Massimario della Suprema Corte di Cassazione
 


Veduta di Trinità de' Monti - Roma

Sez. UN., sent. 05291 del 12/06/1997
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - ACQUISTI DEL CONIUGE DEL FALLITO - PRESUNZIONE MUCIANA - RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA EX LEGGE N. 151 DEL 1975 - OPERATIVITÀ DELLA PRESUNZIONE - COMUNIONE LEGALE - ESCLUSIONE - SEPARAZIONE DEI BENI - OPERATIVITÀ DELLA PRESUNZIONE - ESCLUSIONE - FONDAMENTO. 
A seguito della riforma del diritto di famiglia introdotta con legge n. 151 del 1975, la cosiddetta “presunzione muciana” di cui all’art. 70 della legge fallimentare, si rende inoperante sia con riguardo alle fattispecie governate dal regime di comunione legale fra i coniugi, sia con riguardo a quelle caratterizzate, invece, dal regime della separazione dei beni. Quanto alle prime, l’ostacolo alla operatività della presunzione suddetta è frapposto non tanto dall’irrilevanza, ai fini della comunione, dei profili di chi, fra i due coniugi, compia l’acquisto o della provenienza del danaro, quanto piuttosto dalla “rete di princìpi” che, a seguito della riforma, qualifica la disciplina dei rapporti patrimoniali fra i coniugi, facendone l’espressione di precisi valori costituzionali, quali quelli della parità e della pari dignità dei coniugi. Questi stessi princìpi, in quanto ispirano, quand’anche in forme del tutto diverse, anche l’istituto della separazione dei beni, laddove, nelle ipotesi da questo governate, si traducono nella tutela della effettività degli acquisti che ciascun coniuge compie, vista quale espressione della sua autonomia e della sua capacità di lavoro, rendono del pari inoperante, anche in questo caso, la cosiddetta “presunzione muciana”. Va aggiunto, del resto, come mal si comprenderebbe il rimedio della separazione giudiziale dei beni, previsto dall’art. 193 cod. civ. per il caso di disordine degli affari del coniuge in comunione, se il regime di separazione rappresentasse campo libero per l’operare della “presunzione muciana”.

Sez. 1ª, sent. 05104 del 9/06/1997 
FALLIMENTO - COMPENSO DEL CURATORE - IMPUTAZIONE ANCHE AI CREDITORI IPOTECARI - NECESSITÀ - CRITERI. 
Il creditore ipotecario deve sopportare, in parte, anche lui l’onere di quelle particolari spese che occorrono per corrispondere il compenso spettante al curatore, posto il fatto che quest’ultimo procede ad attività di amministrazione e liquidazione specificamente riferibili ai beni ipotecati e finalizzate a consentire il soddisfacimento delle ragioni del medesimo creditore ipotecario (per non parlare della preventiva verificazione ed ammissione al passivo, del credito ipotecario, che egualmente richiede un’attività da parte del curatore ed è del pari indispensabile affinché il creditore possa partecipare al concorso e far valere il proprio diritto di prelazione sul ricavato dei beni soggetti ad ipoteca). Quanto poi alla misura in cui il compenso del curatore debba essere imputato, nel piano di riparto, al ricavato delle vendite dei beni sottoposti a garanzia reale, non rinvenendosi nella legge l’indicazione di un criterio predeterminato e ferma la necessità che la valutazione venga compiuta in concreto alla luce delle circostanze riscontrabili nella singola procedura e comunque ponendo comparativamente a raffronto l’attività svolta dal curatore nell’interesse generale della massa e quella specificamente riferibile all’interesse dei creditori garantiti, non sussiste alcun ostacolo logico-giuridico all’adozione di un criterio che rispecchi il rapporto proporzionale fra il valore (da intendersi nel senso di ricavato della vendita) dei beni immobili ipotecati, rispetto a quello della restante parte dei beni liquidati nell’ambito del fallimento.

Sez. 1ª, sent. 05071 del 6/06/1997
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - PRESCRIZIONE - DECORRENZA - POSSIBILITÀ DI ESERCIZIO DEL DIRITTO - RILEVANZA - CONSEGUENZE - RIFERIMENTO ALLA DICHIARAZIONE DEL FALLIMENTO E NON ALLA DATA DELL’ATTO - NECESSITÀ - PREVIA AMMISSIONE ALL’AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA - IRRILEVANZA, SALVO CHE PER LA DECORRENZA DEL PERIODO SOSPETTO.
Il termine quinquennale di prescrizione dell’azione revocatoria fallimentare non decorre dalla data dell’atto, come avviene in tema di revocatoria ordinaria, ma dal momento della dichiarazione di fallimento, in applicazione del principio generale che la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, che non può trovare deroga nella materia fallimentare, senza che si determini il sovvertimento della normativa fallimentare diretta a tutelare la “massa” dei creditori nei termini più severi. Né, nel caso in cui l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata preceda la dichiarazione di fallimento, la decorrenza del termine può farsi risalire all’inizio di detta procedura, poiché l’azione revocatoria costituisce manifestazione di un diritto potestativo proprio del solo curatore fallimentare e non anche del commissario giudiziale dell’amministrazione controllata, cui spettano unicamente funzioni di controllo dell’attività dell’imprenditore-debitore, fermo restando che il calcolo del termine a ritroso per la determinazione del periodo sospetto decorre, invece, dalla data di ammissione alla procedura di amministrazione controllata.

Sez. 1ª, sent. 04980 del 4/06/1997 
FALLIMENTO - AMMISSIONE AL PASSIVO - DICHIARAZIONE TARDIVA DI UN CREDITO ASSISTITO DA PRIVILEGIO - DECRETO DI PARZIALE ACCOGLIMENTO - NATURA - IMPUGNAZIONE - RICORSO PER CASSAZIONE EX ART. 111 COST. - INAMMISSIBILITÀ - APPELLO - NECESSITÀ. 
Il creditore il quale abbia proposto, in via di insinuazione tardiva, una domanda di ammissione al passivo, di un credito assistito da privilegio, la quale, nonostante la mancanza di opposizione del curatore, sia stata accolta solo parzialmente dal giudice delegato, il quale, allo scopo, abbia provveduto, senza riconoscere il privilegio, con decreto adottato ai sensi dell’art. 101, terzo comma, L.F. (e perciò con modalità diverse da quelle specificamente prescritte, a tale riguardo, da tale disposizione, la quale prevede invece che il giudice delegato, quando ritenga non fondata la domanda di insinuazione, debba istruire la causa a norma degli artt. 175 segg. cod. proc. civ.), può proporre senz’altro appello avverso una tale pronuncia, con le modalità previste dall’art. 99, quinto comma, L.F., in quanto essa ha natura sostanziale di sentenza. Pertanto, si rende inammissibile, da parte sua, la proposizione del ricorso straordinario per cassazione contemplato dal secondo comma della Costituzione, il quale presuppone che il provvedimento impugnato non solo abbia carattere decisorio, ma sia anche definitivo.

Sez. 1ª, sent. 04868 del 30/05/1997
FALLIMENTO - AMMISSIONE AL PASSIVO - DICHIARAZIONE TARDIVA DI CREDITO - AMMISSIONE IN DIFFORMITÀ DALLA RICHIESTA DEL CREDITORE - NATURA PROVVEDIMENTO - NATURA - IMPUGNAZIONE - RICORSO PER CASSAZIONE - AMMISSIBILITÀ. 
L’art. 101 legge fallimentare impone che il giudice delegato possa disporre l’ammissione al passivo solo in conformità alla richiesta del creditore ed al parere del curatore (e se egli stesso ritenga fondata l’istanza); altrimenti, e quindi comunque se egli non intenda accogliere la domanda, deve provvedere all’istruzione della causa, sulla quale poi deciderà il collegio. Pertanto, il provvedimento con il quale il giudice delegato disponga l’ammissione al passivo in difformità dai rilevati presupposti è abnorme e avverso esso, in quanto avente ad oggetto diritto soggettivo, è esperibile ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, secondo comma, della Costituzione.

Sez. 1ª, sent. 04743 del 29/05/1997
FALLIMENTO - LIQUIDAZIONE DELL’ATTIVO - ESPROPRIAZIONE FORZATA IMMOBILIARE INDIVIDUALE INIZIATA PRIMA DEL FALLIMENTO - SOSTITUZIONE AUTOMATICA DEL CURATORE, AL CREDITORE, NELLA PROCEDURA INDIVIDUALE - COESISTENTE FACOLTÀ DEL CURATORE DI TRASFERIRE L’ESECUZIONE IN SEDE FALLIMENTARE - ESERCIZIO DI TALE FACOLTÀ - EFFETTI.
La disposizione di cui all’art. 107 della L.F. prevede che, se prima della dichiarazione di fallimento sia stata iniziata, da un creditore, l’espropriazione di uno o più immobili del fallito, il curatore si sostituisce, nella procedura, al creditore istante, nell’ambito di un’ipotesi di successione processuale che si rende del tutto peculiare, per il fatto di avere luogo a favore di un soggetto investito di funzioni pubbliche e di trovare la sua ragion d’essere nel divieto di azioni esecutive individuali, di cui all’art. 51 della legge fallimentare. La previsione di una siffatta sostituzione, la quale risponde alla incontestabile opportunità di mettere a profitto le attività processuali complesse e dispendiose già poste in essere per l’instaurazione della procedura esecutiva individuale e di risparmiare tempo, non esclude - tuttavia - la discrezionalità dell’ufficio fallimentare in ordine alla convenienza di continuare l’esecuzione davanti agli organi fallimentari, ovvero di non darvi più seguito, quando il fallimento possa chiudersi altrimenti, come per pagamento integrale al di fuori della liquidazione dell’attivo o per concordato; ed è solo in una tale ultima evenienza che l’azione esecutiva immobiliare pendente all’atto della dichiarazione 
di fallimento diviene improcedibile e che gli atti del relativo processo rimangono privi di effetti giuridici, non producendosi la conservazione degli effetti sostanziali del pignoramento.

Sez. 1ª, sent. 04742 del 29/05/1997 
FALLIMENTO - DIVIETO DI ESECUZIONI INDIVIDUALI - LIMITI - PREGRESSA PROCEDURA DI ESECUZIONE MOBILIARE - ESTINZIONE AUTOMATICA - ESCLUSIONE - PRONUNCIA APPOSITA DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE - NECESSITÀ - COMPETENZA A LIQUIDARE IL COMPENSO DEL COMMISSIONARIO GIÀ NOMINATO - GIUDICE DELL’ESECUZIONE - SUSSISTENZA.
La dichiarazione di fallimento non comporta la cessazione automatica del processo esecutivo cui è sottoposto il debitore fallito, occorrendo, invece, in ogni caso, un provvedimento del giudice dell’esecuzione che, dato atto del sopraggiunto fallimento, ne dichiari l’improseguibilità, su istanza di parte. Anche nell’ipotesi di esecuzione forzata dichiarata improseguibile - peraltro - non viene meno la competenza funzionale del pretore, quale giudice dell’esecuzione, di liquidare il compenso del commissionario da lui nominato (art. 533, ultimo comma, cod. proc. civ.); competenza che non potrebbe essere attribuita al giudice delegato nominato per il fallimento, giacché, con tale provvedimento, non viene data vita ad un credito nei confronti del fallito, bensì ad un credito nei confronti del creditore del fallito, il quale, avendo promosso l’esecuzione forzata, è tenuto ad anticipare le spese del processo (art. 90 cod. proc. civ.).

Sez. 1ª, sent. 04731 del 28/05/1997 
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE DI PAGAMENTI - PRESUPPOSTI - CONOSCENZA DELLO STATO DI INSOLVENZA DEL DEBITORE - SUF-FICIENZA DI UNA MERA CONOSCIBILITÀ ASTRATTA - ESCLUSIONE - CONOSCENZA CONCRETA - NECESSITÀ - DESUMIBILITÀ DA ELEMENTI PRESUNTIVI - CONFIGURABILITÀ - LIMITI.
Ai fini della “revocatoria fallimentare”, il presupposto soggettivo della cosiddetta scientia decoctionis non è integrato dalla mera conoscibilità, in astratto, dello stato di insolvenza del debitore, al momento dell’atto solutorio impugnato, ma dalla sua conoscenza effettiva e concreta, salva la possibilità che gli elementi di conoscibilità possano costituire, se valutati nella concretezza del fatto sottoposto ad esame, elementi presuntivi atti a fornire la dimostrazione della esistenza della suddetta componente soggettiva: dimostrazione di cui la curatela è onerata. Se è vero, peraltro, che sia i protesti che le procedure esecutive costituiscano elementi presuntivi atti ad ingenerare, nel creditore, la conoscenza effettiva dello stato di insolvenza del debitore ogniqualvolta i titoli protestati siano stati rilasciati allo stesso convenuto in revocatoria o siano conoscibili con l’ordinaria diligenza ed ogniqualvolta le procedure esecutive siano state promosse dallo stesso creditore convenuto, è altrettanto vero negli altri casi, sia che l’esistenza di procedure esecutive mobiliari non costituisca - di per sé - prova sufficiente dello stato di insolvenza (attesa l’assenza di forme di pubblicità), sia che, dalla considerazione che i protesti e le procedure esecutive rappresentano elementi astrattamente idonei a rivelare la crisi economica dell’imprenditore (poi) fallito, non si può far discendere la automatica conclusione che, ove il creditore non li abbia percepiti, egli non sia stato sufficientemente prudente ed accorto.

Sez. 1ª, sent. 04722 del 28/05/1997 
FALLIMENTO - CURATORE - RAPPRESENTANZA GIUDIZIALE - AUTORIZZAZIONE ALLA REVOCATORIA SENZA INDICAZIONE DELL’ATTO DA IMPUGNARE - LEGITTIMITÀ.
A norma degli artt. 25 e 31 L.F., l’unico requisito prescritto per il provvedimento col quale il giudice delegato autorizza il curatore a stare in giudizio, integrandone la capacità processuale, è la forma scritta; pertanto, nessun altro requisito essendo previsto dalle norme citate, è legittimo un provvedimento autorizzativo che si limiti a consentire l’esercizio della revocatoria fallimentare, senza indicare in dettaglio la specifica natura dell’atto che si intende impugnare con l’azione autorizzata.

Sez. 1ª, sent. 04670 del 26/05/1997 
CONCORDATO PREVENTIVO - COMMISSARIO GIUDIZIALE - COMPENSO DEL COMMISSARIO - D.M. 28 LUGLIO 1992, N. 570 - DISAPPLICAZIONE - AMMISSIBILITÀ.
Il sindacato del giudice ordinario sull’atto amministrativo, ai soli fini della sua disapplicazione al caso concreto, non è limitato alla mera violazione di legge, ma si estende anche all’accertamento del vizio di eccesso di potere, non comportando tale controllo l’esame delle ragioni di opportunità e di merito (rientranti nei poteri della p.a., incensurabili da parte dell’a.g.o.), bensì l’accertamento circa il rispetto di quei criteri generali ed astratti che debbono presiedere all’esercizio dei poteri peculiari della p.a.. Pertanto, l’atto amministrativo può essere legittimamente disapplicato dal giudice ordinario per dedotta violazione dell’art. 3 Cost., che, costituendo un principio generale di diritto condizionante l’intero ordinamento nella sua obiettiva struttura ed esprimendo un generale canone di coerenza dell’ordinamento normativo, individua proprio l’eccesso di potere dell’organo amministrativo, il quale, se non si uniforma a tale principio, finisce per eccedere i limiti della propria competenza (nella specie, la s.c., alla stregua dell’enunciato principio, ha confermato il provvedimento del giudice del merito che aveva disapplicato la norma regolamentare, di cui al d.m. n. 570 del 1992, sulla liquidazione del compenso al commissario giudiziale alla procedura di concordato preventivo, ritenendolo posto in violazione dell’art. 3 Cost.).

Sez. 1ª, sent. 04598 del 22/05/1997 
FALLIMENTO - CURATORE - POTERI - RICHIESTA ALLA BANCA DI TRASMISSIONE DELLA DOCUMENTAZIONE CONCERNENTE I RAPPORTI DI CONTO CORRENTE INTESTATI AL FALLITO - OBBLIGO DI ADEMPIMENTO DELLA BANCA - SUSSISTENZA - LIMITI.
In virtù del principio di buona fede, operante non solo in sede d’interpretazione e di esecuzione del contratto (artt. 1366 e 1375 cod. civ.), ma anche quale fonte d’integrazione della stessa regolamentazione contrattuale (art. 1374 cod. civ.), al curatore che richiede la documentazione concernente i rapporti di conto corrente intestati al fallito, sul presupposto di non avere avuto la possibilità di procurarseli direttamente da quest’ultimo e per la necessità che la sua carica gli impone di ricostruire le vicende del patrimonio del fallito, la banca ha l’obbligo di trasmettere la richiesta documentazione, sebbene a spese del richiedente, senza poter replicare di averla già in precedenza trasmessa al fallito stesso. Nel formulare la richiesta, il curatore non ha l’obbligo di indicare in dettaglio gli estremi dei documenti bancari dei quali vuole ottenere la consegna tuttavia, deve fornire quegli elementi minimi indispensabili per consentire l’individuazione degli stessi e, nel caso in cui la banca neghi l’esistenza dei documenti in questione, è pur sempre il curatore a dover dimostrare, anche a mezzo di presunzioni, che, viceversa quei documenti esistono e, perciò, la banca è tenuta a consegnarli. 

Sez. 1ª, sent. 04590 del 22/05/1997 
FALLIMENTO - DECRETO DEL GIUDICE DELEGATO, DI ASSEGNAZIONE DI UN TERMINE EX ART. 72, COMMA 3 - RECLAMO - PROVVEDIMENTO DEL TRIBUNALE FALLIMENTARE - IMPUGNAZIONE CON RICORSO EX ART. 111 COST. - ESCLUSIONE.
Il decreto del giudice delegato, reso a norma dell’art. 72, comma terzo, della L.F., sulla richiesta di assegnazione di un termine al curatore, per l’eventuale subingresso, al fallito, in un contratto non ancora eseguito alla data del fallimento, integra un atto interno di carattere ordinatorio, inerente alla gestione del patrimonio fallimentare, reclamabile davanti al tribunale ex art. 26 della L.F., mentre, contro il provvedimento di quest’ultimo, deve essere negata l’esperibilità del ricorso per cassazione a norma dell’art. 111 della Costituzione.

Sez. 1ª, sent. 04358 del 16/05/1997 
FALLIMENTO - VENDITA NON ESEGUITA - SENTENZA EX ART. 2932 COD. CIV. NON ANCORA PASSATA IN GIUDICATO - FACOLTÀ DI SCELTA DEL CURATORE, FRA L’ESECUZIONE E LO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO - ESERCIZIO AL DI FUORI DEL GIUDIZIO - AMMISSIBILITÀ.
Fino al passaggio in giudicato di una sentenza ex art. 2932 cod. civ. di trasferimento della proprietà di un bene al promissario acquirente, il curatore conserva intatto il potere di scegliere fra l’esecuzione del contratto e lo scioglimento del contratto preliminare. Infatti, l’art. 72, comma quarto, L.F., nell’escludere lo scioglimento del contratto se la cosa venduta è già passata in proprietà del compratore, considera l’ipotesi dell’effetto traslativo prodotto dal contratto di vendita, cui non è certo assimilabile - al di là di ogni effettuata trascrizione della domanda - il mero effetto processuale che una sentenza ex art. 2932 cod. civ., finché non passi in giudicato, riesce a produrre. A tal riguardo, ai fini dell’esercizio e dell’estrinsecazione della sua volontà di sciogliersi dal “preliminare di vendita”, il curatore ben ha il potere di esercitare una tale volontà in via stragiudiziale, allorché la formulazione dell’eccezione di scioglimento del contratto non si renda possibile nell’ambito del processo, per ragioni di ordine generale quali quelle attinenti ai limiti propri del giudizio di legittimità. Ed infatti, la facoltà di optare per lo scioglimento non si caratterizza nel senso di un’azione di impugnazione negoziale in quanto tale, da esercitarsi esclusivamente nel processo.

Sez. 1ª, sent. 04351 del 16/05/1997 
FALLIMENTO - EFFETTI - AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - ATTI A TITOLO ONEROSO, PAGAMENTI E GARANZIE IN GENERE - SCIENTIA DECOCTIONIS - PROVA - CONFERIMENTO DI AZIENDA - FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ CONFERITARIA - CONOSCENZA DELL’ESPOSIZIONE PATRIMONIALE DELL’AZIENDA CONFERITA - RILEVANZA.
Quando è conferita in società un’azienda, il conferimento equivale - con riferimento ai debiti dell’azienda conferita risultanti dai libri contabili - ad una cessione d’azienda in favore della società conferitaria e pertanto, ai sensi dell’art. 2560 cod. civ., il cessionario è responsabile al pari del cedente di detti debiti verso i terzi creditori che, a prescindere dalla regolamentazione dei rapporti interni tra le parti, possono pretendere l’adempimento anche immediatamente dal cessionario. Ne consegue che, ai fini della valutazione della esposizione patrimoniale della società conferitaria, va tenuto conto anche delle responsabilità per i debiti delle aziende conferite, onde, nel caso in cui, fallita la società conferitaria, il curatore agisca per la revoca dei pagamenti ex art. 67 L.F., la prova della scientia decoctionis da parte dell’accipiens può essere tratta, per via presuntiva, anche dalla conoscenza dell’esposizione patrimoniale delle aziende conferite.

Sez. 1ª, sent. 04345 del 16/05/1997 
FALLIMENTO - EFFETTI PER IL FALLITO - ATTI SUCCESSIVI ALLA DICHIARAZIONE - CONTO CORRENTE BANCARIO - VERSAMENTI SUL CONTO - INTEGRALE RESTITUZIONE - NUOVA IMPRESA DEL FALLITO - RESTITUZIONE LIMITATA.
Quando il fallito, dopo l’apertura della procedura concorsuale, instauri un rapporto di conto corrente bancario senza fido con una banca, i versamenti su di esso eseguiti devono essere integralmente restituiti al curatore anche nell’ipotesi in cui la banca abbia utilizzato in tutto o in parte la provvista per effettuare il pagamento di assegni a favore di terzi. Tale regola può subire eccezioni solo quando le operazioni compiute sul conto corrispondano ai movimenti finanziari di una nuova impresa di cui il fallito sia titolare, nel qual caso la banca dovrà restituire soltanto il saldo attivo risultante dalla differenza tra i versamenti ricevuti e i pagamenti effettuati in funzione di passività affrontate per la gestione dell’impresa. 

Sez. 1ª, sent. 04310 del 15/05/1997 
FALLIMENTO - CURATORE - RAPPRESENTANZA GIUDIZIALE - AUTORIZZAZIONE A STARE IN GIUDIZIO RILASCIATA SOLO IN APPELLO - EFFICACIA SANANTE EX TUNC - SUSSISTENZA - LIMITI.
L’autorizzazione a promuovere un’azione giudiziaria, conferita, ex artt. 25, n. 6, e 31, L.F., al curatore del fallimento dal giudice delegato, copre, senza bisogno di una specifica menzione, tutte le possibili pretese e istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento del previsto obiettivo principale del giudizio cui l’autorizzazione si riferisce.
La mancanza di autorizzazione, da parte del giudice delegato, al curatore, perché svolga attività processuale (nella fattispecie: l’esperimento dell’azione revocatoria ex art. 64 L.F.), essendo attinente all’efficacia di attività processuale nell’esclusivo interesse del fallimento procedente, è suscettibile di sanatoria, con effetto ex tunc, anche mediante l’autorizzazione per il giudizio di appello, sempre - però - che l’inefficacia degli atti non sia stata, nel frattempo, già accertata e sanzionata dal giudice.

Sez. 1ª, sent. 04255 del 14/05/1997 
FALLIMENTO - ACCERTAMENTO DEL PASSIVO - TRIBUTI - INDENNITÀ DI MORA MATURATA SUCCESSIVAMENTE ALLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - AMMISSIBILITÀ AL PASSIVO.
Nel regime dell’art. 30 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, l’indennità di mora (soppressa a far tempo dal 1º gennaio 1990 e sostituita con gli interessi semestrali di mora, in conseguenza dell’entrata in vigore del D.P.R. 20 gennaio 1988, n. 43) confrontata al fatto oggettivo dell’omesso pagamento nel termine, con due tassi unici e forfettari non ragguagliati alla durata del ritardo nella soddisfazione del credito di imposta, costituisce un accessorio naturale e necessario del tributo come indennizzo forfettario avente il medesimo carattere pubblicistico del tributo stesso, che fa carico all’obbligato per una causa oggettiva indipendentemente da ogni soggettiva valutazione del comportamento dell’obbligato e da ogni possibilità di indagine sull’imputabilità dell’inadempimento, con la conseguente ammissibilità al passivo fallimentare del credito per la suddetta indennità di mora, maturata successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Sez. 1ª, sent. 03667 del 28/04/1997 
FALLIMENTO - EFFETTI PER IL FALLITO - CONTENZIOSO TRIBUTARIO - LEGITTIMAZIONE DEL FALLITO AD IMPUGNARE - DECORRENZA DEL TERMINE - NOTIFICA DELL’ACCERTAMENTO AL FALLITO - RIMESSIONE IN TERMINI DEL CURATORE - ESCLUSIONE.
L’accertamento tributario inerente a crediti, i cui presupposti si siano verificati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al curatore, ma anche al contribuente il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi, anche sanzionatori, che conseguono alla definitività dell’atto impositivo. Da ciò deriva che il fallito, nell’inerzia degli organi fallimentari, è eccezionalmente abilitato a provvedere alla tutela giurisdizionale ad essi correlata, sicché, pur in mancanza di una esplicita prescrizione normativa al riguardo, deve ritenersi che il curatore non è gravato da un mero onere di informazione nei confronti del fallito, ma è obbligato a trasmettergli tutti gli atti relativi a quelle situazioni giuridiche che siano suscettibili di incidere, dopo la chiusura del fallimento, nella sua sfera patrimoniale; pertanto, allorquando il curatore si sia disinteressato del rapporto tributario sorto nei confronti del fallito, il termine per impugnare l’atto di accertamento non decorre nei suoi confronti se non dal momento in cui l’accertamento stesso sia portato a sua conoscenza. Peraltro, la opposizione del fallito non vale a rimettere in termini il curatore che, ricevuta la notificazione dell’avviso di accertamento, abbia tralasciato di attivarsi con la proposizione dell’opposizione nei termini di legge.

Sez. 1ª, sent. 02936 del 4/04/1997 
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - REVOCA DI PAGAMENTO DI SOMMA DI DENARO - CONSEGUENTE RESTITUZIONE - FUNZIONE RISARCITORIA - CONSEGUENZE - DEBITO DI VALORE - RIVALUTAZIONE MONETARIA - INTERESSI SULLA SOMMA RIVALUTATA.
L’obbligazione restitutoria conseguente all’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare ha la natura di debito di valore anche quando suo oggetto sia il pagamento di una somma di denaro, in considerazione della funzione indennitaria dell’azione, tendente ad elidere le conseguenze di atti posti in essere in pregiudizio delle ragioni dei creditori e della qualificabilità dell’obbligazione restitutoria come obbligazione nascente da fatto illecito, il cui elemento oggettivo è la sottrazione di beni della massa e quello soggettivo la consapevolezza di violare le regole della par condicio creditorum. Ne consegue l’assoggettamento del debito restitutorio alla rivalutazione monetaria, al fine di assicurare la corrispondenza tra valore sottratto e valore restituito, mentre la computabilità degli interessi legali sulla somma rivalutata deriva dalla necessità di compensare specificamente il danno da ritardo. (Nella specie non è stata idoneamente sottoposta alla S.C. la questione della decorrenza degli interessi.)

Sez. 3ª, sent. 02869 del 2/04/1997 
FALLIMENTO DEL LOCATORE - DECRETO DI TRASFERIMENTO DEL BENE DEL FALLITO - OPPOSIZIONE DEL CONDUTTORE AL RILASCIO DI ESSO AI SENSI DELL’ ART. 615 COD. PROC. CIV. - AMMISSIBILITÀ.
Il conduttore di un bene immobile, per il quale è stata avviata l’esecuzione per rilascio nei confronti del fallito in base ad un decreto di trasferimento - provvedimento non assimilabile ad una sentenza, per cui non è opponibile ai sensi dell’art. 404 cod. proc. civ. - del giudice delegato per la procedura fallimentare, può opporsi ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., senza contestare la legittimità di tale titolo esecutivo, facendo valere il suo anteriore diritto personale di godimento, ostativo dell’esercizio dell’azione esecutiva nei suoi confronti.

Sez. 1ª, sent. 02727 del 27/03/1997 
FALLIMENTO - PROCEDIMENTO - AUDIZIONE DELL’IMPRENDITORE SOCIETÀ DI CAPITALI - AVVISO DI CONVOCAZIONE IN CAMERA DI CONSIGLIO - NOTIFICA - OMISSIONE PER IRREPERIBILITÀ NELLA SEDE SOCIALE DI PERSONE LEGITTIMATE A RICEVERE L’ATTO - NOTIFICA EX ART. 140 COD. PROC. CIV. - NECESSITÀ - ESCLUSIONE.
In tema di fallimento di una società di capitali, qualora la notifica dell’avviso di convocazione del soggetto interessato sia omessa per essere irreperibili persone legittimate a ricevere l’atto nella sede sociale indicata nei pubblici registri e non sia neppure possibile notificare l’atto al rappresentante legale della società ai sensi dell’art. 145, terzo comma, cod. proc. civ., per non esser indicati nell’atto il nome e il domicilio dello stesso, si devono ritenere rispettate le condizioni per l’instaurazione del contraddittorio previsto dall’art. 15 L.F., senza che sia necessario procedere alla ulteriore notifica secondo le modalità stabilite dall’art. 140 cod. proc. civ., in quanto, indipendentemente dall’applicabilità alle persone giuridiche del rito ivi previsto, il ricorso a questo procedimento è incompatibile con le esigenze che presiedono alla disciplina della dichiarazione di fallimento.

Sez. 1ª, sent. 02439 del 19/03/1997 
FALLIMENTO - ACCERTAMENTO DEL PASSIVO - DOMANDA DI AMMISSIONE DEL CREDITORE - RISERVA DI DEPOSITARE IL TITOLO SUCCESSIVAMENTE ALL’APPROVAZIONE DELLO STATO PASSIVO - AMMISSIBILITÀ.
Dalla disposizione del n. 2 dell’art. 113 L.F. - secondo cui i creditori che si siano riservati di presentare il titolo del proprio credito non sono esclusi dalle ripartizioni parziali, ma la loro quota viene accantonata sino alla ripartizione finale, fermo restando che in tale sede il pagamento del credito nella percentuale spettante resta subordinato alla presentazione del titolo - si desume che i crediti risultanti da documentazione che il creditore si riservi di depositare successivamente all’approvazione dello stato passivo, non possono essere esclusi, in quanto la produzione della documentazione giustificativa è necessaria solo all’atto della ripartizione finale dell’attivo fallimentare.


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