Giurisprudenza Romana

con nota di A. Costantini
Tribunale civile di Roma - Sez. Fallimentare - 2 aprile 1997 - Pres. Grimaldi - Est. Baccarini - fall. Sas Sacco Umberto & C. (Avv. C. Esposito) c. Spa F.lli Torda.

AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - PAGAMENTI - SCIENTIA DECOCTIONIS - PROVA - INDIZI CONOSCIUTI O CONOSCIBILI DELL’INSOLVENZA - SUFFICIENZA - ONERE DI INFORMARSI SULLA SITUAZIONE COMMERCIALE DELLA CONTROPARTE - SUSSISTENZA (Art. 67 L.F.)

La prova della conoscenza dello stato di insolvenza da parte del convenuto in una azione revocatoria fallimentare promossa ai sensi dell’art. 67, comma 2, L.F. deve considerarsi raggiunta allorché si accerti che il convenuto sia stato, al momento del compimento dell’atto, in grado di percepire i segni sintomatici e rilevatori dell’insolvenza, quali il ritardo nell’adempimento o l’inadempimento delle obbligazioni di pagamento contratte nei suoi stessi confronti dal soggetto poi fallito, la pendenza di numerosi procedimenti esecutivi mobiliari nonché del procedimento volto alla dichiarazione di fallimento del debitore. Sussiste a carico dei soggetti che non vogliano correre il rischio di subire azioni revocatorie fallimentari un vero e proprio obbligo di informazione sullo stato di salute delle imprese che pongono in essere gli atti di disposizione patrimoniale previsti dall’art. 67 L.F.

(omissis)
Sussistono, altresì, in atti, sufficienti elementi per ritenere conosciuto lo stato di grave insolvenza della Sas poi fallita.
Ciò si deduce, anzitutto, dalle dichiarazioni rese dal teste Alberti Antonio, il quale ha ricordato come, nell’ultimo periodo, la Sas. Sacco non pagasse più i propri fornitori i quali, quindi, protestavano di frequente e non volevano fornire altre merci e che, in specie, proprio la S.p.A. F.lli Torda avesse sollecitato più volte il pagamento di fatture scadute e impagate da circa sei mesi, ottenendo, infine, il rilascio di effetti cambiari per rilevante importo, di cui venne pagato solamente il primo, oggetto del presente giudizio. Il teste era responsabile dell’ufficio acquisti della fallita e, quindi, la persona che maggiormente aveva contatti con i fornitori e perfettamente al corrente della situazione di insolvenza della Sas.
A tale elemento, già di per sé decisivo, possono aggiungersi ulteriori elementi, di diverso peso ma tutti significativi della conclamata insolvenza e della conoscibilità della stessa in ambiente commerciale. Si ricordano, ad esempio, le numerose procedure esecutive promosse tra il 1988 e l’8/2/90 a carico della fallita presso la Pretura di Roma e in gran parte sussistenti all’epoca del fallimento. Per non parlare della circostanza che il fallimento sarebbe stato dichiarato pochissimi giorni dopo tale pagamento, per cui a carico della Sas. Sacco Umberto era già pendente da mesi il relativo giudizio avanti al Giudice fallimentare.
Né può ritenersi la ignoranza e la buona fede S.p.A. F.lli Torda unicamente perché avente sede in un comune del Lazio. Infatti, a parte la non elevata distanza tra questo e il comune di Roma, lo stato di difficoltà economica e infine di insolvenza era esistente da anni, come detto, e ben conosciuto dalla convenuta che aveva dovuto più volte insistere e attendere per il pagamento, peraltro effettuato solamente tramite cambiali ulteriormente postdatate, a maggior riprova dello stato di persistente difficoltà, tanto a maggior ragione vista la entità complessiva del credito della S.p.A. F.lli Torda (circa lire 106.000.000, come testimoniato dallo Alberti).
È, peraltro, pacifica e conosciuta la costante giurisprudenza della Cassazione, per la quale la conoscenza dello stato di insolvenza altrui può venire desunta anche da elementi indiziari, purché consentano di ritenere che il terzo, applicandosi con la normale diligenza, non avrebbe potuto non avvedersi dello stato di dissesto economico del debitore (in termini, Cass., 28 dicembre 1988 n.7070 in Mass. Foro It., 1988, 1066; Cass. 6 novembre 1987, n. 8234, in Il Fall. 1988, 196). Gli elementi presuntivi costituiscono, sul punto, prova pienamente ammissibile, valida e concludente, purché siano assistiti dagli ordinari requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti per la prova presuntiva, e tali sono sempre stati ritenuti sia la pendenza di numerosi procedimenti esecutivi nei confronti del debitore (Cass. 30 gennaio 1985, n. 586, in Il Fall., 1985, 563; Cass. 29 aprile 1982, n. 2696, in Il Fall.,1982, 1325), sia la ripetuta e diffusa incapacità a fronteggiare le ordinarie obbligazioni, peraltro di rilevante valore. Più in generale, si ritiene essere provata la scientia decoctionis ogni qualvolta il terzo fosse stato in grado di percepire i segni sintomatici e rilevatori dell’insolvenza, tanto a maggior ragione quando trattasi, come nel caso, di soggetto che aveva un ripetuto e continuativo rapporto con il debitore per fornitura di merce di ingente valore. Per l’applicazione dell’art. 67 comma 2 L.F., la Suprema Corte ritiene necessaria e sufficiente la semplice conoscibilità della situazione di insolvenza, quando i due soggetti siano in un rapporto per cui corrisponda ai normali obblighi di diligenza informarsi della situazione economica dell’altro. La prova della scientia decoctionis dell’altro, per giurisprudenza pacifica, può venire fornita anche mediante elementi indiziari, sempre che consentano di ritenere che il terzo, usando la comune diligenza, non avrebbe potuto non avvedersi dello stato di dissesto economico del debitore, ritenendosi sussistere, quindi, un vero e proprio obbligo per l’imprenditore commerciale di informarsi, almeno con i normali canali, circa la situazione di solvibilità di controparte, assumendo altrimenti su di sé il rischio di eventuali revoche del pagamento.
Di fronte a questa abbondanza di elementi, sia reali che presuntivi, era eventualmente onere di parte convenuta dimostrare perché non potesse comunque avere conoscenza dello stato di insolvenza della Sas Sacco.
Si deve quindi concludere, in base a tutti gli elementi dedotti, che la S.p.A. F.lli Torda ben conoscesse la situazione economica della Sas, peraltro in difficoltà da anni. 
(omissis)

"La scientia decoctionis nella revocatoria fallimentare"
d•i • A•l•b•e•r•t•o • C•o•s•t•a•n•t•i•n•i
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1. La sentenza in esame riguarda il pagamento di un vaglia cambiario emesso dalla società poi fallita e da questa pagato alla scadenza al beneficiario-prenditore. 
La scadenza della cambiale e dunque il suo pagamento precedevano di pochi giorni la sentenza dichiarativa di fallimento.
Il Curatore agisce quindi per la revoca del pagamento, di per sé atto normale, in base all’art. 67, 2° comma, L.F., assumendosi quindi l’onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza in capo alla società convenuta che aveva ricevuto il pagamento della cambiale scaduta.
Secondo l’insegnamento della Corte di cassazione, la prova della cosiddetta scientia decoctionis in capo al soggetto convenuto in revocatoria si raggiunge quando si dimostri la conoscenza concreta da parte di quest’ultimo dello stato di insolvenza del debitore poi fallito (tra le molte si segnalano Cass. Sez. I, 14 febbraio 1995, n. 1576 in Fall., 1995, pag. 849; Cass. Sez. Un. 30 marzo 1994, n. 3131 ivi pag. 1026). Da tale principio muove del resto anche la sentenza in commento.
La prova di uno stato interiore, quale la conoscenza dell’altrui insolvenza, non può tuttavia essere raggiunta che in base ad elementi indiziari, dai quali desumere collegamenti concreti tra le vicende commerciali dell’impresa poi fallita e il soggetto convenuto. Tali collegamenti vanno poi riferiti, ed in tanto sono rilevanti, al momento in cui viene a collocarsi l’atto da revocare, potendo altrimenti perdere, benché parimenti sussistenti, ogni rilevanza probatoria.
In talune pronunce, peraltro, la distinzione tra prova della sussistenza dello stato di insolvenza nel cosiddetto periodo sospetto, che è circostanza oggettiva, e prova della conoscenza che di tale insolvenza aveva il soggetto poi convenuto in revocatoria, non è sempre netta.
D’altronde l’incertezza del limite tra manifestazioni obiettive dell’insolvenza e conoscenza della stessa da parte del terzo si rivela con particolare evidenza nelle azioni revocatorie fondate sull’art. 67, 1° comma, ove il convenuto, per vincere la presunzione di conoscenza a suo carico, piuttosto che cercare di provare la sua ignoranza dello stato di decozione è spesso indotto a cercare di provare - malgrado la contraria presunzione iuris et de iure - l’inesistenza tout court dell’ insolvenza nel periodo sospetto; ciò perché è ancora più difficile fornire la prova negativa di uno stato interiore proprio (prova richiesta al convenuto dall’art. 67, 1° comma) di quanto non sia fornire quella positiva di uno stato interiore altrui (prova richiesta al Curatore dall’art. 67, 2° comma).
L’analisi della giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di scientia decoctionis rivela come non sempre la Corte abbia manifestato uguale sensibilità per la distinzione tra indici rivelatori dello stato di insolvenza del debitore ed indici rivelatori della conoscenza che di tale stato possa avere il terzo convenuto in revocatoria. In molte pronunce (Cass., Sez. I, 9 aprile 1991, n. 3716, in Foro It., 1991, I, 2790; Cass. Sez. I, 13 dicembre 1988, n. 6776 in Fall., 1989, 502; Cass., Sez. I 20 maggio 1980, n. 3302 in Dir. Fall. 1980, pag. 338) leggiamo infatti che l’esistenza di numerosi protesti a carico del soggetto poi fallito esime la curatela dal dimostrare che detti protesti fossero noti alla controparte, incombendo invece a quest’ultima l’onere di provare il contrario. 
In tali casi la circostanza rivelatrice dello stato di insolvenza (protesti ripetuti), si trasforma nell’indizio della conoscenza di tale stato in capo al soggetto convenuto, determinando così una inversione dell’onere della prova a carico di quest’ultimo che finisce per assimilare le azioni revocatorie promosse in virtù del secondo comma dell’art. 67 a quelle promosse sulla base del primo, con la differenza, non marginale, che in queste ultime l’inversione dell’onere della prova a carico del convenuto si giustifica in ragione dell’anormalità dell’atto revocando, del tutto assente, invece, negli atti contemplati dal secondo comma.
Sta di fatto che questo orientamento può dirsi consolidato, essendo stato ribadito anche recentemente sempre dalla Cassazione (Cass., Sez. I, 25 luglio 1995, n. 8083, in Fall. 1996, pag. 67).
Maggiore sensibilità verso un effettivo collegamento tra lo stato di insolvenza dell’imprenditore poi fallito e il soggetto convenuto in revocatoria mostra invece Cass. Sez. I, 21 agosto 1996, n. 7722 (in Fall., 1997, pag. 171) ove gli elementi...
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(Ci si scusa con il lettore e si avverte che l'articolo completo sarà disponibile on line non appena possibile. Attualmente ci si può comunque rivolgere all'A.C.F. -consulta l'home page per i recapiti- per ottenre copia dell'articolo completo)

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