Storia e Storie
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Cose d'altri tempi
 

Dalle pagine ingiallite di un repertorio di giurisprudenza, riprendono vita i personaggi di una remota vicenda giudiziaria...
 

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FATTO : Nel 5 agosto 1884 il comm. Francesco Brioschi senatore del Regno, ecc., quale presidente del Consiglio d’amministrazione della Società anonima detta «Fabbrica lombarda di prodotti chimici» residente in Milano, presentò al Tribunale di commercio di questa città il bilancio di essa Società, secondo il quale avevasi un attivo superante il passivo di appena L. 666.841,09, ed appoggiandosi a cotesta affermazione chiese di convocare i creditori, a fin di deliberare sulla proposta di una moratoria.
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Milano, 29 dicembre 1885
La Corte d’appello...
Capone Presidente ed estensore...
Ma ben tosto fu visto esserne affatto rovinata l’azienda a segno, che il medesimo comm. Brioschi, prima che se-guisse la convocazione dei creditori da lui sollecitata, domandò tosto l’apertura del fallimento della Società, che venne dichiarato con sentenza del 20 agosto 1884. Indi a poco il curatore provvisorio, rag. Maglione, con suo rap-porto 5 ottobre, dimostrò il passivo ammontare a L. 18.086.073,72 rispet-to ad un attivo di L. 12.617.489,29, e quindi un disavanzo di ben L. 5.468.554,43.
Nel periodo di verifica dall’8 ottobre all’8 novembre presentaronsi 168 creditori rappresentanti L. 14.459.371,73. Ne furono ammessi 163 per 
L. 11.418.839, e se ne impugnarono 10 per L. 2.040.531,98 oltre le liti contestate per pegni o per rivendicazioni.
Intanto nove creditori chiamarono in giudizio gli amministratori ed i sindaci a rispondere della gestione dalla Società fallita, e tre, ai quali, in corso di causa, si aggiunse un quarto, domandarono la retrotrazione della data del fallimento. Si iniziarono inoltre otto procedure per ricognizione di crediti. Quattro per rivendicazioni di merci. Un’altra per ammissione di conto corrente a carico Böheringer e Gaye, e finalmente un’altra ancora per validità di pegno.
Tre creditori, con un quarto che fece volontario intervento, chiesero si mandasse a tre anni addietro la data del fallimento. Ma il Tribunale, con sentenza del 7 novembre 1884, fissolla invece soltanto al 5 agosto di quell’anno. A cotesto pronunziato contraddissero le due Ditte oggi appellanti. Intanto questa lite insieme a tutte le altre enumerate nell’atto di chiusura della verificazione dei crediti, il Tribunale, con altra sentenza del 30 aprile 1885 (non mai appellata), differì a dopo la decisione su di alcune opposizioni al concordato, assegnandole tutte per l’udienza del 25 maggio seguente.
All’8 gennaio 1885 il giudice delegato al fallimento indisse la convocazione dei creditori per il seguente febbraio, perché, fra l’altro, avessero «a pronunziarsi su quella o quelle eventuali proposte di concordato che venissero presentate». - «E sulla continuazione o meno dell’ulteriore esercizio provvisorio, ove non venissero presentate, o se presentate non venissero accettate le proposte di concordato».
Ricavasi dal processo verbale di quell’adunanza, che dei 168 creditori, ne comparvero soli 59, rappresentanti la somma di L. 6.869.267,37, compresi quelli che vantavano pegno. Il curatore, nella relazione che presentò all’assemblea, dopo esposto quanto aveva operato nell’amministrazione, fra l’altro notò che la delegazione dei creditori sovente, insieme a lui, cercò «quali fossero stati i mezzi migliori per attuare un concordato», ed accennando a vari tentativi non approdati, dice anche come «furono iniziate pratiche eziandio presso gli amministratori, affinché sborsassero una somma per allargare il riparto derivante dalla situazione»... E poco appresso soggiunge «come non per atto di negligenza, ma per la convinzione di raggiungere, per diversa via, uno stesso scopo, egli si astenne fino ad oggi dal promuovere una causa contro gli ex amministratori, per obbligarli ad un concorso pecuniario. Ché se riuscissero vane le pratiche per un concordato, dovrebbero essere in altro modo tutelati gl’interessi della massa verso gli ex amministratori». Procedendo da ultimo a determinare i risultamenti attivi, affermò di credere possibile potersi ottenere un pro rata del 20 per cento per ciascun creditore. Appare altresì da quel processo verbale che non vi fu mosso alcuno appunto e soltanto l’avv. Adamoli, al quale assentirono molti altri, chiese che si stampasse la lettasi relazione. Indi il signor Annibale Bignami, qual procuratore del sig. Vincenzo Terruggia, già uno degli amministratori della fallita Società, lesse la seguente proposta: «Il sig. Vincenzo Terruggia offre ai creditori in via di concordato la percentuale del 20 per cento, e questa a piena estinzione dei loro crediti, e verso rinuncia da parte di essi creditori di ogni attività, diritto e pertinenza della cessata Società denominata Fabbrica lombarda di prodotti chimici e di ogni diritto o pretesa che in dipendenza dei loro crediti potesse eventualmente spettare anche contro i cessati amministratori di titolo di responsabilità, per l’esercizio del loro mandato, e si riserva di completare tale offerta col presentare, in un prossimo termine, una o più persone che garantiscano l’offerta stessa o la corrispondente esecuzione del concordato». A cotesta proposta gli avvocati Luzzato e Rossi dissero di accettarla per i rispettivi clienti, purché il non ancor noto garante fosse stato di loro piena soddisfazione. L’avv. Crespi, non trovando ancora completa la proposta di concordato, affermò non potersi deliberare dall’assemblea sulla proposizione Luzzato-Rossi. Poscia, interpellatisi i presenti: «A seguito di regolare proclamazione fatta ad uno ad uno, num. 27 creditori dichiararono di accettare. Gli avvocati Luzzato e Rossi accettarono, mantenendo tuttavia l’aggiuntavi condizione. Num. 17 dissero di non accettare. Num. 9 dichiararono di astenersi; e gli altri, a raggiungere il num. 59 dei presenti, non risposero all’appello, essendosi prima di questo assentati. Ed il giudice «visto che l’accettazione fu data da un notevole numero di creditori, parte dei quali rappresentano anche un considerevolissimo credito; visto l’articolo 835 Codice commerciale, dichiara rimandare la deliberazione sul preposto concordato ad altra adunanza». (omissis)
Per questa si stabilì il dì 11 marzo seguente, nel quale si riunirono num. 66 creditori portanti insieme L. 9.549.132,46. Intervenne altresì il suddetto dott. Bignami, ma questa volta come procuratore anche del comm. Brioschi e del dott. Antonio Biffi. Quello presidente, questi revisore come il Terruggia e tutti e tre membri del Consiglio d’amministrazione della fallita Società in discorso. Il curatore, rammentato quanto fu detto nella precedente assemblea..., datasi la parola al signor Bignami, quale procuratore degli amministratori, come sopra, da lui rappresentati, egli fa la seguente proposta: «In relazione e complemento della proposta di concordato di cui nell’adunanza del giorno 4 febbraio p. p., i sigg. commendator Francesco Brioschi, dottor Antonio Biffi e Vincenzo Terruggia, quali membri del cessato Consiglio d’amministrazione dell’ora fallita Fabbrica lombarda di prodotti chimici, in concorso del curatore della fallita medesima sig. cav. Maglione, offrono, in via di concordato, ai creditori della fallita suddetta, a tacitazione dei loro crediti, la cessione dell’impresa sociale e così tutto l’attivo della medesima, nulla escluso né eccettuato. «Su tale proposta prende la parola l’avv. Donati, il quale osserva di trovarla tuttavia indeterminata e tale da lasciare incerto il dividendo da riceversi dai creditori. Crederebbe quindi più conveniente che il percentuale fosse fisso nella misura del 20 per cento 
e garantito. La liquidazione poi si facesse dal garante, a tutto suo rischio e pericolo, di modo che, restando ai creditori assicurato il 20 per cento, i risultati della liquidazione, qualun-
que fossero, andassero a danno o vantaggio del garante. Il 
sig. avv. Pariani, a nome della Banca di Torino, della quale è direttore generale, aderendo alle istanze, non dissente il prestare la garanzia pel pagamento del 20 per cento ai creditori 
procedendo la Banca alla liquidazione del patrimonio sociale, nulla escluso né riservato, di guisa che il meno ed il più che 
si riceverà sia a di lei profitto e carico». «Negli enti da liquidare, aggiunge, si deve intendere compresa l’azione che possa competere ai creditori verso i membri dei cessati Consigli di amministrazione, verso gli ex revisori e sindaci della fallita società Fab-brica lombarda in dipendenza di tali loro rispettive qualità. Ciò mediante, la Banca di Torino si obbliga di dare ai creditori il 20 per cento». Ne indica poscia specificamente il modo. Dopo di che l’avv. Donati, nel prendere atto di cotesta dichiarazione, espose le seguenti proposte di concordato; 
1] I sigg. comm. Francesco Brioschi, dott. Anto-nio Biffi e Vincenzo Terruggia, quali membri del cessato Consiglio d’amministrazione dell’ora fallita Fabbrica lombarda di prodotti chimici, in concorso del curatore... propongono di cedere, in via di concordato, ai creditori della fallita suddetta, i quali accettano, l’impresa sociale, nulla escluso né riservato, e così tutto l’attivo della medesima impresa, sotto il nome di Fabbrica lombarda di prodotti chimici;
2] I creditori investono la Banca di Torino della liquidazione di tutto il patrimonio sociale, ivi comprese le attività tanto mobili che immobili, riconosciute o contestate, nulla escluso né eccettuato, liquidazione che la Banca avrà diritto d’iniziare e inizierà di fatto, e per la quale resta fin d’ora autorizzato il curatore ad eseguire la consegna di tutto l’attivo alla Banca di Torino, non appena omologato il concordato, previo il soddisfacimento delle competenze e spese inerenti alla procedura del fallimento e del concordato;
3] Fra gli enti e le attività, il cui regolamento e liquidazione è dai creditori affidato alla Banca di Torino, è compresa l’azione che possa competere ai creditori verso i membri dei cessati Consigli d’amministrazione, revisori e sindaci della Società, per le responsabilità che da essi si fossero contratte verso i creditori in dipendenza della loro rispettiva qualità;
4] La Banca di Torino garantisce ai creditori della fallita Fabbrica lombarda il pagamento del 20 per cento da farsi alle seguenti scadenze, cioè: 10 per cento appena passata in giudicato la sentenza di omologazione e reso esecutorio il presente concordato; il 5 per cento tre mesi dopo il primo pagamento; l’ultimo 5 per cento tre mesi dopo il secondo pagamento;
5] Ove i risultati della liquidazione non permettessero detti riporti, tuttavia la Banca di Torino dovrà provvedervi a tempo debito supplendovi con danaro proprio;
6] Come corrispettivo delle spese e delle perdite 
a cui si espone la Banca di Torino, essa avrà dirit-
to di far sua ogni eccedenza che eventualmente 
si verificasse nei risultati della liquidazione, cosicché, pagate le spese inerenti alla procedura del fal-limento ed il 20 per cento ai creditori del medesimo, l’eventuale soprapiù andrà in favore della Banca istessa;
7] I creditori conferiscono alla Banca di Torino come liquidatrice delle dette attività e ragioni ogni facoltà e potere ...; 
8] Quando la Banca di Torino avrà soddisfatto ai creditori il 20 per cento, od altrimenti assicurato il detto riparto a quelli che non si fossero ancora presentati, essa avrà diritto di ottenere il trasferimento in suo capo di tutto il patrimonio che ancora restasse in quell’epoca da liquidare. I creditori delegano il cav. Maglione ... al trasferimento alla Banca di Torino del patrimonio non ancora liquidato della cessata Fabbrica lombarda. 
Interpellati al riguardo tanto il procuratore degli amministratori, comparsi in persona del sig. Bignami, quanto il sig. comm. Pariani, rappresentante della Banca di Torino, i medesimi nella rispettiva loro qualità dichiarano di prestare piena adesione alle proposte come da essi stessi formulate nella parte che rispettivamente li riguarda.
Per il che il giudice ordina al cancelliere di dare lettura di dette proposte dal n. 1 al n. 8, e lettesi le medesime, i creditori sottoscritti, accettando, fanno fin da ora istanza perché, quando non si raggiungessero le due maggioranze, il giudice conceda un termine per raccogliere altre adesioni, mantenendo, per quanto li riguarda, per detto termine, il voto loro dato». Nel chiudersi di codesto atto il procuratore della ditta Coxhead-Goldsmid protestò vivacemente affermando illegale affatto il preposto concordato:
1] Perché imponeva la transazione e rinuncia alle ragioni ed azioni tutte spettanti ai singoli creditori verso gli amministratori della fallita Società, ed altri responsabili;
2] Perché non conteneva alcuna riserva relativamente ai libri e carte della fallita Società, ma li abbandonava, senz’altro, interamente ed incondizionatamente ad un terzo, quale erasi la Banca di Torino, con danno dei creditori ed anche della giustizia punitiva.
Malgrado coteste opposizioni, raccolte che furono, nel termine prefisso, le adesioni, si trovò il concordato, quale erasi preposto, pienamente accettato, quasi dall’universo ceto dei creditori all’infuori delle sole due ditte Browne-Wingrowe, e Coxhead-Goldsmid. (omissis)

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