m•a•s•s•i•m•a•r•i•o 
d•e•l•l•a • s•u•p•r•e•m•a c•o•r•t•e • d•i
c•a•s•s•a•z•i•o•n•e
 
SEZ. U SENT. 11350 DEL 11/11/1998  
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - PAGAMENTO DI DEBITI LIQUIDI ED ESIGIBILI - IMPRESE CREDITRICI OPERANTI IN REGIME DI MONOPOLIO LEGALE – SOGGEZIONE - ESCLUSIONE. 
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L’art. 67 L.F., nel prevedere l’esperibilità dell’azione revocatoria per i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, presuppone che il creditore soddisfatto abbia avuto la possibilità, conoscendo l’insolvenza del debitore, di sospendere o rifiutare la propria prestazione; ne consegue che, nella ipotesi di contratti di somministrazione in regime di monopolio, poichè ai sensi dell’art 2597 cod. civ., l’obbligo del monopolista di contrarre con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa riguarda non solo la fase genetica ma anche quella funzionale del rapporto, (dovendosi ritenere che il legalmonopolista non può rifiutarsi non solo di concludere il contratto, ma anche di eseguire la prestazione, senza che abbiano alcun rilievo le condizioni personali o patrimoniali dell’utente al momento della conclusione del contratto o durante la sua esecuzione) i pagamenti effettuati dal somministrato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento non sono soggetti alla revocatoria di cui all’art. 67 L.F., attesa l’impossibilità, per il creditore soddisfatto, di avvalersi della previsione di cui all’art. 1461 cod. civ..  
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SEZ. 1 SENT. 11297 DEL 10/11/1998  
COMPETENZA CIVILE - CONNESSIONE DI CAUSE - DIVERSITÀ DI RITO - ART. 40, 3° COMMA, COD. PROC. CIV. - PORTATA.  
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In tema di competenza per connessione l’art. 40 3° comma cod. proc. civ. - introdotto dall’art. 5 della legge 26 novembre 1990 n. 353 - si riferisce alle regole di modificazione della competenza cosiddetto per subordinazione, mentre non richiama i casi che dipendono dal cumulo soggettivo (art. 33 cod. proc. civ.). Pertanto, la diversità del rito costituisce ostacolo al simultaneus processus soltanto in queste ultime ipotesi, mentre negli altri casi (artt. 31, 32, 34, 35 e 36 cod. proc. civ.) la regola generale che la norma ha ribadito è quella del simultaneus processus anche nel caso di diversità del rito (fattispecie in cui la S.C., in riforma della sentenza impugnata, ha affermato la competenza del Tribunale fallimentare sia in ordine alla domanda proposta dall’imprenditore prima della dichiarazione di fallimento e proseguita dal curatore di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale, sia per la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto).  
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SEZ. 1 SENT. 11046 DEL 04/11/1998  
FALLIMENTO - OPPOSIZIONE ALLO STATO PASSIVO - SENTENZA - GRAVAMI - IN GENERE - COMPETENZA PER VALORE - COMPETENZA DEL TRIBUNALE - AUMENTO DELLA COMPETENZA PRETORILE IN CORSO DI GIUDIZIO - RILEVANZA – ESCLUSIONE. 
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In tema di opposizione allo stato passivo del fallimento, il principio stabilito dall’art. 99 della L.F., secondo il quale è inammissibile l’appello per le controversie non eccedenti la competenza per valore del pretore (principio applicabile anche in materia di impugnazione di crediti ammessi ex art. 100 stessa legge) si fonda sulla ratio di evitare l’appello in ordine a cause già decise dal giudice naturale del gravame avverso le sentenze pretorili, così che, in caso di aumento della competenza per valore del pretore sopravvenuto in corso di causa, la questione circa la disciplina normativa applicabile va oggi risolta alla luce della nuova formulazione dell’art. 5 cod. proc. civ. (che detta la regola della insensibilità della competenza ai mutamenti non solo dello stato di fatto, ma anche della legge vigente al momento della proposizione della domanda). La competenza pretorile ratione valoris va, pertanto, individuata, nella materia de qua, con riferimento al momento di presentazione del ricorso, con la conseguenza che, se a quella data (nella specie, anteriore al 30.4.1995) la causa di opposizione ecceda la competenza pretorile (nella specie, posta ancora entro il limite dei cinque milioni), la sentenza pronunciata dal tribunale è soggetta ad appello, e non anche a ricorso per cassazione (ammissibile, invece, nel caso in cui il tribunale avesse pronunciato su una controversia attribuita alla competenza per valore del pretore).  
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SEZ. L SENT. 11010 DEL 03/11/1998  
LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO (TUTELA REALE) - FALLIMENTO DEL DATORE DI LAVORO DOPO IL LICENZIAMENTO - INTERESSE DEL LAVORATORE ALLA REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO. 
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In caso di fallimento dell’impresa datrice di lavoro successivamente al licenziamento di un lavoratore alle dipendenze della stessa, l’interesse di quest’ultimo alla reintegrazione nel posto di lavoro, previa dichiarazione giudiziale dell’illegittimità del licenziamento, non ha ad oggetto solo il concreto ripristino della prestazione lavorativa - che presuppone la ripresa dell’attività aziendale previa autorizzazione all’esercizio provvisorio dell’impresa -, ma anche le utilità connesse al ripristino del rapporto in uno stato - per così dire - di quiescenza attiva dalla quale possono scaturire una serie di utilità, quali sia la ripresa del lavoro (in relazione all’eventualità di un esercizio provvisorio, di una cessione in blocco dell’azienda, o della ripresa della sua amministrazione da parte del fallito a seguito di concordato fallimentare), sia la possibilità di ammissione ad una serie di benefici previdenziali (indennità di cassa integrazione, di disoccupazione, di mobilità). Ne consegue che, quando il lavoratore chieda la reintegrazione nel posto di lavoro e la domanda non sia diretta al concreto immediato ripristino dell’attività aziendale, ma a conseguire le utilità collegate a detto stato di quiescenza attiva del rapporto di lavoro, il lavoratore - ferma restando la competenza del giudice del lavoro - non è tenuto ad allegare e provare la continuazione dell’attività aziendale, non costituente un fatto costitutivo della sua pretesa.  
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SEZ. 1 SENT. 10791 DEL 29/10/1998  
FALLIMENTO – PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE DELEGATO - RECLAMO - “DIES A QUO” - COMUNICAZIONE DEL PROVVEDIMENTO - EQUIPOLLENTI - LETTERE DEL CURATORE - ESCLUSIONE. 
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In tema di reclamo endofallimentare avverso i decreti del giudice delegato (art. 26 L.F.), momento iniziale di decorrenza del termine per la relativa presentazione (originariamente coincidente con la data del provvedimento del G.D.) risulta quello della comunicazione del decreto alla parte, da effettuarsi, di norma, ai sensi degli artt. 136 segg. cod. proc. civ., ovvero in forme equipollenti (quali, ad esempio, la firma “per presa visione” apposta, sul provvedimento, dal difensore), che non possono, comunque, prescindere da un’attività del cancelliere, organo infungibilmente deputato a tale incombenza processuale, giusto disposto del ricordato artt. 136 del codice di rito e dell’art. 45 disp. att. cod. proc. civ., con la conseguenza che nessuna efficacia possono rivestire, all’uopo, le eventuali missive inviate dal curatore ai creditori interessati (nella specie, contenenti la comunicazione dell’avvenuto deposito del piano di riparto dell’attivo).  
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SEZ. 1 SENT. 10615 DEL 26/10/1998  
FALLIMENTO - CURATORE - RAPPRESENTANZA GIUDIZIALE - ESTENSIONE - AZIONE EX ART. 2932 COD. CIV. - INCLUSIONE - FONDAMENTO - CONSEGUENZE. 
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Tra le fattispecie sottratte all’ambito di applicazione dell’art. 43 L.F. non possono rientrare l’azione esperibile ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. in via di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto e, con essa, la sentenza, a carattere costitutivo e in funzione sostitutiva del contratto non concluso, in esito all’eventuale accoglimento della domanda stessa. Ed infatti essa non ha ad oggetto il soddisfacimento diretto ed immediato di un credito pecuniario, ed inoltre, malgrado il tenore apparente della rubrica della disposizione e la sedes materiae , si diffenzia, nella sua peculiarità qualificante, dalle azioni esecutive individuali, onde non può configurarsi alcun profilo di inammissibilità originaria della domanda o di improcedibilità successiva della stessa, né ai sensi dell’art. 51, né ai sensi dell’art. 52 L.F. 
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SEZ. 1 SENT. 10408 DEL 21/10/1998  
FALLIMENTO – ACCERTAMENTO DEL PASSIVO – CREDITORE DEBITORE DI SOMMA INFERIORE - AMMISSIONE AL PASSIVO PER LA SOMMA RISULTANTE DALLA COMPENSAZIONE - OBBLIGO DEL GIUDICE DELEGATO DI PROVVEDERE SULL’ISTANZA. 
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Il creditore il quale assuma di essere a sua volta debitore verso il fallito per somma di danaro inferiore al proprio credito sì che se ne sia determinata la parziale estinzione per la compensazione riconosciuta dall’art. 56 L.F., è legittimato a dedurre la relativa questione in sede di verifica dello stato passivo fallimentare, nonchè a chiedere al giudice delegato di pronunciare sulla stessa e, per l’effetto, di ammetterlo al passivo per la somma conseguente al conguaglio tra le rispettive posizioni di credito - debito. In forza della suddetta richiesta il giudice delegato pronuncia sulla istanza di declaratoria della compensazione accogliendola ed ammettendo il credito al passivo per il credito residuo, ovvero respingendola, ed il rimedio processuale avverso la statuizione negativa non può che essere quello previsto dall’art. 98 L.F., per il che il creditore-debitore può proporre opposizione allo stato passivo.  
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SEZ. 1 SENT. 09092 DEL 12/09/1998  
FALLIMENTO - AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA - FATTI RILEVANTI - PROVA - ONERE DEL CURATORE. 
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Il curatore del fallimento che esperisca l’azione revocatoria ordinaria è tenuto a provare, a meno che non venga ipotizzata una dolosa preordinazione dell’atto dispositivo al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito, che il credito dei creditori ammessi o di alcuni dei creditori ammessi al passivo era già sorto al momento del compimento dell’atto che si assume pregiudizievole, quale era la consistenza dei loro crediti, quale era la consistenza quantitativa e qualitativa del patrimonio del debitore subito dopo il compimento dell’atto che si assume pregiudizievole, consentendo soltanto la acquisizione di tali dati di verificare in concreto, attraverso il loro raffronto, se l’atto in questione abbia effettivamente pregiudicato le ragioni dei creditori.  
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SEZ. 1 SENT. 08827 DEL 05/09/1998  
FALLIMENTO - ACCERTAMENTO DEL PASSIVO - IMPUGNAZIONE DEI CREDITI AMMESSI - CREDITORE IMPUGNANTE - AZIONI ESPERIBILI - REVOCATORIA - AMMISSIBILITÀ. 
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Al creditore che abbia proposto opposizione allo stato passivo ai sensi dell’art. 100 L.F. è consentito esercitare tutte le azioni volte ad escludere o postergare i crediti ammessi, ivi compresa l’azione revocatoria, dovendosi egli considerare portatore non solo del proprio interesse, ma anche di quello degli altri creditori. 
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SEZ. 1 SENT. 08787 DEL 04/09/1998  
CONCORDATO PREVENTIVO - OMOLOGAZIONE - PROVVEDIMENTI SUCCESSIVI PER LA CESSIONE DEI BENI - NATURA - IMPUGNAZIONE - RICORSO PER CASSAZIONE EX ART. 111 COST. - INAMMISSIBILITÀ.
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In tema di concordato preventivo con cessione dei beni, il controllo che, dopo la sentenza di omologazione, il tribunale esercita sulla fase liquidatoria (direttamente o per il tramite del giudice delegato) si traduce in ai che hanno come unico scopo la migliore esecuzione del concordato omologo e, sebbene dotati di natura cognitoria (autorizzazioni, apprezzamenti sulla vantaggiosità comparate delle offerte, ecc.), non incidono su posizioni di diritto soggettivo e non risolvono controversie relativamente a ti diritti, così da risultare privi di contenuto decisorio. Tali atti non sono, dunque, impugnabili con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.
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SEZ. 1 SENT. 06032 DEL 17/06/1998  
FALLIMENTO - TRIBUTO ISCRITTO A RUOLO - AMMISSIONE AL PASSIVO - NOTIFICA DELLA CARTELLA ESATTORIALE AL CURATORE FALLIMENTARE - NECESSITÀ.
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In caso di fallimento del contribuente, presupposto indefettibile dell’ammissione al passivo del credito portato dalla cartella esattoriale é la notifica della stessa al curatore fallimentare, al fine di consentirgli di eventualmente proporre ricorso contro il ruolo, così che i tributi iscritti siano ammessi con la “riserva” prevista dall’art. 45, 2° comma, del D.P.R. n. 602 del 1973.
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SEZ. 1 SENT. 05887 DEL 12/06/1998  
FALLIMENTO - TRIBUNALE FALLIMENTARE - DECISIONE DEI RECLAMI - POTERI - ACQUISIZIONE AI FINI DELLA DECISIONE DI ATTI O DOCUMENTI RELATIVI ALLA PROCEDURA FALLIMENTARE ANCHE IN MANCANZA DI CONTRADDITTORIO SUL PUNTO - AMMISSIBILITÀ.
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Il tribunale fallimentare competente, a norma dell’art. 26 L.F., a decidere sui reclami contro i decreti del giudice delegato, é l’organo preposto al fallimento e “investito dell’intera procedura” a norma dell’art. 23 L.F., perciò ben può porre a fondamento delle proprie decisioni la conoscenza ufficiale di ogni atto o documento ad essa relativa, pure se quell’atto o documento non abbia formato oggetto di contraddittorio nel procedimento in camera di consiglio. (Nella specie, proposto reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di liquidazione del compenso in favore di un avvocato che aveva assistito il fallimento in alcune controversie, il Tribunale fallimentare, in sede di reclamo, aveva acquisito documentazione formata dal curatore relativa ai compensi percepiti dallo stesso difensore per altre prestazioni professionali rese in favore del fallimento ed aveva poi deciso sul reclamo senza ammettere al contraddittorio il reclamante in ordine alla documentazione suddetta; la S.C., in attuazione del principio sopraesposto, ha rigettato il ricorso ex. art. 111 Cost. proposto avverso il decreto del Tribunale).
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SEZ. U SENT. 05761 DEL 10/06/1998  
FALLIMENTO - TRIBUNALE FALLIMENTARE - DECISIONE DEI RECLAMI - RICORSO PER CASSAZIONE EX ART. 111 - TERMINE PER LA PROPOSIZIONE - DECORRENZA - DALLA COMUNICAZIONE.

Il principio generale secondo il quale il termine di sessanta giorni per il ricorso per Cassazione avverso le ordinanze a contenuto decisorio e definitivo decorre solo dalla notificazione del provvedimento stesso non si applica alla proposizione del ricorso ex art. 111 Cost. contro i decreti pronunziati in camera di consiglio dal tribunale fallimentare a norma dell’art. 26 L.F., per l’impegnativa dei quali il termine decorre dalla comunicazione dei provvedimenti a cura della cancelleria.
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SEZ. 1 SENT. 05477 DEL 04/06/1998  
FALLIMENTO - TRIBUNALE FALLIMENTARE - AZIONI CORRISPONDENTI A DIRITTI SOGGETTIVI PREESISTENTI IN RAPPORTO DI OCCASIONALITÀ CON IL FALLIMENTO - COMPETENZA - ESCLUSIONE.
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La “vis attractiva” prevista dall’art. 24 L.F. - il quale afferma che il tribunale che ha dichiarato il fallimento é competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, anche se relative a rapporti di lavoro, eccettuate le azioni reali immobiliari - non opera per le azioni che sono già nel patrimonio del fallito e corrispondono a diritti soggettivi preesistenti e che sono in rapporto di mera occasionalità col fallimento, a meno che non si tratti di azioni che per effetto del fallimento, abbiano subito deviazioni dal loro schema legale tipico, ivi comprese quelle derivanti dalla disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti che incidono sulla procedura fallimentare per effetto della particolare disciplina dettata dagli art. 72 e seguenti L.F. (Fattispecie concernente la domanda di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato con il datore di lavoro fallito).
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SEZ. 1 SENT. 05287 DEL 28/05/1998  
FALLIMENTO - SOCIETÀ - SINDACI - RESPONSABILITÀ SOLIDALE CON GLI AMMINISTRATORI - RAPPORTI ESTERNI - QUANTIFICAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ- ESCLUSIONE. 
SOCIETÀ PER AZIONI - RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI VERSO I CREDITORI SOCIALI - PRESCRIZIONE  DECORRENZA.
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Il controllo del collegio sindacale di una società per azioni non é circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende a tutta l’attività sociale (come é lecito desumere dal disposto di cui agli artt. 2403, 2405, 2377, 2° comma, cod. civ.), con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali. Il diverso rilievo causale di quanti (sindaci ed amministratori) abbiano concorso alla causazione del danno, inteso come insufficienza patrimoniale della società, assume, poi, rilievo nei soli rapporti interni tra coobbligati (ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di regresso), e non anche nei rapporti esterni che legano gli autori dell’illecito al danneggiato (società, creditori sociali, singoli soci e terzi), giusto il principio generale di solidarietà tra coobbligati di cui all’art. 2055, 1° comma, cod. civ. (sancito espressamente in materia di responsabilità extracontrattuale, ma applicabile, altresì, in tema di responsabilità contrattuale, quand’anche il danno derivi dall’inadempimento di contratti diversi, quand’anche la responsabilità abbia, per alcuni dei danneggianti, natura contrattuale, e, per altri, natura extracontrattuale), ribadito, con specifico riguardo ai sindaci della società, dall’art. 2407, 2° comma, cod. civ., che esclude la legittimità di una commisurazione percentuale della responsabilità dei sindaci all’entità del loro concorso nella causazione dell’evento dannoso.  
L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società, esperibile, ex art. 2394 cod. civ., dai creditori sociali (ovvero, come nella specie, dal curatore fallimentare della società poi fallita, ex art. 146 L.F.), é soggetta a prescrizione quinquennale con decorso non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, bensì dal (successivo) momento dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti (art. 2394, 2° comma, cod. civ., che subordina la proponibilità dell’azione al manifestarsi dell’evento dannoso), momento che, non coincidendo con il determinarsi dello stato di insolvenza, ben può risultare anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento. L’onere della prova della preesistenza al fallimento dello stato di insufficienza patrimoniale della società spetta, poi, al soggetto (amministratore o sindaco) che, convenuto in giudizio a seguito dell’esperimento della detta azione di responsabilità, ne eccepisca l’avvenuta prescrizione, senza che, all’uopo, tale onere possa dirsi assolto mediante la generica deduzione, priva di qualsiasi altro utile elemento di fatto a sostegno dell’assunto, secondo cui l’insufficienza patrimoniale si sarebbe manifestata (come nel caso di specie) già al momento della messa in liquidazione della società, non essendo il procedimento di liquidazione necessariamente determinato dalla eccedenza delle passività sulle attività patrimoniali, e non implicando, altresì, la perdita integrale del capitale sociale una consequenziale perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale.
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SEZ. 1 SENT. 05279 DEL 28/05/1998  
FALLIMENTO - TRIBUNALE FALLIMENTARE - DECISIONE DEI RECLAMI - CONTO CORRENTE INTRATTENUTO DAL FALLITO - COPIA DEI RELATIVI ESTRATTI CONTO - ORDINE IMPARTITO ALLA BANCA DI ESIBIZIONE AL CURATORE - RECLAMO - RIGETTO - RICORSO PER CASSAZIONE - INAMMISSIBILITÀ.
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Il provvedimento del giudice delegato che ha ordinato ad una banca di esibire al curatore del fallimento copia degli estratti conto relativi al conto corrente intrattenuto dal fallito, avendo funzione solo cautelare e preventiva, non ha carattere decisorio, né attitudine a produrre gli effetti di un giudicato, di tal che il decreto del Tribunale fallimentare di rigetto del relativo reclamo proposto dall’istituto di credito, non é ricorribile per cassazione a norma dell’art. 111 Cost.
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SEZ. 1 SENT. 05267 DEL 28/05/1998  
FALLIMENTO - CREDITO FONDIARIO - ACCERTAMENTO DEL CREDITO IN SEDE FALLIMENTARE - NECESSITÀ - CONSEGUENZE.

Nell’ipotesi in cui una banca inizi l’esecuzione immobiliare in relazione ad un credito fondiario e la prosegua dopo il fallimento del debitore, il giudice dell’esecuzione individuale non può sostituirsi a quello del fallimento nella determinazione della definitiva spettanza del credito secondo la disciplina della procedura fallimentare, ma deve accertare, per poter procedere all’assegnazione, che la medesima spettanza sia divenuta definitiva nella procedura fallimentare. La prova di tale definitività può derivare, in via positiva, o dall’attestazione del giudice fallimentare (da chiunque esibita) o dall’ammissione del curatore, mentre il giudice non può procedere alla definitiva assegnazione in base al mero rilievo che la prova della ricorrenza di quella condizione (la definitività in sede fallimentare) non sia stata data.
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SEZ. 1 SENT. 05264 DEL 28/05/1998  
FALLIMENTO - REVOCATORIA FALLIMENTARE - GARANZIA - GRATUITÀ OD ONEROSITÀ - CRITERI - ART. 2901 COD. CIV.  INAPPLICABILITÀ. PEGNO - PATTO DI ROTATIVITÀ - AMMISSIBILITÀ - CONDIZIONI.
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Si ricava dal testo dall’art. 2901 cod. civ., che il criterio dettato, dal 3°  comma della stessa disposizione per individuare la natura onerosa o gratuita di una prestazione di garanzia, ricollegandosi alla contestualità o meno con il credito garantito, non é applicabile in sede fallimentare, ove, nell’assenza di analoghi criteri negli artt. 64 e 67 della L.F., la gratuità (od onerosità) va valutata caso per caso, con esclusivo riguardo alla posizione del garante e agli effetti che l’atto, ovvero, eventualmente, altri ad esso funzionalmente collegati, abbiano determinato nel suo patrimonio. 
Premesso che il carattere reale del contratto di costituzione della garanzia pignoratizia comporta che ogni sostituzione di beni dati in pegno configura un nuovo contratto, conseguendone l’assoggettabilità alla revoca ove la sostituzione sia avvenuta nei termini di cui agli artt. 64 e 67 della L.F., il cosiddetto patto di rotatività, in virtù del quale si preveda fin dall’origine la sostituzione totale o parziale dei beni oggetto della garanzia, considerati non nella loro individualità ma per il loro valore economico, salvaguardando in tal modo la continuità del rapporto, e facendosene risalire gli effetti all’originaria consegna, può essere operante solo ove la sostituzione dell’oggetto avvenga entro i limiti di valore dei beni originariamente dati in pegno.
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SEZ. 2 SENT. 05107 DEL 22/05/1998  
FALLIMENTO - CESSAZIONE - CONCORDATO FALLIMENTARE - LIQUIDAZIONE DEL COMPENSO AL CURATORE - CRITERI.
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In tema di compensi liquidati al curatore fallimentare, l’art.1.1 del D.M. 28 luglio 1982 prevede che soltanto per le somme fino a L. 1000 milioni il compenso per il curatore non possa essere inferiore a determinati minimi o superiore a determinati massimi, prevedendo, per le somme eccedenti tale valore, soltanto una percentuale massima (fino all’1,80%  per le somme tra 1000 e 3000 milioni; fino allo 0,90% per le somme che superino 3000 milioni), ma non anche una percentuale minima, mentre il successivo art. 2.1 stabilisce che, quando (come nella specie) il curatore cessi alle funzioni prima della chiusura delle operazioni di fallimento, il compenso é liquidato tenendo conto anche dell’opera prestata. Ne consegue che, per le somme eccedenti i1000 milioni, la discrezionalità del tribunale trova il suo unico limite nella liquidazione di un compenso non superiore alla percentuale massima stabilita dal ricordato D.M.
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SEZ. 1 SENT. 05022 DEL 20/05/1998  
FALLIMENTO - CURATORE - COMPENSO - SOSTITUZIONE DEL CURATORE IN CORSO DI PROCEDURA - RICHIESTA DI COMPENSO DA PARTE DEL CURATORE SOSTITUITO - PROVVEDIMENTO DI RIGETTO DEL TRIBUNALE FALLIMENTARE - IMPUGNABILITÀ EX ART. 111 COST. - ESCLUSIONE.

In caso di avvicendamento di più curatori in seno ad una medesima procedura fallimentare, il compenso finale a ciascuno dovuto va ragguagliato al risultato dell’intera attività della curatela (e non può essere superiore al limite percentuale previsto dal D.M. 28 luglio 1992, n. 570), con la conseguenza che la liquidazione del compenso al precedente curatore deve avvenire al termine della procedura, in modo da ragguagliare i compensi ai dati certi dell’attivo realizzato. Il provvedimento emesso dal tribunale fallimentare sull’istanza di liquidazione del compenso proposto dal curatore poi sostituito in corso di procedura non assume, pertanto, il carattere della immodificabilità e della definitività e non é, conseguentemente, impugnabile con il ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost.
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SEZ. 3 SENT. 04865 DEL 14/05/1998  
FALLIMENTO - EFFETTI PER IL FALLITO - INCAPACITÀ RELATIVA - ECCEZIONE RILEVABILE DAL CURATORE - D’UFFICIO O DALLA CONTROPARTE - ESCLUSIONE - INERZIA DEGLI ORGANI FALLIMENTARI - CONSERVAZIONE DELLA CAPACITÀ DI AGIRE PER LA TUTELA DI DIRITTI PATRIMONIALI.
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É ammissibile l’impugnazione della sentenza da parte del fallito, emessa prima del fallimento, perché egli conserva la capacità di agire, anche processuale, per i diritti patrimoniali non curati dagli organi fallimentari, e in ogni caso l’eccezione di difetto di capacità può esser sollevata soltanto dal curatore nell’ interesse della massa dei creditori, ma non d’ufficio o dalla controparte.
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SEZ. 1 SENT. 04852 DEL 14/05/1998  
FALLIMENTO - LIQUIDAZIONE DELL’ATTIVO - AZIENDA - PRELAZIONE IN FAVORE DELL’AFFITTUARIO - LIMITI.
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Il diritto di prelazione riconosciuto all’imprenditore che abbia, a titolo di affitto, assunto la gestione (anche parziale) di aziende appartenenti ad imprese assoggettate a procedure fallimentari costituisce uno speciale incentivo, di carattere sociale, previsto dall’art. 3 della legge n. 223 del 1991 per la sola ipotesi in cui l’intervento dell’affittuario, garantendo la prosecuzione dell’attività lavorativa dei dipendenti dell’impresa fallita, valga ad evitare l’erogazione, da parte dello Stato, di provvidenze di carattere sociale a favore dei lavoratori medesimi, e non può, pertanto (non costituendo istituto di carattere generale suscettibile di applicazione a qualsiasi procedura concorsuale), essere riconosciuto all’affittuario medesimo quando, per difetto dei necessari presupposti di legge, all’impresa fallita non risulti applicabile il trattamento di intervento straordinario previsto dalla ricordata legge 223 del 1991.
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SEZ. 1 SENT. 04769 DEL 12/05/1998  
FALLIMENTO - REVOCATORIA FALLIMENTARE -PROVA DELLA “SCIENTIA DECOCTIONIS” - CONTENUTO E LIMITI.
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In tema di revocatoria fallimentare relativa a pagamenti eseguiti dal fallito, il principio secondo il quale grava sul curatore l’onere di dimostrare la effettiva conoscenza, da parte del creditore ricevente, dello stato di insolvenza del debitore va inteso nel senso che la certezza logica dell’esistenza di tale stato soggettivo (vertendosi in tema di prova indiziaria e non diretta) può legittimamente dirsi acquisita non quando sia provata la conoscenza effettiva, da parte di quello specifico creditore, dello stato di decozione dell’impresa (prova inesigibile perché diretta), né quando tale conoscenza possa ravvisarsi con riferimento ad una figura di contraente “astratto” (prova inutilizzabile perché correlata ad un parametro, del tutto teorico, di “creditore avveduto”), bensì quando la probabilità della “scientia decoctionis” trovi il suo fondamento nei presupposti e nelle condizioni (economiche, sociali, organizzative, topografiche, culturali) nelle quali si sia concretamente trovato ad operare, nella specie, il creditore del fallito..