Novità legislative

Note di variazione IVA
e procedure concorsuali
di Luigi Lucchetti

 

Problemi di interpretazione e prima applicazione dovuti a due recenti modifiche all’art. 26 del D.P.R. 633/72
Quando il legislatore mette mano alla materia tributaria-fallimentare, 
crea sempre incertezze e dubbi agli operatori.
* * *

E’ stato così sia quando è stata introdotta la tassa di Concessioni Governative sulle società e la Tassa sulla Partita IVA ma, andando indietro, non si possono dimenticare, ad esempio, la lunga querelle in materia d’imposte dirette sull’individuazione di insussistenze passive nella riduzione dei crediti conseguente all’omologazione del concordato preventivo o quella, ancora non risolta, della qualificazione del curatore come sostituto d’imposta.
Tanto per rimanere nel solco della tradizione d’incertezza sopra ricordata, la legge di conversione del D.L. sulla manovra finanziaria [1] ha introdotto una novità di assoluto rilievo, eppure non abbastanza dibattuta sulla stampa specializzata ed ancora non commentata ufficialmente con una circolare ministeriale. 
Ci si riferisce alla modifica dell’articolo 26, secondo comma, del D.P.R. 633/72, con la previsione della possibilità di recuperare l’IVA su fatture emesse nei confronti di soggetti ammessi a procedure concorsuali o nei cui confronti sono state esperite procedure esecutive rimaste infruttuose.
Secondo la novella può essere emessa una nota di variazione dell’IVA anche per “...mancato pagamento in tutto o in parte a causa dell’avvio di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose...”.
La nota di variazione deve essere registrata dal creditore a norma dell’articolo 25 (in pratica nel registro degli acquisti), mentre il debitore (fallito o assoggettato ad altre procedure concorsuali minori) o meglio, colui che in base alle norme IVA vi è tenuto, in conseguenza del nuovo status dell’impresa, deve registrarla sul registro delle fatture (o dei corrispettivi se l’attività svolta dall’impresa richiedeva quest’ultimo tipo di registro).
Secondo la formulazione dell’articolo 26 del D.P.R. 633/72 dopo questa prima modifica, tale facoltà si appalesava come un vero e proprio diritto potestativo del creditore (Apice ha parlato di “autoriduzione” dell’IVA 
da parte del creditore [2]), al quale l’impresa del debitore non può sottrarsi. Inoltre essa non è soggetta al termine di decadenza annuale, previsto dal terzo comma dell’art. 26 citato.
Purtroppo l’analisi di quella prima modifica non può giovarsi del dibattito parlamentare, che meglio avrebbe potuto aiutare a chiarire le intenzioni del legislatore, in quanto venne introdotta in sede di conversione del collegato alla finanziaria 1996 con un voto di fiducia.
Le modifiche apportate all’articolo  in commento non sono però terminate. Infatti la legge 28 maggio 1997 n° 40, in sede di conversione del D. L. 28.3.1997 n° 79, ha introdotto l’articolo 13 bis, che ha ulteriormente modificato il contenuto dell’ormai tormentato 2° comma dell’articolo 26 del D.P.R. 633/72.
Le novità non sono di poco conto, in quanto sono state soppresse le parole “dell’avvio” introdotte con la prima modifica, ed è stato precisato che “la disposizione ... si applica anche a tutte le procedure in corso e a quelle avviate a decorrere dalla data del 2 marzo 1997”.
Soprattutto la soppressione delle parole “dell’avvio” operata con l’ultima modifica in ordine di tempo, sembra gravida di conseguenze.
Per dimostrare l’ampiezza e la gravità dei problemi aperti, nonché la necessità di un ulteriore ritocco  e di una norma transitoria (a meno ché all’ultima modifica non si voglia forzatamente riconoscere carattere interpretativo della prima e quindi, con efficacia ex tunc), occorre procedere alla disamina delle novità secondo il seguente iter logico:

1] analizzare il nuovo testo dell’articolo 26 prima dell’ulteriore modifica introdotta con l’art. 13bis della legge 140/1997;
2] esaminare il testo attuale dell’articolo 26;
3]confrontare le due diverse situazioni giuridiche e trarre le conclusioni.
 

1]Esame del testo dell’art. 26 prima dell’ultima modifica. 
Vista la norma dal lato del creditore, non mi pare sussistano particolari problemi d’ordine interpretativo. 
Dal momento in cui egli avrà notizia dell’apertura di una procedura concorsuale, potrà emettere una nota di variazione per l’importo corrispondente all’IVA sulle fatture emesse nei confronti del debitore e spedirla a chi rappresenta il debitore stesso in base alle norme vigenti in materia di IVA (che si ricorda sono: il curatore nel caso del fallimento; il legale rappresentante nel caso di concordato preventivo e amministrazione controllata; il commissario liquidatore in caso di liquidazione coatta amministrativa).
È opportuno che il documento contenga l’indicazione della data e del numero di fattura cui la variazione d’imposta si riferisce. 
Poiché le istruzioni alla compilazione dell’ultima dichiarazione IVA (fin troppo semplificate in questo caso!) non riportano un’analoga istruzione contenuta negli anni precedenti, si rammenta che l’importo corrispondente alle variazioni negative d’imposta va indicato nella dichiarazione IVA nel quadro relativo agli acquisti, al rigo corrispondente agli arrotondamenti.
Il creditore può eseguire questa operazione in ogni tempo. Il tenore della norma non subordinava la facoltà di emettere la nota di variazione al riconoscimento in sede concorsuale del credito. Inoltre essa  sembrava al limite esercitabile anche dopo la chiusura della procedura concorsuale. 
Nel caso in cui il creditore intendesse far valere questo suo diritto prima che lo stato passivo sia reso esecutivo, egli ben potrà chiedere l’ammissione del proprio credito per la sola parte relativa all’imponibile. Gli organi fallimentari non potranno che prenderne atto.
In questo modo il creditore, che nel caso statisticamente più frequente, ben che vada, avrà una soddisfazione solo parziale del proprio credito, recupera integralmente l’imposta e non ne resta inciso, per il solo fatto di aver emesso la fattura.
Posto che la modifica introdotta attribuisce al creditore il diritto-potere di emettere la nota di variazione (appunto è l’avvio della procedura concorsuale che determina, ipso jure, il diritto ad emettere la nota di variazione IVA), resta da stabilire in quale misura potrà recuperare l’imposta nel caso in cui abbia percepito acconti sulla fattura emessa.
La risposta al quesito non sembra che possa trovare una soluzione pacifica nel testo stesso della modifica all’articolo 26, nel quale il pagamento parziale della fattura rileva solo come  una delle condizioni per poter emettere la nota di variazione (l’altra è l’esistenza di una procedura concorsuale o una procedura esecutiva individuale ove il credito sia stato incapiente). 
La riduzione dovrebbe essere proporzionale (in tal senso si esprime anche Apice), se è vero che le modifiche in esame sono state introdotte per recepire il principio stabilito nella lettera C), paragrafo 1, dell’art. 11 della Direttiva comunitaria sull’IVA n° 78/388, la quale prevede che “...in caso di non pagamento totale o parziale o di riduzione di prezzo dopo che l’operazione è stata effettuata, la base imponibile viene debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli stati membri”.
Tra i presupposti per l’emissione del documento fiscale non ricorre l’ammissione del credito al fallimento, né il riscontro nella contabilità del debitore fallito della registrazione della fattura alla quale la nota si riferisce.
Il creditore rimane unico arbitro della scelta se partecipare o meno al concorso, presentando o meno la domanda di ammissione al passivo. Né può subire le conseguenze dell’omissione o di una non precisa tenuta della contabilità da parte del debitore fallito (caso frequentissimo).
La modifica presenta qualche problema se analizzata dal lato del curatore fallimentare.
Nel caso in cui il credito per l’IVA sia stato già ammesso al passivo, si porrebbe, per gli organi della procedura, un duplice ordine di problemi:
- quello della variazione dello stato passivo già reso esecutivo;
- quello della sorte del debito IVA che potrebbe determinarsi in capo al fallimento a seguito della registrazione delle note di variazione.
Sotto il primo profilo, se si considera che l’emissione della nota di variazione è strumentale alla determinazione di un credito di importo corrispondente verso l’Erario, da farsi valere il primo mese o trimestre utile, non escludo che i Tribunali (o i singoli giudici delegati) dovranno considerare la nota di variazione IVA anche in assenza di una dichiarazione espressa di tal senso, una sostanziale rinunzia parziale al credito nei confronti del fallimento, ed apportare le conseguenti variazioni allo stato passivo. 
Qui sarà interessante verificare quale prassi si affermerà. Al momento però è preferibile restringere la dissertazione agli aspetti più propriamente di carattere tributario.
La seconda questione non è di scarso rilievo, poiché il sistema di liquidazione del debito IVA costruito dal D.P.R. 633/72, si fonda sulla registrazione del documento rilevante agli effetti di quell’imposta e il debito, ancorché di competenza di un periodo certamente anteriore all’inizio della procedura concorsuale, diviene liquido ed esigibile in un momento successivo e va ad interferire con le operazioni soggette all’imposta poste in essere dal curatore, con effetti sulle liquidazioni dell’imposta successive all’inizio della procedura concorsuale.
Quale sorte seguirà, dunque, l’eventuale debito IVA che si determinasse conseguentemente alla ricezione, da parte del curatore, delle note di variazione emesse dai creditori?
La risposta, anche in questo caso, non sembra agevole. 
L’analisi deve comunque muovere, si ritiene, dalla lettera dell’articolo 111 della L. F., che detta le regole sulla distribuzione dell’attivo. 
Il debito d’imposta eventualmente determinatosi a seguito della registrazione delle note di variazione non trova alcuna collocazione nell’ordine di ripartizione delle somme, in quanto non può essere considerata né spesa di amministrazione della procedura, né un credito anteriore, perché divenuto liquido ed esigibile (da parte dell’Erario) solo dopo l’apertura del fallimento.
Si aggiunga che il sistema concorsuale non può tollerare che un credito anteriore, vantato da un qualsiasi  creditore, si trasformi in un debito di massa (prededucibile), per quanto vantato dall’Erario.
Tanto per fornire un’indicazione di carattere tecnico, l’imposta corrispondente alle note di variazione deve essere dichiarata (dal lato del debitore) nella sezione dell’IVA sulle operazioni imponibili, nella casella “arrotondamenti e variazioni d’imposta”. La parte imponibile, cui ovviamente il creditore non ha rinunciato, non deve essere indicata e non concorre alla determinazione del volume d’affari.
Ai pratici non sfuggirà, però, che l’indicazione del debito d’imposta in dichiarazione (cui sono tenuti), non seguita dal versamento, sarà certamente foriera di attività di accertamento da parte degli Uffici IVA, con conseguenze che saranno di certo non tranquillizzanti per gli incolpevoli curatori.
Nella costruzione disegnata dalla novella manca la previsione di un meccanismo, che andrebbe collocato all’interno dell’articolo 74 bis del D.P.R. 633/72, in grado di “sterilizzare”  gli effetti delle note di variazione sulla dichiarazione IVA dei periodi d’imposta post-fallimentari.
Se poi ci addentrassimo nell’analisi dell’impatto pratico della novità in commento sul concordato preventivo, avremmo una conferma che il legislatore si è preoccupato evidentemente esclusivamente di introdurre una norma di favore per i creditori, incurante dei problemi che si aprono dall’altro lato. 
Il debito d’imposta che verrebbe così determinato, andrebbe comunque ad incidere  sui beni ceduti ai creditori, il che importerebbe una sua valutazione anche nella fase dell’omologazione del concordato, sotto il profilo della sufficienza del patrimonio in relazione alla percentuale concordataria offerta i creditori chirografari.
 

2]Esame del testo seguente all’ulteriore modifica introdotta con l’art. 13 bis della legge n° 140/1997 [3] . (torna su)

La soppressione delle parole “dell’avvio”  comporta che non è la mera dichiarazione di fallimento a determinare il diritto all’autoriduzione dell’imposta mediante l’emissione della nota di variazione, ma si deve acquisire la certezza della perdita del credito vantato verso l’impresa assoggettata a procedura concorsuale (in tal senso anche Assonime, circolare n° 64 del 9.6.1997).
È evidente che è stata notevolmente ridotta la portata del beneficio per i creditori rispetto alla prima modifica che, sebbene tecnicamente mal formulata, recepiva un’istanza di giustizia sostanziale del ceto creditorio. Ora, infatti, si dovrà attendere l’esito della liquidazione concorsuale, salvo forse il caso dell’omologa del concordato preventivo, nel qual caso la percentuale di riduzione è già nota in partenza ed è fatta salva, eventualmente, la possibilità di una ulteriore riduzione per il mancato rispetto della previsione concordataria.
 

3]Confronto tra le due situazioni. (torna su)

La situazione del creditore è evidentemente molto diversa prima della modifica della modifica (sic!) dell’articolo 26 D.P.R. 633/72 e, per gli argomenti sopra svolti, anche quella del curatore, che attualmente pare nella condizione di poter respingere la nota di variazione emessa prima che il riparto sia stato reso esecutivo, mentre prima doveva subire l’esercizio del diritto del creditore e porsi il problema del versamento dell’imposta.
Non sembra che la soppressione delle parole “dell’avvio” abbia chiara natura di interpretazione autentica. In tal caso quid juris per le note di variazione emesse prima del 29 maggio 1997 (data di pubblicazione della suddetta legge di conversione n° 140/1997)


Note

[1]  L. 28.2.1997 n° 30 - Conversione in legge, con modificazioni, del  D.L. 31.12.1996 n° 669; -torna la testo

[2] Il Fisco n° 20 - 1997 -torna la testo

[3]  Il testo coordinato del D.L. 28.3.1997 n° 79 e della legge di conversione, con modificazioni, n° 140 del 28.5.1997 è stato pubblicato sulla G. U. N° 150 del 30.6.1997 -torna la testo


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