Giurisprudenza di legittimità

 con nota di F. Macario
Corte di Cassazione - Sezione I civile - sentenza 14 ottobre 1997 n. 10031 - Pres. Sgroi - Est. Marziale - P.M. Maccarone (concl. diff.); Modiano e altri (Avv. Sorrentino, Di Maio) c. Soc. Fundus in l.c.a. (Avv. Romanelli, Maccagno, Benessia). Cassa App. Torino 27 settembre 1994.

LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA - SOCIETA' FIDUCIARIA - AZIONE DI RIVENDICA, RESTITUZIONE E SEPARAZIONE DEI BENI DEI FIDUCIANTI - AMMISSIBILITA' (Cod. civ., art. 1706, 1707, 1782; R.D. 16 marzo 1942, art. 103)

Va accolta la domanda di rivendica proposta dai fiducianti in sede di liquidazione coatta amm.va di una società fiduciaria, avente ad oggetto i titoli azionari acquistati dalla fiduciaria per conto dei fiducianti, indipendentemente dal fatto che: a) i titoli non siano intestati singolarmente e nominativamente, ma siano raggruppati in un unico certificato azionario rappresentativo di tutti i titoli appartenenti ai fiducianti; b) le risultanze contabili della fiduciaria e la documentazione presso la banca agente ovvero l’istituto di credito depositario non permettano di ricollegare i titoli azionari ai singoli fiducianti; c) gli amministratori della fiduciaria abbiano compiuto indebite commistioni fra i conti d’ordine intestati ai fiducianti. 

(omissis)
Svolgimento del processo.
1. Con ricorso proposto il 7 ottobre 1989, ai sensi degli artt. 98, 191 e 103 L.F., Guido Modiano, Fernando Garrone, Fiorentino Rota, Ernesto Bertolotti e Léontine Martin proponevano opposizione allo stato passivo della società Fundus - Fiduciaria per l’Investimento Azionario S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa (d’ora innanzi Fundus), dolendosi del mancato accoglimento della domanda da essi avanzata al fine di ottenere la consegna dei seguenti titolari azionari emessi dalla società di diritto lussemburghese Capital Italia, che la Fundus aveva acquistato su loro preciso mandato:
  * 6480,667 azioni, acquistate per conto del Modiano, sulla base dei contratti n. 0018008 GF e n. 0034201 MA;
  * 218,781 azioni, acquistate per conto del Garrone, sulla base del contratto n. 0024737 LC;
  * 3705,957 azioni, acquistate per conto del Rota, sulla base del contratto n. 0018539 MM;
  * 5206,380 azioni, acquistate per conto del Bortolotti, sulla base del contratto n. 0023825 LL;
  * 6177,239, azioni, acquistate per conto della Martin, sulla base del contratto n. 0026846 ED.
La domanda era stata respinta dai commissari liquidatori, ponendo in evidenza che i titoli reclamati non erano intestati nominativamente ai singoli fiducianti e dovevano quindi essere considerati come appartenenti alla massa. In favore dei fiducianti era stato tuttavia riconosciuto un credito pari al controvalore dei titoli alla data di apertura della procedura concorsuale (12 luglio 1988). Gli opponenti censuravano tale decisione, osservando che gli acquisti erano stati effettuati con mezzi finanziari messi a disposizione della società fiduciaria per tale specifica finalità ed erano stati registrati in contabilità in sottoconti intestati a ciascun fiduciante e che, pertanto, i titoli acquistati non erano confluiti nel patrimonio della società, di cui era stata decretata l’insolvenza, e dovevano quindi essere loro riconsegnati.
1.1. Il Tribunale, pur dando atto che la società convenuta si era limitata ad effettuare, per conto degli attori e secondo le istruzioni da essi impartite, un investimento in azioni della Capital Italia e che i titoli acquistati erano stati depositati in custodia presso una banca (Banque Génerale du Luxembourg), ponevano in evidenza che essi erano stati raggruppati in un unico certificato azionario, “che cumulativamente rappresentava tutte le azioni di pertinenza dei fiducianti”, il cui valore complessivo “veniva quotidianamente variato in relazione al saldo tra i nuovi acquisti (a fronte dei versamenti dei fiducianti) e le vendite (per conto dei fiducianti che volevano disinvestire)”. La posizione di ogni fiduciante - si osservava nella sentenza - era pertanto distinguibile solo da un punto di vista quantitativo, non essendo individuate, con il relativo numero di serie, le singole azioni spettanti a ciascuno dei fiducianti in proporzione dell’investimento effettuato.
Tale circostanza, secondo i giudici di primo grado, rappresentava, alla stregua dei principi dettati dagli artt. 1706 e 1707 cod. civ. e dall’art. 103 L.F., un ostacolo insormontabile all’accoglimento dell’opposizione essendo “il procedimento per la rivendica, restituzione e separazione dei beni mobili dall’attivo concorsuale… esclusivamente per le cose mobili determinate, non fungibili” e, appunto per questo, incompatibile con un’attività diretta all’individuazione (e alla conseguente attribuzione al rivendicante) di una parte dei beni ricompresi nel “genere”. Né, a loro avviso, avrebbe potuto farsi utilmente ricorso alle disposizioni della legge 2 gennaio 1991, n. 1, che aveva introdotto il principio della separazione tra il patrimonio della fiduciaria e quello dei fiducianti, non avendo tale disciplina carattere retroattivo e non potendo, quindi, essere applicata ai rapporti intercorsi tra le parti.
L’opposizione era pertanto respinta, con sentenza depositata il 28 febbraio 1991.
1.2.  Gli opponenti proponevano appello, censurando la sentenza impugnata per non aver considerato:
  * che la società convenuta era una società fiduciaria e che, pertanto, i beni acquistati e amministrati per conto dei fiducianti erano sottratti all’azione esecutiva dei creditori della società fiduciaria, costituendo una massa separata rispetto agli altri beni ricompresi nel patrimonio sociale, giusta un principio che, anche se affermato esplicitamente dal legislatore per la prima volta con l’art. 17, legge 2 gennaio 1991, n. 1, era in realtà già operante nel nostro ordinamento, essendo connaturato alla natura e alle modalità operative di tal genere di società;
  * che, conseguentemente, nel caso in cui una società fiduciaria sia assoggettata a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa, i beni dei fiducianti, in applicazione di detto principio, debbono essere separati dal residuo patrimonio della fiduciaria e quindi restituiti ai singoli fiducianti, che ne sono gli “effettivi proprietari”, in proporzione delle rispettive quote di investimento;
  * che l’iscrizione nei conti d’ordine della società fiduciaria è sufficiente a salvaguardare i diritti dei fiducianti sui beni amministrati nel loro interesse, offrendo la dimostrazione dell’appartenenza dei beni iscritti all’intestatario del conto;
  * che, pertanto, nessuna prova doveva essere fornita a tale riguardo, da parte dei fiducianti, essendo, al contrario, gli organi della procedura, tenuti, di fronte a tale evidenza contabile, a fornire la dimostrazione della inattendibilità delle risultanze probatorie.
Il gravame veniva però respinto dalla Corte territoriale, la quale, pur non mostrandosi aliena dal riconoscere l’esistenza, già prima dell’entrata in vigore della legge 2 gennaio 1991, n. 1, di “di un regime di astratta separatezza, determinato dal prevalere del sottostante rapporto di mandato” dei beni acquistati e amministrati dalla società fiduciaria per conto dei fiducianti, ribadiva che la domanda proposta dagli opponenti non poteva essere accolta, in quanto:
a] le risultanze contabili non permettevano di “individuare i titoli azionari sottoscritti all’origine dal singolo fiduciante”;
b] non erano individuabili, né presso la banca agente (Credito Italiano) né presso l’istituto di credito estero depositario (Banque Génerale de Luxembourg), poste specifiche per i singoli fiducianti e, tanto meno, suddivisioni di titoli azionari;
c) gli amministratori della società fiduciaria avevano effettuato indebite commistioni tra i vari conti d’ordine intestati ai singoli fiducianti con conseguente alterazione dei montanti complessivi;
d) non vi era corrispondenza tra il numero complessivo dei titoli azionari della Capital Italia indicati dalla banca agente come spettanti ai fiducianti (33.877) e quello da essi indicato con l’atto di opposizione (21.786).
1.3. Questi ultimi chiedono la cassazione della sentenza impugnata con quattro motivi illustrati con memoria. Gli organi della liquidazione resistono con controricorso.

Motivi della decisione
(omissis
3. I quattro motivi di gravame sono tra loro connessi e possono essere, quindi, esaminati congiuntamente.
Con essi i ricorrenti, - denunziando: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 1, legge 23 novembre 1939, n. 1966 e dell’art. 3bis, D.L. 16 febbraio 1987, n. 27, convertito, con modificazioni, nella legge 13 febbraio 1987, n. 148; b) errata applicazione “dei principi in tema di individuazione di valori mobiliari con riferimento all’attività propria di società fiduciaria e della disciplina dei fondi comuni di investimento mobiliare”; c) violazione della disciplina valutaria - censurano la sentenza impugnata per non aver accolto la domanda da essi proposta ai sensi dell’art. 103 L.F., senza considerare:
a] che i valori mobiliari assunti in amministrazione dalla società fiduciaria sono di “effettiva proprietà” dei fiducianti;
b] che gli ordinari principi in tema di individuazione dei beni non operano in relazione alle società fiduciarie che svolgono attività di amministrazione di valori mobiliari;
c] che, conseguentemente, l’accoglimento della domanda non poteva trovare ostacolo nella circostanza che i dati contabili relativi alla posizione di ciascun fiduciante erano stati espressi solo in termini quantitativi e che, pertanto, presso l’istituto estero depositario non erano individuabili poste riferite a ciascun fiduciante con l’indicazione specifica dei titoli attribuiti;
d] che nel caso di specie i titoli, nel pieno rispetto di quanto stabilito dalla disciplina valutaria allora vigente (art. 20, D.M. 12 marzo 1981, in relazione alla legge 7 febbraio 1956, n. 43 e al D. Lgs. 2 marzo 1948, n. 211), erano stati depositati presso una banca abilitata alla custodia e all’amministrazione di titoli esteri a nome della società fiduciaria, indicando in apposite sottorubriche le partite riferibili ad ogni fiduciante quale “effettivo proprietario”.

4. Le doglianze, in tali termini formulate, vanno riconosciute fondate.
Sono società “fiduciarie” quelle che “si propongono, sotto forma d’impresa, di assumere l’amministrazione dei beni per conto di terzi” (art. 1, legge 23 novembre 1939, n. 1966). Come si desume dall’art. 6 della stessa legge, tale attività va distinta da quella che abbia per oggetto la “gestione fiduciaria di beni conferiti da terzi, corrispondendo utili della gestione”.
Nell’una e nell’altra ipotesi si è in presenza di un’attività svolta nell’interesse altrui. Le differenze derivano dal fatto che, mentre la società fiduciaria non ha il potere di disporre del bene affidatole in amministrazione dal fiduciante, il gestore acquista la piena disponibilità dei beni conferiti e può quindi alienarli, utilizzando il ricavato per procedere a nuovi acquisti nell’interesse del conferente. Quest’ultima attività, riservata un tempo agli enti di gestione fiduciaria (art. 45, D.P.R. 13 febbraio 1959, n. 449, recante il t.u. delle leggi sulle assicurazioni private) ora soppressi (art. 1, D.L. 16 febbraio 1987, n. 27, convertito, con modificazioni, nella legge 13 aprile 1987, n. 148), è attualmente riservata alle società di gestione di fondi comuni d’investimento (artt. 1 e 10, 6° comma, legge 23 marzo 1983, n. 77; artt. 1 e 6, 4° comma, legge 14 agosto 1993, n. 344; art. 1 e 10, 4° comma, legge 25 gennaio 1994, n. 86) ed ha i caratteri tipici della gestione “in monte”, così denominata perché gli apporti dei singoli investitori confluiscono in un unico patrimonio gestito dall’intermediario a rischio e nell’interesse collettivo degli investitori, senza che essi abbiano alcuna possibilità di interferire sulle scelte gestionali da lui effettuate (artt. 3 e 4, legge n. 77/83, 9 e 10, legge 344/93; 13 e 14, legge n. 86/94).

5. Sia la Corte d’Appello che il Tribunale di Torino hanno ravvisato un ostacolo insormontabile, per l’accoglimento della domanda proposta dai ricorrenti ai sensi dell’art. 103 L.F., nella circostanza che essa fosse riferita a beni non individuati (…).
In effetti, è ricorrente, anche nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16 maggio 1990, n. 4262; 20 febbraio 1984, n. 2633), l’affermazione che le domande di rivendicazione, restituzione o separazione, previste dall’art. 103 L.F., sono ammissibili soltanto se la cosa è stata determinata nella sua specifica e precisa individualità e che, in caso contrario, è configurabile (solo) un diritto di credito (alla restituzione del tantundem) azionabile nei confronti della curatela del fallimento secondo le modalità e con gli effetti previsti dagli artt. 93 e segg. L.F..
Orbene, non può negarsi che, in linea di massima, le cose fungibili che non siano state individuate al momento della consegna, entrano nella disponibilità di chi le riceve, il quale acquista il diritto di servirsene e, appunto per questo, ne diventa proprietario, pur essendo tenuto a restituirne altrettante della stessa specie e qualità.
5.1.   L’ipotesi è specificamente regolata dall’art. 1782 cod. civ., il quale tuttavia precisa che il passaggio della proprietà dal depositante al depositario non costituisce una conseguenza indefettibile della fungibilità delle cose depositate, poiché tale effetto si realizza solo se al depositario è concessa (anche) la facoltà di servirsi di tali beni nel proprio interesse: in tal caso il deposito viene ad assolvere anche una funzione di credito nell’interesse del depositario e questo spiega perché a tale contratto si applichino, in quanto compatibili, le norme sul mutuo (art. 1782, 2° comma, cod. civ.) .
Il fatto che la concessione della facoltà d’uso concorra, con la natura delle cose depositate, a determinare l’acquisto della proprietà da parte del depositario rende evidente - come del resto si sottolinea nella Relazione al codice (ivi, § 728) - che la proibizione di servirsi della cosa ricevuta in deposito (art. 1770, 1° comma, cod. civ.) sussiste anche quando tale contratto abbia ad oggetto una quantità di danaro o di cose fungibili e porta a riconoscere l’ammissibilità di un deposito regolare di beni fungibili che non siano stati individuati al momento della consegna.
5.2.  In questo quadro deve essere valutata la portata delle disposizioni che qualificano i fiducianti quali “proprietari effettivi” dei beni da essi affidati alle società fiduciarie (art. 1, ultimo comma, R.D. 29 marzo 1942, n. 239; art. 9, 1° comma, 29 dicembre 1962, n. 1745; art. 20, 2° comma, D.M. 12 marzo 1981, G.U., n. 82 del 24 marzo 1981, S.O.; art. 3, 9° comma, D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 95; art. 2, 10° comma, D.L. 5 giugno 1986, n. 233, convertito, con modificazioni, nella legge l agosto 1986, n. 430), escludendo che tali società possano liberamente disporre delle cose ricevute in consegna (retro, 4).
L’espresso riconoscimento della “separazione” dei beni conferiti dai fiducianti rispetto al patrimonio della fiduciaria è stato effettuato per la prima volta dal legislatore con l’art. 17 della legge 2 gennaio 1991, n. 2, sulla disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare, che ha dichiarato applicabile a tali società l’art. 8 della stessa legge, con il quale si stabiliva, tra l’altro:
  * che il patrimonio conferito in gestione dai singoli clienti costituiva patrimonio “distinto”, a tutti gli effetti, da quello della società intermediaria e da quello degli altri clienti;
  * che sul patrimonio conferito in gestione non erano ammesse azioni dei creditori della società o nell’interesse dei medesimi;
  * che, per converso, le azioni dei creditori dei singoli clienti erano ammesse nei limiti del patrimonio di loro proprietà.
E tale riconoscimento è stato successivamente ribadito dal D. Lgs. 23 luglio 1996, n. 415 che, nel dettare le nuove norme relative ai servizi d’investimento nel settore dei valori mobiliari, ha abrogato tali disposizioni (art. 66, 2° comma, lett. b), ma ha confermato che la disciplina delle società fiduciarie continua ad essere caratterizzata, per tale aspetto, dai principi concernenti le società d’intermediazione (art. 60, 4° comma), in relazione alle quali si prevede ora che gli strumenti finanziari e lo stesso danaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dall’impresa di investimento, nonché gli strumenti finanziari dei singoli clienti, a qualunque titolo dalla banca, “costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti” (art. 19, 1° comma).

6. Detto principio, peraltro, doveva ritenersi vigente nel nostro ordinamento, già prima dell’entrata in vigore di tali norme.
Invero, la qualificazione del fiduciante quale “effettivo proprietario” dei titoli affidati in amministrazione fiduciaria (retro, 5.1) rendeva palese l’intento di attribuire a detto soggetto una tutela di carattere reale, azionabile in via diretta ed immediata nei confronti di ogni consociato.
Questa Corte ha già avuto occasione di statuire che “il proprium del rapporto” intercorrente tra la società fiduciaria e i fiducianti “consiste nell’intestazione di . . . [beni] appartenenti effettivamente ad altri proprietari” e che, pertanto, la proprietà della società fiduciaria, pur non potendo dirsi “fittizia” (perché effettivamente voluta, e appunto per questo estrinsecantesi in obblighi di gestione e di garanzia degli “effettivi titolari”), ha carattere “formale” (sent. 10 dicembre 1984, n. 6478). E, muovendo da tale premessa, ha negato che il patto fiduciario abbia “carattere meramente obbligatorio”, osservando che la discrepanza del mezzo usato rispetto all’intento pratico perseguito dalle parti (intestazione, anziché mandato ad amministrare), non assume rilevanza sul piano giuridico in quanto il fiduciante, malgrado l’intestazione del bene alla società fiduciaria, ne conserva la proprietà “effettiva” ed è quindi in grado di disporne, senza necessità di alcun formale “ritrasferimento” di detto bene da parte della fiduciaria.
La decisione, resa a Sezioni Unite, aveva specifico riferimento agli aspetti tributari dell’intestazione fiduciaria. Ma i principi in essa affermati - come è stato chiarito da questa stessa Corte con una successiva sentenza con la quale si è escluso, in un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di clausole testamentarie, che il contraddittorio dovesse essere integrato nei confronti di coloro che risultavano titolari dei beni caduti in successione in qualità di “semplici fiduciari (Cass. l° luglio 1993, n. 7186) - avevano una portata più generale e ponevano le premesse per attribuire rilievo alla posizione del fiduciante anche nell’ambito dei rapporti interprivati e, in particolare, nei confronti dei creditori del fiduciario.
L’esattezza di tale conclusione - che trova una significativa conferma nel fatto che la società fiduciaria era priva del potere di disporre dei beni ad essa affidati dai clienti (retro, 4) - è ulteriormente avvalorata dalla circostanza che le società fiduciarie dovevano già allora depositare i valori mobiliari e le disponibilità liquide dei fiducianti presso aziende di credito in conti rubricati come di ‘’amministrazione fiduciaria”, sottratti ad ogni possibilità di compensazione (Circ. Min. Ind. 5 maggio 1989, n. 3188/C, [G.U. n. 111 del 15 maggio 1989], §§ 17.4, 17.5) e istituire, all’atto della notifica del decreto di autorizzazione, un “Libro dei fiducianti”, con l’annotazione delle generalità dei fiducianti, delle somme di denaro e dei valori mobiliari conferiti con il rispettivo valore di carico (ivi, § 18) . E che da non diversi principi, in base a quanto stabilito dalle norme valutarie allora vigenti (le quali non a caso qualificavano il fiduciante come “effettivo proprietario”: art. 20, D.M. 12 marzo 1981, G.U., S.O., n. 82 del 24 marzo 1981), era regolata l’intestazione al nome di società fiduciarie di titoli emessi o pagabili all’estero.
Tali modalità operative, chiaramente ispirate dall’esigenza di tenere distinti i valori mobiliari e le disponibilità liquide dei fiducianti dal patrimonio della fiduciaria, spiegano perché dette società, a differenza dei semplici mandatari, fossero tenute a rivelare le generalità dei fiducianti, non solo all’amministrazione finanziaria e alle autorità preposte alla loro vigilanza (art. 1, ultimo comma, R.D. n. 239/42, cit.; art. 4 bis, 2° comma, legge 7 giugno 1974, n. 216; art. 6, 3° comma, legge 12 agosto 1982, n. 576; art. 21, 3° comma, D. Lgs. l settembre 1993, n. 385), ma anche nell’ambito di procedure concorsuali che, pur essendo caratterizzate dalla presenza di elementi pubblicistici, sono finalizzate alla tutela di interessi privati (art. 3, 9° comma, D.L. n. 26/79; art. 2, D.L. n. 233/76).
6.2. È quindi esatta l’affermazione che già allora fosse possibile trarre dal nostro sistema normativo indicazioni sufficienti a giustificare la “separazione” dei valori mobiliari affidati dai fiducianti alla società fiduciaria pur in mancanza di una loro specifica individuazione; sempre che, s’intende, l’esistenza del rapporto fiduciario risultasse da scrittura avente data certa anteriore al fallimento e la sua riferibilità, sia pure in termini quantitativi, ai titoli intestati alla società fiduciaria fosse inequivoca. 
E che, conseguentemente, nella ricorrenza di tali condizioni (che, per quanto si è detto, comportavano la permanenza del diritto di proprietà del fiduciante sui valori affidati in amministrazione fiduciaria), il fiduciante potesse far valere anche nei confronti della curatela del fallimento (o, come nel caso di specie, dagli organi preposti alla liquidazione coatta) della fiduciaria il diritto alla restituzione dei beni in precedenza affidati a tale società.
A giustificare l’accoglimento delle domande proposte sulla base dell’art. 103 L.F., che ha la finalità di depurare il patrimonio del fallito dagli elementi ad esso estranei, è invero sufficiente la dimostrazione che si è determinata una situazione idonea ad impedire che la cosa della quale si reclami la restituzione si sia confusa nel patrimonio del fallito entrando a far parte dei beni oggetto di sua proprietà.
Non può negarsi che, in linea di principio, perché si realizzi una situazione siffatta rispetto alle cose fungibili, occorre che la cosa sia determinata nella sua specifica e precisa individualità. Si è però osservato che, per l’acquisto della proprietà da parte di chi riceve in deposito una quantità di danaro o di altre cose fungibili, è necessario che a tale soggetto sia concessa (quanto meno implicitamente) la facoltà di servirsene, non essendo la natura fungibile del bene consegnato, di per sé sola, sufficiente a determinare il prodursi di tale effetto (retro, 5.1).
Le società fiduciarie non possono disporre, né possono comunque utilizzare nel proprio interesse, i beni loro affidati (retro, 5) . E la considerazione di tale aspetto, come si è visto, consente di ritenere, sulla base delle norme che prima dell’entrata in vigore della legge n. 1 del 1991 regolavano l’attività di tali società - qualificando, da un lato, i fiducianti quali “effettivi proprietari” dei beni affidati in amministrazione fiduciaria e avendo cura, dall’altro, di prescrivere che le disponibilità liquide e i valori mobiliari “dei fiducianti” dovessero essere depositati presso terzi “in conti rubricati come di amministrazione fiduciaria” - che, già allora, tali beni costituissero una massa patrimoniale “distinta”, a tutti gli effetti dal patrimonio della fiduciaria e, come tale, sottratta alle azioni esecutive dei suoi creditori.
7. La sentenza impugnata, dopo aver rilevato che nel caso di specie il problema doveva essere affrontato avendo riguardo alla situazione normativa esistente prima del nuovo regime introdotto dalla legge n. 1 del 1991, ha respinto le richieste formulate dai ricorrenti, confermando quella di primo grado, sul rilievo:
a] che le risultanze contabili non consentivano dì individuare titoli acquistati dalla società fiduciaria per conto dei fiducianti, dal momento che le poste riferibili a ciascuno di essi erano distinguibili solo da un punto di vista quantitativo, non essendo specificato il rispettivo numero di serie;
b] che erano state effettuate indebite commistioni tra i vari conti d’ordine intestati ai singoli fiducianti;
c] che il numero complessivo dei titoli azionari reclamati dai ricorrenti era inferiore a quello indicato dalla banca depositaria come ad essi spettante.
È però agevole replicare, quanto al rilievo sub a):
  * che il permanere in capo ai fiducianti, per le ragioni già indicate, della proprietà sui beni affidati alla fiduciaria è sufficiente a giustificare l’accoglimento della domanda ex art. 103 L.F..
E, quanto agli altri:
  * che l’eventuale commistione dei conti tra i fiducianti non è di per sé idonea ad impedire il riconoscimento della “separatezza” dei beni intestati alla società fiduciaria nell’interesse di tali soggetti rispetto agli altri beni facenti capo a detta società poiché tale “commistione” non coinvolge i rapporti tra i fiducianti e la fiduciaria, ma è limitata a quelli che intercorrono tra i singoli fiducianti nell’ambito di una massa patrimoniale composta di beni dei quali i fiducianti (e non la fiduciaria) sono i proprietari “effettivi”;
  * che del pari priva di rilevanza è, di per sé, la circostanza che i fiducianti domandino la restituzione di un numero di azioni inferiore a quello indicato dalla banca depositaria come ad essi spettante, posto che nulla vieta all’attore di circoscrivere l’oggetto delle proprie richieste ad una parte soltanto di quello cui avrebbe diritto. (omissis)

Separazione dei patrimoni ed azioni recuperatorie nelle procedure concorsuali relative alle società fiduciarie.
di Francesco Macario
(torna alla sentenza)
1. Con una decisione coraggiosamente innovativa la Cassazione si distacca dall’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza di merito. In rapida sintesi, con riferimento alla medesima vicenda (la liquidazione coatta amministrativa della società fiduciaria Fundus), si può ricordare che la prima sentenza edita è quella emessa da Trib. Torino, 7 luglio 1988 (in Dir. fallim., 1989, II, 869; Nuova giur. civ., 1989, I, 893 con nota di BAZZANI), la quale stabiliva che l’obbligazione di restituzione dei titoli al fiduciante, in caso di scioglimento del contratto, ha carattere obbligatorio e non reale, ove - sembra persino tautologico - il fiduciante non possa vantare un diritto reale sui titoli prima della loro individuazione. Alternativamente, si diceva in quella sentenza, potrebbe prospettarsi un’obbligazione di facere a carico della società, qualora si ponga in rilievo l’obbligo di individuazione dei titoli nell’ambito dell’intero patrimonio “fiduciario” della società. A distanza di qualche anno, sempre il Tribunale di Torino, con sentenza 10 gennaio 1991 (in Fall., 1991, 1073), affermava che il procedimento per la rivendica, restituzione e separazione dei beni dell’attivo concorsuale, previsto per le cose mobili determinate non fungibili, è sicuramente applicabile ai titoli di credito (obbligazioni emesse da società od enti pubblici) ed ai titoli del debito pubblico, a patto però che questi siano individuati nei loro elementi specifici che valgano a distinguerli da ogni altro bene facente parte dell’ampio genus e sempre che il richiedente abbia provveduto a compiere l’attività di specificazione (con il chiarimento, di fatto preclusivo del profittevole esercizio dell’azione recuperatoria da parte dei fiducianti, che la specificazione sarebbe stata possibile alla società fiduciaria, ma non ai suoi commissari liquidatori). In concreto, pertanto, la domanda di rivendica ovvero di separazione veniva rigettata. E sempre il Tribunale di Torino - si tratta, in questo caso, proprio della sentenza di primo grado nella causa decisa dalla Corte Suprema - statuiva, a breve distanza di tempo dalla pronuncia appena ricordata, che il procedimento per la rivendica, restituzione e separazione di beni mobili dall’attivo concorsuale, ai sensi dell’art. 103 L.F., non è applicabile a “quote parti” di titoli, essendo previsto esclusivamente per le cose mobili determinate, non fungibili; di modo che non sono rivendicabili quei titoli che non siano individuati con 
il numero del certificato, unico elemento (oltre l’intestazione cartolare) idoneo ad assicurare la specificazione in capo al soggetto che agisce in rivendica (così, Trib. Torino, 28 febbraio 1991, pubblicata in Banca, borsa ecc., 1992, II, 478, con note di SEPE Tutela concorsuale del fiduciante e separatezza patrimoniale nel regime della legge sulle Sim, e di MAYR, L’ambito di applicazione dell’art. 103 della legge fall.; la massima è 
riprodotta anche in Mondo bancario, 1992, fasc. 2, 48, con nota di BANI, Le società fiduciarie e la nuova disciplina dell’intermediazione mobiliare). La decisione da ultimo richiamata ammetteva, inoltre, che “il legislatore ha ritenuto di poter superare con un’apposita disciplina i ristretti limiti delineati dall’art. 103 L.F. e dagli artt. 1706-1707 cod. civ., anche se poi non è chiaro come potrà provvedere il commissario nel caso in cui in forza di atti di distrazione o comunque in conseguenza di violazioni di legge vi sia stata confusione tra il patrimonio della società e quello degli investitori ovvero una parte di questi ultimi sia stato distratto”. I giudici torinesi consideravano, perciò, “ragionevole ritenere che in questo caso riprendano vigore i principi generali in tema di procedure concorsuali, sia pure eventualmente nei limiti del patrimonio separato facente capo agli investitori, sì che la perdita vada ripartita pro-quota fra tutti”. 
In senso contrario alla rivendicabilità e/o separabilità dei titoli (o del denaro) appartenenti agli investitori si è poi pronunciata la giurisprudenza - sinora soltanto in sede di merito - nel caso di fallimento di una società di intermediazione mobiliare, ribadendo la regola tralaticia secondo la quale le domande di rivendicazione, restituzione o separazione, proposte ai sensi dell’art. 103 L.F., sono ammissibili soltanto con riguardo a cose mobili possedute dal fallito ed esattamente individuate per specie, non anche in relazione alle cose fungibili: cfr. Trib. Ferrara, 30 dicembre 1993 (in Banca, borsa, ecc., 1995, II, 68, con nota di MAYR, Fallimento della Sim e restituzione dei patrimoni di proprietà dei clienti; Società, 1994, 523; Fallimento, 1994, 628; Vita not., 1994, 867; cfr. anche la nota di VALENTINO, Fallimento di una Sim: ruolo e funzioni del Commissario Governativo e limiti alla restituzione dei patrimoni alla clientela, in Mondo bancario, 1994, fasc. 2, 53). E sempre con riferimento al fallimento delle società d’intermediazione mobiliare, la recente decisione Trib. Napoli, 6 giugno 1996, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 217 (e in Società, 1996, 944 con nota di FIMMANO’), ha opportunamente distinto la posizione dei clienti della Sim che hanno effettuato operazioni di acquisto, custodia ed amministrazione dei titoli, da quella di coloro che hanno intrapreso operazioni di pronti contro termine o similari su valori mobiliari conferendo somme alla Sim. I primi, ritenuti immuni - a dire dei giudici partenopei - da pericoli derivanti dalla dichiarazione di fallimento, sono stati ammessi all’azione di restituzione con i mezzi previsti dalla procedura, proprio in considerazione delle norme in tema di separazione del patrimonio dei clienti da quello della Sim. Quanto, invece, alle operazioni di pronti contro termine (nel caso di specie, su “T. bonds”), si è detto che la Sim avrebbe acquisito i titoli sulla base di un finanziamento (nella specie, pari circa all’ottanta per cento del loro valore) ed avrebbe creato un vincolo di garanzia su essi. 
In un panorama, quindi, sostanzialmente sfavorevole alla tutela degli investitori, spicca così la soluzione di compromesso, per così dire, suggerita da Trib. Torino 8 febbraio 1994 (in Dir. fallim., 1994, II, 267, con breve nota di PETRAZZINI, Fallimento della Sim e tutela dei clienti) ed in particolare dal Giudice delegato (in presenza del fallimento di una SIM) il quale, considerata la ratio legis di evitare, attraverso la separatezza del patrimonio proprio della società fallita (...), il concorso tra creditori c.d. normali ed i “clienti” della Sim”, ha invitato il curatore “a tenere distinte le masse attive e passive riferitesi ai due tipi di creditori”. 

2. La sentenza riportata supera, dunque, anche la appena menzionata soluzione compromissoria, additando una soluzione che, se appare ineccepibile in punto di diritto - si direbbe, sul piano della pura legittimità - può lasciare dietro di sé qualche perplessità...

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