui, invece, la vendita avvenga in sede fallimentare, il curatore, che è il custode legale dei beni spossessati in danno del fallito, ha diritto ad un compenso calcolato in percentuale sia sull’attivo realizzato, che sul passivo accertato limitatamente alla quota gravante sull’immobile subastato. Tale compenso è proporzionale per scaglioni e deve calcolarsi, in entrambi i casi, secondo un tariffario approvato con decreto ministeriale. Anch’esso verrà defalcato da quanto ricavato in sede di vendita prima di procedersi al riparto fra i creditori.
Se, oltre a questi oneri gravanti esclusivamente sui proventi dell’asta, si aggiungessero anche le spese di cancellazione delle iscrizioni ipotecarie e delle trascrizioni dei pignoramenti, probabilmente si scenderebbe a livelli tali da rendere assai poco rassicurante la garanzia immobiliare offerta dai debitori ai creditori. Tali difficoltà avrebbero quindi l’effetto di far salire i tassi degli interessi sui prestiti per compensare i maggiori rischi di insolvenza.