G•A•L•A•T•E•O
V•E•R•D•E
 
..Un filo d’Arianna nel labirinto del linguaggio dei fiori. Codice cifrato con regole sottintese e significati misteriosi
Non c’è festa, circostanza, celebrazione privata o solenne che non coinvolga le piante o i fiori. I fiori accompagnano i momenti più importanti della nostra vita, dall’inizio alla fine, rappresentando, senza l’ausilio della parola scritta, i nostri sentimenti. Hanno dunque un peso considerevole nei rapporti sociali; è luogo comune “dirlo con i fiori”: un grazie, un omaggio, un addio, delle scuse, un farsi “presente”[1]. 
Così, nei secoli, si è formato un “galateo verde” anche con il contributo di miti, leggende, tradizioni e arti, dalla pittura alla poesia. 
Ma prima di divagare piacevolmente in compagnia di corolle e di petali dai colori delicati e dalle complesse architetture, vogliamo ricordare brevemente quella lunga ed ispirata storia biologica e naturale che ha fatto sì che un giorno nascesse, dall’universo verde del mondo primordiale, dominato dai muschi, dalle alghe, dalle felci e dalle conifere, la prima pianta con un fiore. 
Non si sa quando si schiuse e a quale specie appartenesse (forse una magnolia?) comunque l’evento risale a non meno di cento milioni di anni fa. 
E fu una esplosione, perché da allora le fanerogame hanno sommerso il pianeta dettando legge e impadronendosi di gran parte dell’habitat. Le fanerogame, tecnicamente, riescono ad imporsi grazie ad un preciso progresso del sistema di riproduzione, il fiore, quale organo sessuale manifesto che diventa lo strumento privilegiato di questa nuova strategia. 
Forme, colori, profumi, pollini odorosi e nettare sono i mezzi di seduzione usati per attrarre gli intermediari necessari a trasportare e ad incrociare i patrimoni genetici. I pronubi sono gli insetti e gli uccelli. Talvolta, anche il vento aiuta le nascite. 
Questa realtà, che oggi appare chiara ed evidente, ha però impiegato molto tempo prima di essere capita. 
Bisogna arrivare alla seconda metà del ’600 perché il botanico inglese Nehemiah Grew stabilisse che gli stami erano gli organi maschili del fiore. Linneo, nel 1735, pubblicò il suo “Sistema Naturae” dove gli stami e i pistilli venivano definiti, rispettivamente, mariti e mogli. 
A lui si attribuisce così la scoperta della sessualità vegetale. All’inizio, in verità, fu giudicato un pericoloso pervertito, afflitto da vizi e manie. Incompreso, ripiegò tristissimo sui suoi studi, ma i posteri lo chiamano il padre della botanica. 
La sessualità vegetale, confinata negli erbari e nei libri di botanica, ha comunque mantenuto la sua distanza dalle cure umane: piante e fiori rimangono ancora oggi icone di pura rappresentazione nell’immaginario collettivo. Potenza del simbolo e delle sue arcane leggi. 
E se anche un mazzo di fiori, biologicamente, non è altro che una associazione di organi sessuali, il suo misterioso codice da decifrare rimane pur sempre un omaggio universalmente gradito: tanto è vero che dividiamo i nostri gusti con gli insetti. 
Anche il linguaggio comune rileva l’influenza delle piante sulla nostra vita. Il fiore ha conquistato il vocabolario: quando le cose vanno bene sono “fiorenti”; il “fior fiore” è sinonimo di eccellenza e il “fiore della gioventù” o il “fiore della nazione” la parte eletta della comunità; essere nel “fiore degli anni” significa essere nel pieno vigore delle forze; parlare “fiorito” è sinonimo di cultura e di sapere; ferite a “fior di pelle” sono danni lievi; son tutte “rose e fiori” le cose che vanno bene e se “son rose fioriranno” quelle che nel futuro, chissà, promettono grandi cose; a “fior di labbra” si sussurra e “fior di farina” o “fior di latte” indica la parte migliore di questi alimenti. E che dire dei colori, sinonimi delle rispettive piante: rosa, viola, lillà, arancio, ciliegia e zafferano? 
Nello stilare l’elenco dei fiori che avremmo “raccontato”, abbiamo preferito scegliere i più comuni, quelli che comunque troviamo dal fiorista. 
Abbiamo aggiunto però le piante di Natale: esse, infatti, rientrano in questo codice floreale perché una forte tradizione le conferma quali doni da scambiare in questo particolare periodo dell’anno.  
Vediamo quindi, in ogni fiore, la rappresentazione di uno o più archetipi, linguaggi criptici, segni a volte oscuri, a volte divertenti, adombrati sotto veli impalpabili. Se la nostra mente riuscirà a percepire l’oggetto simbolico nascosto, avremo realizzato una più profonda conoscenza di quella lunga storia di convivenza che unisce l’uomo alle piante.più profonda conoscenza di quella lunga storia di convivenza che unisce l’uomo alle piante. 
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I•l l•i•n•g•u•a•g•g•i•o d•e•i • f•i•o•r•i
 
 
Amarillide 
 orgoglio, bellezza, superbia
  
Questo fiore appartenente anche alla pericolosa stirpe della Bella donna, è molto usato dai fioristi per la sua altera bellezza e per la sua durata, anche reciso. 
Sembra che Amarillide fosse una ninfa splendida, dalla pelle trasparente, sottile, bianchissima e dalle forme voluttuose; così come questo fiore che riesce ad eclissarne ogni altro con la sua bellezza, con la sua imponente maestosità. 
Dunque attenzione: un fiore che significa alterigia, distacco e pregiudizio. Insomma, come dire ti ammiro, ma manteniamo le distanze.
 
Anemone  
 abbandono, fragilità, vedovanza
Anche l’anemone viene coltivato con successo e si trova facilmente (da febbraio in poi) per comporre, associato alle margherite bianche, gialle e arancione, le cosiddette “primavere”, ovvero semplici bouquet che, anche in città, ricordano la freschezza della fioritura dei campi. 
Il linguaggio dei fiori sconsiglia di regalare mazzi di soli anemoni che, al contrario delle margherite, sono fiori dalla bellezza effimera, facile corrumpitur, il cui significato di fragilità è confermato dalle sue leggende. 
Nella mitologenesi di questo fiore si narra infatti che Anemone, bella ninfa alla corte di Flora, signora indisturbata del regno vegetale, avesse fatto invaghire il freddo Borea ed il leggiadro Zefiro, due venti antagonisti che iniziarono a contendersi i favori della bella ninfa, non senza gravi conseguenze di tempeste e bufere. 
L’indispettita Flora, allora, chiuse la malcapitata Anemone in un incantesimo incatenandola ai suoi due spasimanti: la corte di Zefiro l’avrebbe fatta schiudere, mentre le violente carezze di Borea avrebbero disperso nell’aria ancora fredda le fragili corolle ametistine. 
Così questo fiore, figlio del vento e del vento dolcissima vittima, rimane simbolo della caducità delle cose e dell’abbandono. 
Ecco perché per gli Egiziani e gli Etruschi era il simbolo della città dei morti e spesso, nell’iconografia medioevale, viene ritratto ai pedi della croce.  
“Passato di moda”, per molto tempo era tornato ai suoi rustici dialoghi nei boschi, per risorgere a nuova vita in epoca romantica e con i preraffaelliti, oggetto di versi delicati e malinconici e effigiato nelle splendide tavole di Sir Lawrence dedicate a Alma-Tadema. 

desolato  
Dolce fiore! che fai capolino dal tuo stelo rossiccio  
  E timido ti schiudi (perché - è strano -  
Questo mese che batte i denti, buio, intabarrato e rauco  
  La voce di Zefiro ha rubato e con voluttuoso  
Occhio azzurro ti ha fissato), ahimè, povero fiore!  
(Samuel Taylor Coleridge 1772-1834)

 
Camelia  
 Camelia bianca - amore materno  
 Camelia variegata - amore fiducioso  
 Camelia rosso chiaro - inganno  
 Camelia rosso scuro - speranza timida  
 Camelia rosa - promessa d’amore
Qui non ci sono metamorfosi di ninfe, né ombre danzanti del Parnaso, perché la camelia è un fiore orientale, coltivato con passione in Cina dove si chiama T’è , come da noi la bevanda nazionale anglosassone. 
Arrivò in Europa nel 1700 attraverso i buoni uffici di Jeorge Kamel, missionario gesuita appassionato cacciatore di piante, da cui anche il nome botanico “camellia Japonica”. Nonostante la breve convivenza con la nostra cultura, la camelia, grazie a Marguerite Gautier, è intimamente legata alle vicende d’amore, siano esse segrete e misteriose, siano esse impossibili, peccaminose, furtive, proibite o fatali. 
L’eroina del libro francese indossava solo camelie, unici fiori che non la facessero tossire. Bianche per venticinque giorni al mese e rosse per i rimanenti cinque ... 
“Una eccentricità che io onoro senza poterla spiegare” come maliziosamente racconta Duval, l’amante di Marguerite. La grande fortuna di queste piante, sostenuta dal romanzo di A. Dumas figlio e dalle note della Traviata di Verdi, non sembra avere fine. Contesa dalle corti europee, che ne possedevano intere collezioni, continua ad essere ibridata, incrociata e perfezionata in una ricerca senza fine dell’esemplare perfetto. Può essere donata come esemplare raro e come omaggio per amori languidi e romantici.
 
Gardenia  
 avvenenza, eleganza, savoir vivre 
 Anche lei di origini lontane, prende il nome dal botanico del ‘700 Alexander Garden. Pianta dai fiori splendidamente profumati, si moltiplica in circa 250 specie, ma nonostante il profumo intenso e seducente, è sempre assolutamente sconsigliato come omaggio d’amore e negli incontri al lume di candela. 
Diciamo che è un fiore mondano destinato ai frivoli scambi in società. 
Questo dice la pratica, perché qui non ci soccorre nessun mito. 
 
 
  Garofano  
 Garofano rosso - amore impetuoso e passione politica  
 Garofano striato - amore fiducioso, ma, attenzione, anche rifiuto  
 Garofano giallo - sono arrabbiato e sdegnato, disprezzo  
 Garofano bianco - fedeltà
Nonostante la sua associazione con il più comune e immortale dei sentimenti d’amore, il garofano mantiene sempre una connotazione riservata e pudica, quasi votato a casti dialoghi. Sembra che Diana, dea della caccia costretta alla verginità, si fosse incapricciata di un pastorello bellissimo. Non potendolo amare, lo accecò affinché lei fosse l’ultima donna che aveva visto al mondo. 
Gli occhi del perduto bene si trasformano in due garofani bianchi; ancora oggi, in francese, garofano si dice oeillet, occhiello, mentre l’abitudine antica di farne festose corone ha dato il nome inglese di carnation. 
Dopo il medioevo, il garofano è divenuto il fiore ufficiale dei monarchici e durante la rivoluzione francese i nobili venivano portati alla ghigliottina con un garofano bianco. Invece quello rosso prosegue la sua stagione di passione politica nell’‘800, quale emblema dei partigiani di Napoleone prima e dei socialisti dell’epoca poi. 
Oggi il garofano rosso, come simbolo politico, sta passando alterne fortune, ma rimane nelle nostre case come fiore duraturo e aromatico, compagno di quotidiane battaglie. 
 
 Geranio  
 Geranio edera - fedeltà  
 Geranio scarlatto - stanchezza  
 Geranio rosso fiamma - conforto  
 Geranio rosso scuro - malinconia  
 Geranio rosa - “voglio solo te” 
 Era una pianta molto diffusa in epoca greca, tanto è vero che il suo nome non vanta nobili natali, ma vuol dire “becco di gru” dalla forma dei carpelli dei semi che terminano con un rostro piumato anche nelle specie più comuni. Qualcuno (Madame De Staël, per esempio), li ha criticati per l’assenza del profumo; qualcun altro, come Maometto, li trovava molto salutari, ma sembra che S. Ildegarda, nel XII secolo, li raccomandasse in decotto per le loro proprietà emostatiche e antinfiammatorie. 
Sono utilissimi nel tenere lontane le zanzare. 
 
Giglio  
 Giglio bianco - innocenza, purezza, candore  
 Giglio giallo - maestà, grandezza  
 Giglio rosso - vanità 
Anthos anthèon, fiore dei fiori. Con il giglio torniamo nell’ambito dei fiori epici, quelli che hanno ispirato mistici, santi e poeti. Il giglio divide, con la rosa, il favore degli artisti per le sue valenze simboliche a causa di due caratteristiche : la sua fecondità e il candore straordinario dei suoi petali. 
In realtà il giglio è un fiore impudico, che esibisce il suo pistillo al di sopra di tutti gli stami, ma lo fa in un tale contesto di grazia e armoniosa bellezza, da trasformare il concetto di fecondità, inteso come sensuale abbraccio voluttuoso, in specchiata virtù, intesa come negazione del piacere. Scendiamo più a fondo in questi significati bipolari. 
Prima di tutto è un fiore sacro ai culti femminili primigenii. Era famosissimo a Babilonia dove risulta ispiratore sia delle sculture a intaglio dei bastoni del comando, sia delle volute dei capitelli dei templi. Alcuni ritengono che fosse proprio il giglio il fiore di ambrosia degli dei immortali dell’Olimpo greco. Non era forse nato dal latte che Era, inavvertitamente, lasciò cadere a terra, morsa da Ercole neonato, mentre con l’inganno lo rendeva immortale? 
A Roma il suo nome era Junonia rosa, consacrato alla dea della fecondità. 
L’Antico Testamento eleva il giglio a simbolo spirituale, anzi a fioritura e crescita della parola di Dio in seno al suo popolo. Nel Nuovo Testamento invece, Gesù dice: “E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano, né filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestirà come uno di loro ...” 
Abbandono dunque alla provvidenza e alle sue leggi. Compare infatti, nell’iconografia alto-medioevale, in mano all’Arcangelo Gabriele che lo offre alla Madonna quale muto pegno della volontà di Dio, consacrandone contemporaneamente la virginale maternità. 
Da usare come nobile omaggio alle persone giuste e a tempo debito.
 
Iris  
  fatalità, buone notizie 
A Firenze, nelle riservate officine di Santa Maria Novella, dove le erbe messe a seccare e gli ingredienti degli alchimisti si preparavano a diventare le migliori medicine dell’epoca, arrivavano sin dal secolo scorso numerosi carri colmi di radici di Iris raccolte sulle colline circostanti. Qui giunti, i grossi rizomi venivano messi a seccare e trasformati in polveri. Queste servivano per aromatizzare liquori, per togliere odori cattivi, per fabbricare ciprie, per preparare medicine e supplire la Violetta di Parma di cui, ancora oggi, l’Iris è il migliore e quasi inconfondibile sostituto. 
L’antica e gloriosa industria nonché l’abbondanza e la bellezza dei fiori fecero sì che i fiorentini finissero per affezionarsi all’Iris e per associarlo alla loro vita cittadina; che l’iris e non il giglio sia l’emblema di Firenze lo attesta anche il suo nome botanico Iris Florentina. Rosso in campo bianco o bianco in campo rosso, secondo il partito politico dominante, esso fu sempre l’unico valido simbolo della città e nel suo segno Firenze conquistò la libertà e l’onore. L’iris però ha una storia molto più antica. Già gli Egiziani ne coltivavano numerose varietà sulle sponde del Nilo ed i Greci ne ammiravano gli esemplari più belli e variopinti fra le rupi e le pietre dei templi. Fu anzi la loro fantasia a vedere nei petali variegati e cangianti la messaggera degli dei, Iride, che, sciolta la sciarpa multicolore, scende dall’Olimpo scivolando sull’arcobaleno. 

L’Iris tu sei, bella tra le più belle,  
Che, d’una verga d’oro armata  
E dell’azzurro celestiale alata, porti  
Di qualche Dio il messaggio.  
Tu sei la musa che, lontana dalle folle cittadine  
Frequenta i silvestri ruscelli  
Suonando sulla zampogna le semplici arie  
Che giungono a noi come in sogno.  
O fiore di giglio, continua a fiorire e lascia che il fiume  
I suoi piedi s’attardi a baciare!  
O fiore di canto, continua a fiorire e rendi per sempre  
Più bella e più dolce la terra.  
(Henry Wadsworth Longfellow 1807-1882 ) 

 
  Margherita  
 innocenza, pensiero, grazia, bontà, candore   
Chi vede mai le pratelline in boccia?  
Ed un bel dì le pratelline in fiore  
empiono il prato e stellano la roccia.  
Chi ti sapeva, o bianco fior d’amore  
chiuso nel cuore? E tutta, all’improvviso,  
la nera terra ecco mutò colore. [...]  
(Pascoli )
Fiore comune nell’area del Mediterraneo che appare all’improvviso nei prati annunciando i primi tepori della primavera. Contiene nel simmetrico avvicendarsi e sovrapporsi dei petali il significato del rinnovamento dell’anno. 
Bellis perennis in latino, margherita in italiano, daisy in inglese (cioè day’s eye), “occhio del giorno” perché sboccia al mattino e alla sera chiude i suoi petali in un sonno “vegetale”. 
Un’usanza scozzese raccomanda ai bambini di non raccogliere mazzolini ad occhi chiusi, perché il numero dei fiori del mazzetto corrisponde al numero di anni che dovranno aspettare per sposarsi. E chi non si ricorda il semplice oracolo verde dei nostri primi amori: “m’ama o non m’ama”? 
Dono innocente, un pegno non impegnativo. 
 
 Orchidea  
 la bellezza assoluta e la bellezza dissoluta 
Non si riesce a parlare dell’orchidea (poche le specie coltivate nei confronti delle 30.000 selvatiche) senza incontrare argomenti scabrosi perché nella sua morfologia, nei suoi colori e nei suoi vezzi, più di ogni altro fiore, richiama alla mente la sessualità. 
Tra l’altro la parola orchidea può derivare da orchis, testicoli. Infatti nei casi in cui il fiore, per moltiplicazione dell’apparato sotterraneo, si riproduca indipendentemente dal seme, lo pseudo tubero dell’anno precedente, a fianco a quello attivo nell’anno in corso, determina una formazione che ricorda molto i testicoli, sia per la rugosità che per il colore. 
Nel Medioevo, non solo il nome volgare era testicoli di toro, ma, per il noto principio della magia imitativa, i tuberi dell’orchidea, variamente trattati, venivano ampiamente richiesti nella composizione di bevande e cibi afrodisiaci, filtri di giovinezza ed elisir d’amore. 
Una seconda etimologia favoleggia di un bellissimo giovinetto dell’Epiro, un certo Orchide, che iniziò a vedere segni di crescita di ambedue i sessi sul suo corpo. 
Sconcertato dalla sua ambigua natura, offeso e dileggiato dai suoi coetanei, si buttò disperato da una rupe. Dal suo sangue, racconta la leggenda, spuntarono i fiori bizzarri delle orchidee. 
La struttura di questo fiore è fatta in modo tale che gli stami ed i pistilli devono ricorrere assolutamente all’impollinazione degli insetti. Questi vengono richiamati dalle forme e dagli odori che le orchidee sono in grado di cambiare dal giorno alla notte, imitando mughetti, rose o lillà, a seconda dell’insetto che devono attrarre. 
Dobbiamo allo spirito di osservazione di un magistrato la più sconcertante scoperta intorno a questo fiore. 
Nella molle cornice assolata di Algeri, durante le ore della siesta (erano i primi del ‘900, il 1916 per l’esattezza), il magistrato francese Francis Pouyanne cominciò ad osservare i movimenti che un vespone maschio compiva nel labello invitante di una Oprys Speculum. Guarda che ti riguarda, l’etologo dilettante si accorse che le spinte e le contrazioni dell’insetto non erano gesti aggressivi di violenza gratuita, ma veri e propri tentativi di copula. Pouyanne, dopo aver acquisito le certezze delle sue osservazioni, le comunicò alla comunità scientifica con regolari relazioni. Trent’anni dopo la maggior parte dei botanici, tra cui lo svedese Kullenberg, fu costretta ad ammettere che non solo il labello mimetico imita nelle forme e nei colori il seduttivo apparato sessuale femminile dell’insetto, ma anche la disposizione della peluria ed il profumo emanato. Irresistibile. Il risultato della pseudo copula è che il polline si attacca sulle varie parti della vespa sedotta ma non soddisfatta, che continua frustrata la sua ricerca posandosi su altre orchidee e fecondando così fiori lontani, ma ugualmente attraenti.  
Per riprodursi le orchidee si servono dunque di intermediari e rimangono belle, fresche e invitanti, spesso anche per diversi mesi (fino a tre), se non sono toccate dal volo dei pronubi. Quando il fiore viene fecondato, sfiorisce immediatamente producendo una grandissima quantità di minuscoli semi. L’incanto è finito. 
Fiore ambiguo: maschio per segnatura testicolare femmina per capacità di seduzione e morfologia, l’orchidea rimane un “fiore da scollatura”, una rarità dedicata a signore esigenti o a case opulente e dai saloni ampi e sontuosi, o, infine, alle serre di coltivatori pazienti come Nero Wolfe.
 
Narciso   
 fedeltà, autocompiacimento  

“ ... Richiesto il profeta Tiresia  
se quel fanciullo poteva vedere la tarda vecchiezza,  
così rispose: se non mirerà mai sé stesso!”...   
(Ovidio) 

 A malapena passati i tre lustri, lo desideravano molti giovani e molte fanciulle, ma nella sua tenera forma non ci fu alcuno che lo toccasse. 
Un giorno era presso una limpida fonte dall’acque argentine. Qui riposò dalla caccia e dal caldo il fanciullo Narciso; ma mentre spegnere vuole la sete, sorpreso dal volto riflesso nell’onda, gli occhi contempla che sembrano stelle, contempla le chiome degne di Bacco e d’Apollo e l’impuberi guance e le rosse labbra e il collo d’avorio e il candore vermiglio del volto. Senza saperlo desidera sé e dall’amore vinto si strugge Narciso, consunto da lenta passione. Poi reclina sovra l’erbe la testa sfinita, e la morte chiude gli occhi che furono folli di sé per  
l’amore. 
Lo piansero le due sorelle Naiadi che gli offrirono recise le chiome sul rogo. Pianser le Driadi, ed Eco rispose alle grida dolenti. Già preparavano il fuoco e la bara; ma più non c’era il corpo; trovarono, dove giacea, croceo fiore recinto di candide foglie nel  
mezzo. 
Questa è soltanto un riassunto della lunga storia che Ovidio narra nelle “Metamorfosi”. È uno degli episodi più belli e toccanti della mitologia classica. 
Narciso, dunque amor di sé, fiore polemico e descrittivo, dedicato a chi anche nell’amore più che la diversità cerca il suo doppio.
 
Peonia  
 nobiltà, raffinatezza, vergogna, invidia 
 La peonia orientale, quella che con le ricche corolle delicate e preziose guarnisce raramente le mostre dei nostri fioristi, era, fino alla fine dell’800, privilegio delle famiglie nobili e dei mandarini nella Cina dei celesti imperatori. 
Cantata dai poeti come “rosa esagerata, rosa dionisiaca, rosa superba, rosa senza spine ...”. deborda dalle boule trasparenti dei pittori preraffaelliti accompagnando voluttuosi abbandoni e riposi leggiadri di bellezze dalle lunghe chiome. 
La tradizione popolare delle nostre campagne la vedeva quale rimedio medicinale e duraturo contro l’epilessia, la pazzia e alcune inspiegabili febbri dei bambini. Gli si attribuivano poteri immensi, come guarire orrende ferite e, addirittura, far resuscitare i defunti. Tale convinzione traeva origine da quanto narrato da Plinio il vecchio secondo cui Peone, figlio di Asclepio, dio della medicina e anche lui ottimo guaritore, dovette rifugiarsi nel fiore superbo, con una salvifica metamorfosi, per salvarsi dalle ire del maestro padre di cui aveva superato l’arte. 
Fiore difficile da coltivare e, se reciso, di breve durata. Un omaggio prezioso e raro.
 
 Rosa  
 Rosa bianca - purezza  
 Rosa gialla - infedeltà  
 Rosa selvatica - poesia  
 Rosa rossa - passione  
 Rosa rosa - amore nascente  
 Rosa screziata - armonia e voluttà 
 Per cercare i segni dell’origine delle rose, bisogna risalire al Giardino Terrestre, quando, prima del peccato originale, la regina dei fiori imperava senza spine. 
Almeno a sentire Sant’Ambrogio che, nell’Acta Sanctorum, così ci ricorda “il più bello dei fiori sbocciava a primavera senza ferire la mano che lo coglieva ...”. 
Un poeta persiano, purtroppo rimasto anonimo, intorno all’anno Mille ammonisce: “Se hai due soldi spendine uno per il pane, con l’altro compra rose per il tuo spirito”.  
Amore terrestre e amore celeste sono gli argomenti della storia della rosa, in cui sacro e profano si intrecciano continuamente. 
Sembra che Clori, dea dei fiori, ebbe bisogno di un consesso di dei per creare la rosa: ad Afrodite chiese la bellezza, a Dioniso il nettare per il profumo, alle tre Grazie fascino, splendore e gaiezza, ad Apollo la luminosità e, a Zefiro, una vita senza nuvole. Tanta bellezza non poteva che essere dedicata ad Afrodite, che, all’inizio, si fregiava infatti di rose bianche. 
Purtroppo sia lei che Persefone si contendevano i favori di Adone, un giovane avvenente che, invece, stava bene con tutte e due. Quando in una contesa d’amore senza esclusione di colpi una delle due lo sequestrò in un bosco, impedendogli il ciclico avvicendamento, l’equilibrio si ruppe e il dio della guerra, sotto le sembianze di un feroce cinghiale (anche lui aveva i suoi motivi di gelosia) ebbe così modo di ferire a morte l’audace e rivale giovinetto. Afrodite accorse nella selva lacerandosi le vesti per soccorrerlo e lo trovò morente vicino ad un cespuglio di rose bianche che si tramutarono in rosse dalla sua passione d’amore fatale. 
Dunque fiore caro agli dei, ai re ed alle regine. Cesare faceva intrecciare ghirlande di rose per il suo capo, mentre Cleopatra dormiva su materassi di rete imbottiti di petali di rose sempre freschi e pretendeva che le vele delle sue navi personali fossero intrise di olio di rose perché, con il vento, un intenso profumo annunciasse l’arrivo della regina d’Egitto. 
Con le rose i romani aromatizzavano vino e miele, preparavano dolci e focacce. 
In epoca repubblicana l’uso delle rose era austero e limitato al giorno dei trionfi (le corone non erano di alloro ma, come abbiamo visto per Cesare, erano di rose), all’ornamento della casa, delle tombe ed alle ghirlande per gli innamorati. 
In epoca imperiale, complice l’introduzione di fastose abitudini orientali, l’utilizzo del fiore divenne esagerato. Navi cariche di rose giungevano da Alessandria, sulla costa nord-africana, mentre a Roma le serre, coperte con tetti di selenite (gesso in forma di cristalli chiari, incolori) e riscaldate da tubazioni di acqua calda, garantivano la fioritura delle rose anche in inverno. 
Stanze con pavimenti ricoperti di petali di rose che arrivavano fino al ginocchio, materassi e cuscini riempiti di petali e fontane nelle quali scorreva acqua di rose, non erano insoliti. 
Il poeta romano Orazio osservava che i fertili campi d’Italia erano stati trasformati in roseti; gli ulivi venivano trascurati a favore di rose e viole. Un tenore di vita tanto lussuoso non giovava certo all’economia, come fa notare con arguzia Marziale: “Oh! Egiziani, inviateci il grano, e noi vi spediremo le rose in cambio!” 
Nell’81 d.C., durante il regno di Domiziano, si diceva che a Roma il profumo delle rose fosse opprimente. 
Il 23 aprile, le etere sfilavano per la Città Eterna adornandosi di corone di rose e mirto in onore di Venere Erycina. In Grecia, Solone costrinse le donne di vita ad indossare vesti colorate e da allora, tra la rosa e chi vende l’amore, rimane un legame molto forte tanto che, non solo nel Medioevo, le prostitute erano obbligate a portare una rosa al seno (in Francia erano infatti chiamate roses).  
Nella puritana Inghilterra, fino ad un secolo fa, la lettera “A” scarlatta, derivata dal colore della rosa, indicava l’adultera. Ancora oggi, “vicolo della rosa” o “via della rosa” ricordano strade in cui erano collocate case chiuse. 
Rosa profana era quella cantata dai trovatori, tutti presi dall’amor cortese dove il bocciolo da schiudere e la rosa purpurea da rubare simboleggiano il raggiungimento dell’intimità. 
E ci piace chiudere questa divagazione sulla rosa profana con un brano di D’Annunzio tratto da “Il Piacere”: 
“ ... Ella entrò portando nella sopravveste e tra le braccia un gran fascio di rose rosse, bianche, gialle, vermiglie, brune. Alcune, larghe e chiare come quelle di villa Pamphili, freschissime e tutte imperlate, avevano un non so che di vitreo tra foglia e foglia; altre avevano petali densi e una dovizia di colore che faceva pensare alla celebrata magnificenza delle porpore d’Elsa e Tiro; altre parevano pezzi di neve odorante e facevano venire una strana voglia di morderle; altre erano di carne, veramente di carne”. 
Carlo Magno imponeva ai conventi, nei suoi “capitolari”, di coltivare nell’orto insieme ai “semplici”, cioè piante medicinali e aromatiche, anche i gigli e le rose e questo grazie ad un particolare rapporto che egli aveva con questo fiore, al quale era particolarmente affezionato. Fu così che fece piantare un roseto nel chiostro della cattedrale di Hiendesheim, nella bassa Sassonia. 
Il rosaio di Carlo Magno visse bene fino al 1880 (cioè ben mille anni) quando furono necessarie alcune bonifiche. Nella seconda guerra mondiale la città fu bombardata. Quando, con la fine delle ostilità, si iniziarono i restauri del Chiostro della cattedrale, ci si accorse che le radici delle piante di Carlo Magno erano ancora sane. Infatti, nello spazio di poco tempo, la pianta rifiorì. 
La perfezione della simmetria del fiore, la sua struttura concentrica, l’avvolgersi dei suoi petali verso il cuore del fiore, la sua effimera bellezza “Rosa simil florunt et statim peruit”, evoca il ciclo vita-morte-vita, la ruota del tempo che passa e ripassa, intorno al suo centro vitale da identificare nel Cristo Pantocrate. L’Uno dal quale trae origine la molteplicità, il cosmo. 
Complicate simbologie che solo profondi studiosi di teologia potrebbero spiegare, associano le rose al fuoco dello Spirito Santo. 
Ma proprio dal centro di culto di Chartes, cattedrale gotica dai rimandi templari, prende il via il ricongiungimento tra i culti della Grande madre precristiana e la Santa Vergine, la madre di Dio e la rosa diventa mistico simbolo di integrità originale e conoscenza assoluta.
 
Tulipano  
 Tulipano rosso - dichiarazione d’amore  
 Tulipano screziato - onestà  
 Tulipano giallo - amore disperato 
 Il tulipano è un simbolo d’amore nato nel Medio Oriente: nelle Mille e una notte gli amanti si offrono tulipani quale segno di passione vicendevole; ancora oggi, in Iran, il tholypen è il fiore del primo amore. 
“Tulipant” è una parola persiana che indica un turbante e questo sinonimo fu comunemente accettato nelle corti d’Europa in cui la coltivazione si diffuse da Vienna, dove l’ambasciatore Ogier de Busbecq lo importò da Costantinopoli fino all’Olanda. 
Ma all’inizio non fu tutto così facile. Infatti i cacciatori di piante partivano dalla Turchia con i bulbi chiusi nelle valigette diplomatiche per raggiungere, a Bruges, la casa della famiglia Van den Beurse. All’inizio sia le piante che i tuberi venivano fisicamente importati poi, per paura dei furti, si cominciò a contrattare per procura e con lettere di credito. 
Sembra che da questi scambi fiorenti e da queste contrattazioni sia nata quella che oggi è la borsa. La febbre del tulipano provocò ricchezze incredibili e altrettanto rovinose perdite ai mercanti che ne avevano gonfiato troppo le quotazioni. Si racconta di gente disposta a pagare una follia per un solo bulbo; questa mania che colpì l’Olanda è molto ben raccontata da Dumas padre nel romanzo “Il Tulipano nero”. 
Si scommetteva sul colore delle varietà, sulle novità selezionate e, mentre i fiamminghi facevano trionfare i tulipani nelle loro composizioni artistiche, in Francia costituivano anche oggetto di dote: pochi bulbi potevano valere il matrimonio di una fanciulla in “fiore”.
 
Viola  
 pensami, sono modesto ma ..., tranquillità del cuore 
Viola dorata, viola tricolor, viola mammola, la “panzè”, ovvero la pansée dei francesi, vellutato segnalibro romantico che trascolorava nei libri delle nostre nonne.