DOTTRINA 
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"Concordato preventivo con cessione dei beni e legittimazione processuale del liquidatore giudiziale"
di Antonino Cataudella

La cessione dei beni nel concordato preventivo ha connotazioni tutte sue rispetto alla cessione dei beni 
ai creditori, regolata dagli artt. 1977 ss. cod. civ., ma una nota fondamentale e caratterizzante resta comunque comune: la privazione del debitore del potere di amministrarli e di quello di disporne - poteri attribuiti ai creditori, nella cessione dei beni disciplinata nel cod. civ., ed al liquidatore giudiziale nella cessione regolata dalla Legge fallimentare - ed il permanere in capo al debitore della titolarità dei beni “ceduti”.
 

Francesco Hayez 
“Gruppo della famiglia Stampa di Soncino” (1821 - cm 125x108), 
Pinacoteca di Brera, Milano



La scissione che così si crea tra titolarità del bene e poteri di gestirlo e di disporne, ha indotto la giurisprudenza prevalente a ripartire tra liquidatore giudiziale e debitore la legittimazione processuale, riconoscendola al primo nei giudizi per il recupero dei beni soggetti al concordato[1] e, più in generale, per l’esercizio delle azioni patrimoniali relative ai beni ceduti[2], nonché nelle controversie aventi ad oggetto obbligazioni inerenti alle operazioni 
di liquidazione[3] ed attribuendo solo al secondo, con orientamento risalente, ma ancora di recente ribadito, la legittimazione nei giudizi riguardanti crediti che si facciano valere nei suoi confronti[4].
L’affermata legittimazione passiva del debitore nei giudizi riguardanti crediti vantati nei suoi confronti non appare contestabile, trattandosi di rapporti dei quali il debitore è ancora parte, ma l’ulteriore affermazione che si tratta di legittimazione esclusiva, pur sembrando, a prima vista, conseguente alla premessa, suscita più di un dubbio, perché non sembra tenere nel dovuto conto l’esigenza di armonizzare la legittimazione attribuita al debitore con quella riconosciuta al liquidatore giudiziale.
Rientra certamente tra i compiti del liquidatore giudiziale procedere alla distribuzione tra i creditori concordatari delle somme realizzate[5]. Tale operazione comporta, ovviamente, un quadro esatto dei creditori concordatari, dell’ammontare dei crediti e della collocazione degli stessi.
Se il procedimento che si è concluso con l’omologazione del concordato preventivo avesse l’idoneità ad offrire un riferimento sicuro, il liquidatore giudiziale si troverebbe di fronte ad un quadro stabile.
Non vi è però nel procedimento una fase di accertamento giurisdizionale dei crediti[6] e l’art. 181 della L.F. non assegna certo al Tribunale il compito di procedere con la sentenza di omologa a tale accertamento. Da qui le deduzioni, che la giurisprudenza ineccepibilmente trae, sull’efficacia non vincolante della sentenza di omologazione del concordato preventivo in ordine all’esistenza dei crediti ed al rango degli stessi[7] e sulla mancanza di una competenza funzionale del Tribunale fallimentare nelle controversie che insorgono in materia, che devono essere decise con giudizio di cognizione ordinario[8].
Se è così, ogni procedimento giudiziario instaurato da creditori (o pretesi tali) per l’accertamento di crediti non considerati in sede di omologazione del concordato preventivo o per l’attribuzione a crediti ivi considerati di un grado diverso, potendo modificare il quadro creditorio, nell’ammontare o nel grado, può avere incidenza sulla distribuzione dell’attivo realizzato tra i creditori concordatari: distribuzione che, come si è visto, è tra i compiti primari del liquidatore giudiziale.
Si è affermato che la sentenza emessa nei confronti del solo debitore fa stato ai fini della liquidazione concordataria[9], ma nel sistema non si ravvisa un supporto normativo all’eccezionale opponibilità della sentenza a soggetto che non è stato parte del processo. È vero che la situazione debitoria non può dirsi giudizialmente definita con la sentenza di omologazione del concordato preventivo, ma non è men vero che il patto concordatario si è fondato sulla considerazione di una determinata massa debitoria, rapportata ad un determinato attivo.
L’incremento, quantitativo o qualitativo, dei debiti incide negativamente sull’interesse degli altri creditori. Interesse che può trovare nella partecipazione al processo del liquidatore giudiziale quella tutela che la presenza del solo debitore - in qualche caso connivente col creditore che agisce e nella gran parte dei casi privo dei mezzi per resistere adeguatamente in giudizio - non può bastare a garantire. La configurabilità di un interesse del liquidatore giudiziale a partecipare al giudizio è, del resto, riconosciuta da quella giurisprudenza che, pur negando la sua legittimazione passiva, riconosce l’ammissibilità di un intervento ad adiuvandum [10]. Non si può peraltro non notare, in questa presa di posizione, una certa contraddittorietà, in quanto, se la decisione non è opponibile al liquidatore giudiziale, è difficile ipotizzare un suo interesse processualmente rilevante all’intervento; se è opponibile, è arduo negargli il diritto ad essere parte del processo.
Delle necessarie connessioni tra la posizione del debitore e quella del liquidatore giudiziale, si è data invece lucidamente carico la Corte suprema a Sezioni unite[11] la quale, dall’osservazione che in virtù della sentenza di omologazione del concordato con cessione dei beni, “si determina una scissione tra titolarità del debito che resta all’imprenditore-debitore, e legittimazione all’adempimento dell’obbligazione, cui è tenuto il liquidatore, il quale deve provvedervi con il ricavato della liquidazione”, ha tratto la deduzione che essendo l’obbligo del liquidatore di pagare il debito “correlato, appunto, alla qualificazione del debito come concordatario, la pronuncia che accerti tale carattere dell’unico rapporto deve necessariamente essere resa in contraddittorio di entrambi i soggetti, nei cui confronti è destinata ad operare in modo diretto e inscindibile”.
Dalla ulteriore premessa che il liquidatore, se non partecipa al giudizio, non è tenuto ad ottemperare ad una decisione “non op-ponibile a lui e, dunque, agli altri creditori, né può dare esecuzione ad una sentenza che, per non essere op-ponibile al debi-tore, non consentirebbe di conteggiare il debito ai fini della procedura”, la Corte suprema ha poi tratto la deduzione della le-gittimazione congiunta di debitore e liquidatore giudiziale nei giudizi “in cui si controverta del carattere concorsuale del credito, tanto se il creditore ne deduca che questo non debba sottostare al regime concordatario, ma debba essere pagato in prededuzione, quanto se ne pretenda l’adempimento in esecuzione del con-cordato”.
Questo insegnamento, come si è visto[12], non è stato seguito da una parte consistente della successiva giurisprudenza. Ha però trovato eco in Cass. - Sez. I, 29 settembre 1993, n. 9758 [13], che ha riconosciuto la legittimazione passiva, accanto al debitore, anche al liquidatore giudiziale, qualora il creditore agisca chiedendo non solo il riconoscimento del proprio diritto, “ma anche l’immediato e integrale soddisfacimento di esso”: vale a dire faccia valere (come in altro passo la sentenza si esprime) un credito in prededuzione. La sentenza motiva la sua conclusione “in considerazione dell’interferenza della domanda medesima sulle posizioni degli altri creditori, nonché sulle operazioni di liquidazione e gli adempimenti connessi”. Argomentazione che vale, peraltro, alla stessa stregua che per i crediti in prededuzione, anche per i crediti in chirografo, incidendo l’accertamento di nuovi crediti in chirografo o l’esclusione di crediti in chirografo prima considerati sulle posizioni degli altri creditori chirografari e sui riparti.
Un’adesione più compiuta all’insegnamento delle Sez.Un. è stata espressa, più di recente, nella sentenza della Cass. - Sez. lav. 15 gennaio 1997, n. 363, nella quale si legge che alla legittimazione del debitore “si affianca quella del liquidatore giudiziale dei beni, quale contraddittore necessario, qualora si tratti di domande di condanna o comunque idonee ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato”.
C’è da augurarsi, per le ragioni anzidette, il consolidarsi dell’orientamento al quale le Sezioni unite hanno dato l’avvio.
Dal riconoscimento al liquidatore giudiziale della legittimazione passiva nei giudizi dei quali si è trattato[14] discende l’attribuzione allo stesso della legittimazione a riconoscere stragiudizialmente crediti fatti valere nei confronti del debitore, ma tale riconoscimento, data la concorrente legittimazione passiva del debitore, potrà avere effetto solo se ad esso si accompagni il riconoscimento del debitore o, per lo meno, la mancata contestazione ad opera dello stesso.
La stabilità del quadro creditorio può essere messa in forse anche da controversie di segno opposto a quello finora considerato, provocate da contestazioni sull’esistenza o sul grado di crediti considerati in sede di omologazione del concordato. Non v’è dubbio che contestazioni del genere possano essere mosse, nella fase di esecuzione del concordato preventivo, dal debitore. Per quanto riguarda il liquidatore giudiziale, se gli si riconosce la legittimazione passiva (congiunta con quella del debitore) nei giudizi di accertamento dell’esistenza o del grado di crediti non considerati, gli si dovrà anche riconoscere la legittimazione a contestare l’esistenza di crediti considerati od il grado agli stessi attribuito: legittimazione ulteriore che la giurisprudenza che gli nega la prima ha coerentemente escluso[15].
Con riguardo alla legittimazione attiva del liquidatore giudiziale, c’è ragione di chiedersi se essa ricomprenda azioni di responsabilità nei riguardi di ex amministratori e sindaci di società in concordato preventivo.
Dato che il debitore conserva la titolarità dei rapporti relativi ai beni ceduti, non si può riconoscere al liquidatore giudiziale un potere di rappresentanza processuale dello stesso - diversamente da quanto avviene per il curatore fallimentare nei confronti del fallito ai sensi dell’art. 43 L.F. (norma non richiamata dall’art. 182 L.F.) - e, quindi, la legittimazione ad esercitare l’azione sociale di responsabilità.
Dato, poi, che non gli si può riconoscere il potere di rappresentare la massa dei creditori, dei quali non può dirsi mandatario, il liquidatore giudiziale, nell’ipotesi di inerzia della società, non potrebbe surrogarsi alla stessa, ex art. 2900 cod. civ., nell’esercizio dell’azione di responsabilità, dato che il potere di surrogarsi è attribuito ai creditori. Né potrebbe esercitare l’azione di responsabilità che l’art. 2394, comma. 3° cod. civ. riserva ai creditori sociali, salvo il caso di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa.
Resta però da vedere se - essendo certa, in relazione alle funzioni assegnategli, la legittimazione del liquidatore giudiziale a stare in giudizio nelle controversie riguardanti i beni ceduti[16], - l’azione sociale di responsabilità possa essere esercitata, in via diretta e non surrogatoria, dallo stesso oltre che dalla società.
La risposta all’interrogativo dipende dalla possibilità di annoverare, tra i beni ceduti, l’azione sociale di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci per la violazione dei doveri di comportamento che sugli stessi incombevano.
Ora, è certo che anche i crediti possono annoverarsi tra i beni oggetto di cessione e la giurisprudenza, che riconosce la legittimazione del liquidatore giudiziale ad esercitare le azioni finalizzate al recupero dei beni soggetti al concordato[17], ha espressamente inserito nel novero delle azioni esperibili dal liquidatore giudiziale, quelle volte al recupero di crediti vantati dal cedente[18].
Il punto è di vedere se, costituendo oggetto della cessione solo i beni esistenti nel patrimonio della società alla data della proposta di concordato (art. 160 L.F.), i crediti in questione possano a tale data ritenersi esistenti.
Sembra che la risposta possa essere affermativa, visto che si tratta di crediti che, pur se ancora non determinati nel loro ammontare, trovano fonte in comportamenti anteriori alla domanda di concordato.
Non sembra invece a chi scrive che il liquidatore giudiziale possa promuovere, nei confronti di amministratori e sindaci, un’azione di risarcimento danni ex art. 2043 cod. civ..
Per farlo, occorrerebbe anzitutto accertare che i comportamenti dolosi o colposi di amministratori e sindaci abbiano danneggiato direttamente, e non mediatamente attraverso il danno arrecato al patrimonio societario, interessi patrimoniali che il liquidatore giudiziale ha il potere di rappresentare.
Si è già ricordato, peraltro, che il liquidatore giudiziale non ha poteri di rappresentanza processuale dei creditori, mentre non sembra dato ipotizzare una rappresentanza processuale di terzi. Del resto, ove si convenga che quella ex art. 2395 cod. civ. è esclusivamente responsabilità derivante dagli atti compiuti dagli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni[19], per azionare l’art. 2043 cod. civ. occorrerebbe addurre che il danno lamentato dai terzi è attribuibile ad atti estranei alle funzioni di amministratore: ipotesi che appare, peraltro, estremamente improbabile.
Da ultimo, ci si può porre la domanda se il liquidatore giudiziale possa proporre azione di responsabilità nei confronti di società che non abbia voluto coltivare l’azione di responsabilità contro amministratori e sindaci.
A prescindere dalla normale inconsistenza delle prospettive economiche di un’azione del genere, è dato osservare che un pregiudizio per la liquidazione si potrebbe prospettare solo muovendo dalla premessa, che invece si è negata, che l’azione di responsabilità possa essere promossa esclusivamente dalla società e non dal liquidatore giudiziale.



Note

[1] Cass. - Sez. Il, 9 agosto 1990 n. 8086, in Il fallimento, 1991, 236, che peraltro afferma una concorrente legittimazione del debitore e l’ammis-sibilità di un intervento dello stesso ad adiuvandum.

[2] Così, in motivazione, Cass. - Sez. Un. 28 maggio 1987 n. 4779, in Giust. civ., 1987, I, 2520 con nota di Lo Cascio e Cass. - Sez. I, 18 dicembre 1991 n. 13626, in Il fallimento, 1992, 470, che afferma la legittima-zione esclusiva del liquidatore giudiziale.

[3] Cass. - Sez. lav. 19 febbraio 1991 n. 1735, in Dir. fallim., 1991, Il, 778, e Cass. - Sez. lav. 28 agosto 1991 n. 9073, in Giur. it., 1992, I, 1, 1093.

[4] Cfr. Cass. - Sez. I, 18 dicembre 1978 n. 6042, in Giur. it., 1979, I, 912; Cass. Sez. lav. 20 gennaio 1984 n. 512, in Giust. civ., 1984, I, 2204; Cass.-Sez. lav. 3 marzo 1987 n. 2234, in Dir. fallim., 1987, II, 650; Cass. 1735/91, cit.; Cass. 9073/91, cit.; Cass.-Sez. lav. 30 ottobre 1991 n. 11542, in Dir. fallim., 1992, II, 774.

[5] Cfr. Cass. - Sez. Un. 4779/87 cit., in motivazione.

[6] Cfr. Lo Cascio, Il concoraato preventivo, 4ª ediz., Milano, 1997, pag. 522 e segg.

[7] Cass. - Sez. I, 12 marzo 1987 n. 2560 in Giust. civ., 1987, I, 1408 con nota di Lo Cascio; Cass. - Sez. I, 14 aprile 1993 n. 4446, in Giust. civ., 1993, I, 2061 con nota di Lo Cascio; Cass. - Sez. I, 17 giugno 1995 n. 6859, in Giust. civ., 1995, I, 2351 con nota di Lo Cascio.

[8] Cass. 6859/95, cit..

[9] Così Cass. - Sez. lav. 2234/87.

[10] Cfr. Cass. - Sez. lav. n. 11542/91, cit..

[11] Cass. - Sez.Un. n. 4779/87, cit..

[12] Cfr. la giurisprudenza successiva cit. nella n. 4.

[13] Dir.fallim., 1994, 226.

[14] Legittimazione che Bonsignori, “Concordato preventivo”, in Commentario Scialoja-Branca alla Legge fallimentare - a cura di Bricola, Galgano  e Santini, Bologna-Roma, 1979, p. 451 - vorrebbe esclusiva, “data l’esdebitazione del debitore”.

[15] Cfr. Cass. n. 6042/78 cit.

[16] Cfr. Cass. - Sez.Un. n. 4779/87, cit.; Cass.-Sez. I, n. 13626/91, cit..

[17] Cfr. Cass. - Sez. II n. 8086/90, cit..

[18] Cfr. Cass. - Sez. I, 20 novembre 1982 n. 6263, in Giur. it., 1983, I, 1, 211.

[19] Così G. Minervini, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956, p. 362 e segg.