g•i•u•r•i•s•p•r•u•d•e•n•z•a
d•i • l•e•g•i•t•t•i•m•i•t•à
Note e dibattiti 1998
di Andrea Pietrolucci
 
Corte di cassazione - Sez. I Civile - sent. 6 settembre 1997, n. 8662 - Pres. Sensale - Est. De Musis - P.M. Giacalone (concl. conf.) - Banca Commerciale Italiana s.p.a. (avvocati Ciccotti e Fioretta) c. Fallimento Hidromac Spa (avvocati Romanelli e Jorio). Conferma App. Torino 23/5/1995. 

FALLIMENTO - REVOCATORIA FALLIMENTARE - SCONTO DI PORTAFOGLIO COMMERCIALE - RIMESSE DEL FALLITO - NATURA SOLUTORIA - SUSSISTENZA. (artt. 1842, 1843, 1852 cod. civ.; art. 67 L.F.) 
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Dal contratto di apertura di credito quale disciplinato dal cod. civ. discendono l’obbligo della banca di tenere la somma, predeterminata nell’ammontare e per il periodo stabilito, a disposizione del cliente e il diritto di questi di disporre della stessa, in più volte e secondo le forme di uso se non è stato convenuto altrimenti, come previsto dall’art. 1843, ovvero in qualsiasi momento, salva l’osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito, se l’apertura è regolata in conto corrente, a norma dell’art. 1852. Non concretano diversamente l’apertura di credito i contratti i quali, pur prevedendo la concessione di un fido al cliente, non determinano con immediatezza l’insorgenza dell’obbligazione della banca e del corrispondente diritto del cliente, ma prevedono che il fido sarà completamente operante al momento del compimento di determinati atti e del realizzarsi di determinate condizioni o circostanze e solo nell’ammontare corrispondente alla concreta operazione correlata a quell’atto, a quella condizione o a quella circostanza. Consegue che, relativamente a tali contratti diversi dall’apertura di credito, i versamenti effettuati dal cliente sul conto corrente non possono essere considerati atti di natura ripristinatoria della provvista correlata al fido e, come tali sono revocabili ai sensi dell’art. 67, 2° comma, L.F. (nel caso di specie la banca aveva concesso alla società successivamente fallita due fidi, uno per sconto di portafoglio commerciale e uno per anticipazioni su divisa export) (Massima ufficiale)[1]. 

(omissis) 
L’art. 1842 cod. civ. dispone che “l’apertura di credito bancario è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato”: dal contratto quindi discendono l’obbligo della banca di tenere la somma (predeterminata nell’ammontare e per il periodo stabilito) a disposizione del cliente e il (correlato) diritto di costui di disporre della stessa (in più volte e secondo le forme di uso se non è stato convenuto altrimenti - art. 1843 cod. civ. - oppure in qualsiasi momento, salvo l’osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito, se l’apertura è regolata in conto corrente - art. 1852 cod. civ. -). 
Il connotato fondamentale dell’apertura di credito come disciplinata dal cod. civ. pertanto è che gli effetti che essa produce, e che sono stati più sopra individuati, derivano direttamente e immediatamente dal contratto, nel quale trovano la loro unica fonte non solo nel senso - ovvio - che la stipulazione è sufficiente senza che occorra che - pur sempre rimanendo il contratto la fonte degli stessi - debbano verificarsi ulteriori circostanze o realizzarsi ulteriori condizioni. 
Consegue che non concretano l’apertura di credito prevista dal cod. civ., e come più sopra individuata, i contratti i quali, pur prevedendo la concessione di fido, non determinano con carattere di immediatezza la insorgenza dell’obbligazione della banca e del corrispondente diritto di credito del cliente. 
Non si vuol cioè prendere posizione sul se anche a detti altri contratti competa la qualifica di apertura di credito, con tale espressione intendendosi che (anche) con essi la banca concede fido al cliente né sul se a tali contratti si applichi la stessa disciplina che il cod. civ. prevede per l’apertura di credito da esso regolata; si vuol solo affermare che da detti contratti non scaturiscono quegli effetti tipici del contratto disciplinato dal cod. civ., effetti sulla base dei quali occorre risolvere la questione che l’attuale controversia pone, e cioè se, al fine della revocatoria fallimentare, costituiscono o no atti solutori i versamenti effettuati dalla società sul conto corrente bancario. Ora negli altri contratti l’obbligo della banca e il diritto del cliente non sorgono nella loro concretezza con la stipulazione del contratto ma abbisognano, per la loro insorgenza, della mediazione di una circostanza esterna al contratto, ulteriore e futura rispetto a questo. 
In breve anche in detti contratti, al pari che nella tipica apertura di credito, la banca concede un fido al cliente, ma in essi si conviene non - come invece si pattuisce nella tipica apertura di credito - che con carattere di immediatezza la banca ponga una somma determinata a disposizione del cliente e costui abbia il diritto di credito di tale somma, ma che il fido sarà concretamente operante con la produzione di detti effetti non immediatamente ma: a) solo al momento del compimento di determinati atti o del realizzarsi di determinate condizioni o circostanze e; b) solo nell’ammontare corrispondente (e nel limite dell’intero ammontare del fido) alla concreta operazione correlata a quell’atto, a quella condizione o a quella circostanza. 
In detti contratti quindi sia l’obbligo della banca che il diritto di credito del cliente sorgono condizionati sia nella loro esistenza che nel loro concreto ammontare: prima del verificarsi della condizione, pertanto, il cliente non può disporre di alcuna somma e ciò comporta che un eventuale versamento, da parte del cliente stesso, di somme sul suo conto corrente intrattenuto presso la banca, non potrebbe concretare atto di natura ripristinatoria della provvista correlata al fido. 
Nel senso indicato peraltro è l’orientamento di questa Corte (da ultimo: Cass., n. 1083/1997).  
Il motivo è pertanto infondato perché con esso si pone la questione astratta della equiparabilità di tutte le concessioni del fido - o se più piace di tutte le aperture di credito - all’apertura di credito quale specificamente prevista dal cod. civ., e cioè con gli effetti dei quali si è detto, e non anche la questione “concreta” che i fidi specifici che la Corte d’appello ha ritenuto concessi avessero prodotto i (medesimi) ripetuti effetti per determinate somme corrispondenti a determinate operazioni poste in essere. 
(omissis) 

[1] Concessione di fido senza apertura di credito e natura della rimessa
(di Andrea Pietrolucci)
La sentenza in commento segue il recente orientamento della Suprema Corte che differenzia, ai fini dell’azione revocatoria fallimentare, il contratto bancario di apertura di credito, di cui all’art. 1842 e ss. cod. civ., rispetto alle differenti operazioni bancarie relative alla concessione di credito, variamente denominate, in senso giuridicamente atecnico, come “sconto di portafoglio commerciale”; “anticipazioni su divisa export”; “anticipi fronte portafoglio appunti commerciali”; “castelletto di sconto”; ecc. [1] 
In particolare, nella sentenza in commento la Suprema Corte, confermando il decisum della Corte di Appello di Torino, ha premesso: 
  che, ai sensi dell’art. 1842 cod.civ., l’apertura di credito bancario è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato; 
  che da tale contratto discendono, quindi, l’obbligo della banca di tenere la somma (predeterminata nell’ammontare e per il periodo stabilito) a disposizione del cliente ed il (correlato) diritto di costui a disporre della stessa durante tutto il periodo di disponibilità; 
  che, pertanto, il connotato fondamentale di tale contratto è che gli effetti che esso produce, sopra indicati, derivano direttamente e immediatamente dal contratto stesso, nel quale trovano la loro unica e sufficiente fonte; non solo nel senso ovvio - che la stipulazione del contratto determina la loro insorgenza, ma anche nel senso che detta stipulazione del contratto è sufficiente a tale prodursi di effetti, senza che occorra che debbano verificarsi ulteriori circostanze o realizzarsi ulteriori condizioni; 
  che diversamente, non concretano un’apertura di credito, così come disciplinata dal cod.civ., quelle operazioni bancarie che, pur prevedendo la concessione di un affidamento, non determinano con carattere di immediatezza l’insorgenza dell’obbligazione della banca di porre a disposizione del cliente una somma determinata ed il corrispondente diritto del cliente ad utilizzare tale provvista (eventualmente ripristinandola) per tutta la durata del contratto; 
  che la banca aveva concesso alla società poi fallita due fidi, uno per sconto di portafoglio commerciale ed uno per anticipazioni su divisa export, entrambi entro un limite predeterminato; 
  che occorreva, pertanto, stabilire se dalle operazioni bancarie in oggetto scaturissero o meno quegli effetti tipici del contratto di apertura di credito di cui agli artt. 1842 e ss. cod.civ., sulla base dei quali risolvere la questione concreta, relativa al fatto se le rimesse via via effettuate dalla società costituissero o meno atti solutori. 
Sulla base di tali premesse la Corte, quindi, ha osservato: 
a] che nei contratti in oggetto era stato pattuito che il fido sarebbe stato concretamente operante solo al compimento di determinati atti o al realizzarsi di determinate condizioni o circostanze e solo nell’ammontare corrispondente alla concreta operazione correlata a quell’atto, a quella condizione o a quella circostanza; 
b] che in detti contratti, a differenza che nell’apertura di credito, sia l’obbligo della banca che il diritto di credito del cliente erano sorti condizionati, sia nella loro esistenza che nel loro concreto ammontare; 
c] che, non potendo il cliente disporre di alcuna somma prima del verificarsi della condizione, i versamenti effettuati dallo stesso sul proprio conto corrente non concretavano atti di natura ripristinatoria della provvista correlata al fido; 
d] che, parimenti, al verificarsi del termine di scadenza del credito scontato, la banca diventava creditrice della somma anticipata, con il suo conseguente diritto a trattenere immediatamente le somme versate dal terzo debitore o dal cliente. 
La questione della natura giuridica dei contratti bancari e dell’ambito di applicazione della disciplina normativa per essi dettata è stata particolarmente dibattuta, sia in dottrina che in giurisprudenza, proprio per quanto riguarda il rapporto di omogeneità od autonomia sussistente tra il contratto di apertura di credito ed il contratto c.d. di “castelletto di sconto”.[2]  
Di contro, nella sentenza in esame, la Suprema Corte non ha preso (volutamente) posizione sul se competa anche al contratto di sconto di portafoglio clienti la qualifica di contratto di apertura di credito né sul se a tale contratto si applichi la relativa disciplina codicistica (artt. 1842 e seg.)[3], limitandosi ad affermare che da tali contratti di sconto (e/o anticipazione su divisa export) non scaturiscono gli effetti tipici del contratto di apertura di credito. Effetti sulla base dei quali è stato ritenuto possibile risolvere la questione concreta se, al fine della revocatoria fallimentare, i versamenti in conto corrente effettuati dal cliente affidato costituiscano o meno atti solutori. 
Tale ristretta e rigorosa osservazione della Suprema Corte sembra cogliere nel segno. 
Le rimesse effettuate dal cliente sul conto corrente d’appoggio, a fronte ed in costanza di un contratto di apertura di credito (qualora non siano destinate a coprire uno scoperto rispetto al limite di fido concesso), sono, infatti, ritenute dalla giurisprudenza ripristinatorie del credito messo dalla banca a disposizione del cliente.[4] 
Questo, come intende la sentenza in esame, proprio in virtù degli effetti tipici del contratto di apertura di credito, cioè a fronte della messa a disposizione a favore del cliente, con carattere di immediatezza dalla stipulazione del contratto, di un credito 
predeterminato nell’ammontare e per un periodo stabilito; eventualmente anche con la facoltà per il cliente di ripristinare la provvista. 
Di contro, gli effetti scaturenti dalle operazioni bancarie quali il castelletto di sconto o, come nel caso de quo, lo sconto di portafoglio commerciale, a prescindere dalla loro natura giuridica e dalla loro autonomia o collegamento rispetto ad altri contratti bancari, non sembrano possedere i medesimi caratteri. 
Da tali operazioni, infatti, non deriva l’immediata messa a disposizione del cliente di una risorsa finanziaria, poiché questa è differita alle singole operazioni di sconto di effetti o di altri titoli scontabili ed a condizione che questi presentino i requisiti richiesti dalla banca.[5] 
Ne consegue che le rimesse effettuate dal cliente prima del verificarsi di tali condizioni (come nel caso della sentenza in esame), non destinate a ripristinare alcun credito, non ancora sussistente, non possono ritenersi ripristinatorie. 
Ad eguale conclusione si giunge, inoltre, anche per il pagamento da parte del terzo del titolo scontato o per le eventuali rimesse in conto corrente effettuate dal cliente a seguito del ritorno insoluto del titolo scontato. 
Tali rimesse, infatti, devono ritenersi solutorie del diritto di credito sorto a favore della banca e nei confronti del cliente (credito immediatamente inserito dalla banca quale posta passiva del conto corrente d’appoggio) a seguito del mancato adempimento del creditore ceduto. 
In altri termini, mentre con un’apertura di credito per una determinata somma, quale contratto consensuale con effetti obbligatori immediati, il cliente assume subito il diritto di utilizzare la provvista, in tutto o in parte (ed, eventualmente, ripristinandola) e non ha obbligo di restituzione se non alla scadenza, con la concessione di un castelletto di sconto di portafoglio commerciale di pari importo, il cliente non assume alcun diritto di credito, ma il ben diverso diritto di ottenere dalla banca singoli negozi di sconto di titoli, entro l’impegno complessivo predeterminato (il c.d. castelletto). Singoli negozi di sconto la cui accettazione da parte della banca rappresenta una condizione per il sorgere del credito a favore del cliente e rispetto ai quali la scadenza del titolo, con il conseguente diritto della banca all’incasso, rappresenta, di contro, il termine ultimo di restituzione per ciascuna somma accreditata. 
La ricostruzione sopra esaminata trova sostanziale conferma sia in dottrina che in giurisprudenza, pur in presenza di differenti interpretazioni dei contratti in esame. Infatti, la dottrina ha ritenuto che: 
1] il castelletto di sconto consiste in un contratto normativo la cui funzione è soltanto quella di fissare il contenuto dei contratti di sconto che verranno stipulati con il cliente e di determinare il limite massimo di fido oltre il quale la banca stessa non prenderà in considerazione altre proposte di sconto;[6] 
2] il castelletto di sconto non ha alcun contenuto obbligatorio, consistendo esclusivamente nel limite massimo di credito che un istituto bancario ritiene di poter accordare ad uno stesso cliente;[7] 
3] il castelletto di sconto è il contratto - atipico ed incoercibile ex art. 2932 per mancanza di individuazione delle cambiali oggetto dei futuri sconti - con il quale la banca si impegna a scontare, per un determinato massimo ammontare, le c.d. cambiali bancabili che il cliente le presenterà, prefissando il tasso di sconto.[8] 
A fonte di tale palese diversità dell’obbligazione assunta dalla banca con un contratto di sconto rispetto ad un’apertura di credito, dopo una datata giurisprudenza di merito che affermò che la causa dello sconto resterebbe assorbita nella più ampia fattispecie costituita dall’apertura di credito in conto corrente, con una sostanziale identità tra i due contratti,[9] l’interpretazione più recente, anche della Suprema Corte, tra cui, anche se limitatamente agli effetti del contratto, può includersi la sentenza in esame, ha costantemente affermato che tra il contratto di apertura di credito ed il contratto di sconto vi è una diversità causale che comporta l’autonomia dei due negozi a prescindere dal loro possibile analogo collegamento ad un contratto di conto corrente.[10] 
Ai fini della revocatoria fallimentare, quindi, secondo tale corretta interpretazione, qualora su di un medesimo conto corrente la banca ed il cliente intrattengano più rapporti di credito, quali, ad esempio, di apertura di credito e di sconto portafoglio commerciale, per la revocabilità delle singole rimesse (quindi, per la valutazione della natura ripristinatoria o solutoria delle stesse) si deve avere riguardo a quale dei singoli rapporti debbano essere riferite, non potendo essere le stesse considerate quali atti di un unico rapporto di apertura di credito genericamente considerato.