g•i•u•r•i•s•p•r•u•d•e•n•z•a
r•o•m•a•n•a
di Carlo Totino
 
Tribunale di Roma - Sez. Fallimentare - sent. 27 settembre 1997 - Pres. Briasco - Est. Baccarini - CARIVIT Cassa di Risparmio della Provincia di Viterbo S.p.a. 
c/ Fall. GLS 89 S.r.l.

INTERESSI - INTERESSI ULTRALEGALI - CONTRATTO DI CONTO CORRENTE BANCARIO - RIFERIMENTO ALLE CONDIZIONI DI PIAZZA - INSUFFICIENZA. (art. 1284 cod. civ.)

Non può essere ritenuta valida, per violazione dell’art. 1284, 3° comma, cod. civ., la clausola che lasci la variazione del tasso d’interesse alla discrezionalità della parte contraente dominante, anche se riferendola alle variazioni di mercato, perché l’approvazione per iscritto di interessi superiori a quelli legali non può prescindere dalla loro esatta individuazione, in via oggettiva, con quantificazione precisa o riferimento a criteri ugualmente precisi, verificabili da chiunque[1].

(omissis) 
Motivi della decisione
La ricorrente censura, altresì, la esclusione del credito relativo agli interessi di mora maturati sulle somme relative al c/c .... 
(omissis)
Come noto, la Cassazione con costante giurisprudenza ha ritenuto necessario e sufficiente che nel contratto di c/c siano indicati “criteri certi e oggettivi che consentano la concreta quantificazione del tasso di interesse, ancorché ciò avvenga per relationem, mediante il richiamo ad elementi estranei al documento stesso”, ritenendo rispettoso di simili requisiti proprio il richiamo “alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza” (così, in termini, Sez. I, n. 1112 del 14/02/84, CED n. 433250).
Peraltro, questa giurisprudenza poggia sul presupposto che le condizioni suindicate “vengano fissate su scala nazionale con accordi di cartello per modo che il rinvio al tasso usuale vale ad ancorare la misura degli interessi a fatti oggettivi, certi e di agevole riscontro, non influenzabili dal singolo istituto bancario” (come sempre in termini prosegue la citata sentenza n. 1112/84; si vedano anche: Sez. I, n. 8335 del 12/11/87, CED 455906; Sez. I, n. 6554 del 3/12/88, CED 460866; Sez. I, n. 2644 del 30/05/89, CED 462940; Sez. I, n. 2765 del 7/03/92, CED 476114; Sez. III, n. 1110 del 3/02/94, CED 485203; Sez. II, n. 6113 del 25/06/94, CED 487196; Sez. I, n. 9227 del 01/09/95, CED 493852; App. Milano del 11/04/86, in Banca Borsa e Titoli di Credito, 1987, 605, che fa espresso e univoco collegamento tra il rinvio alle condizioni su piazza e i tassi ABI; Trib. Milano del 11/01/90, in Diritto della Banca e del mercato finanziario, 1991, 148). Solo così può parlarsi di “elementi estrinseci, obiettivamente e sicuramente individuabili”, la cui pubblicità è assicurata a mezzo di pubblicazione nei bollettini delle banche e nei giornali quotidiani” (come dice Sez. I, n. 2521 del 9/04/83, CED 427385).
È significativo e chiarificatore che la Cassazione abbia invece ritenuto non valido un generico riferimento agli “usi bancari”, rilevando “che non esiste alcuna documentazione ufficiale degli usi in tema di interessi e che non risulta che le banche pratichino tassi di interesse uguali” per cui simile indicazione è invalida in quanto non permetterebbe “la sicura determinabilità del tasso di interesse” (Sez. I, n. 2262 del 9/04/84, CED 434310 e 434307; si veda anche Trib. Roma del 27/06/87, in Nuovo Diritto, 1988, 64).
(omissis)
In altre parole, la S.C. ritiene ammissibile il riferimento ad elementi oggettivi e certi, ancorché esterni al contratto, noti o facilmente conoscibili e riscontrabili; simili clausole infatti, per quanto onerose, sono consapevolmente accettate dal correntista.
(omissis) 
Quindi la Cassazione ha espressamente ritenuto ammissibili formule come quella qui in esame unicamente per la certezza che simile dizione indica che il saggio degli interessi viene ancorato a condizioni fissate su scala nazionale, certe ed oggettive, riscontrabili da chiunque, facilmente conoscibili.
(omissis)
 
Quanto sopra comporta la necessità di verificare in concreto come il criterio di determinazione del saggio di interesse indicato in contratto sia stato inteso e applicato dall’istituto.
Infatti è notorio come gli istituti bancari applichino saggi di interesse estremamente differenziati, tra istituto e istituto e persino nell’ambito della stessa banca in relazione al singolo cliente. Come pure lo è che varino il saggio di interesse in base a plurimi criteri, tra cui il tasso nazionale indicato è solamente uno dei tanti. 
(omissis)
Infatti, è significativo che quella parte della giurisprudenza di merito che perviene alla dichiarazione di nullità delle clausole che approvano interessi ultralegali con riferimento alle condizioni usualmente praticate su piazza, non contesta i principi di diritto sanciti dalla Suprema Corte, ma si basa su una differente constatazione della realtà creditizia. Secondo questi giudici di merito, infatti, non esiste alcuna pubblicazione ufficiale che certifichi tali condizioni “usuali”, ne sussiste un unico tasso uniformemente applicato dagli istituti per tutta la clientela (così in termini, Trib. Napoli del 25/03/94, in Giur. Comm., 1995, 446; identiche conclusioni per Trib. Genova del 09/5/89, in Giur. Civ. Comm., 1990, 62; Trib. Macerata del 17/08/89, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 1991, 148; App. Milano del 31/01/92, in Banca Borsa e Titoli, 1992, 550; Trib. Milano del 24/02/92, in Banca Borsa e Titoli, 1992, 550; Trib. Pavia dell’1/10/93 in Giur. Comm., 1995, 446). 
(omissis) 
In definitiva, tanto secondo la Cassazione che secondo la giurisprudenza di merito, la formula che indica il saggio di interesse con riferimento a criteri esterni avrà valore solo se ed in quanto lo stesso venga determinato con precisa applicazione di condizioni generali, indicate in sede nazionale, non influenzabili dal singolo istituto e facilmente conoscibili da chiunque così da consentire al correntista di verificare le variazioni (in termini, si rimanda ancora a Sez. I, n. 2644 del 30.05.89, CED 462940). Ove questo non risulti verificato, non sarà dimostrata la ammissibilità della clausola e, quindi, gli interessi saranno dovuti nella minor misura di legge.
(omissis) 

Ancora sulla illeggittimità della pattuizione di interssi ultralegali con riferimento alle condizioni bancarie su piazza.
È noto, in materia di interessi bancari, l’alternarsi in giurisprudenza di pronunce che, numericamente, propendono per la validità dei tassi ultralegali stabiliti con rinvio agli usi uniformi. 
La sentenza in esame[1]  emessa in fattispecie relativa a contratto anteriore alla entrata in vigore della l. 7 febbraio 1992. 4. 154, è da segnalarsi perchè evidenzia l’accentuarsi di una tendenza che, propendendo per la massima chiarezza dei rapporti bancari, tanto diffusi quanto assai spesso confusi, giudica radicalmente nulla la clausola in discorso e conferma una singolare frattura tra giurisprudenza di merito e giurisprudenza di legittimità.
La tesi abitualmente sostenuta dagli istituti di credito si richiama ad una giuris-prudenza del Supremo Collegio che, a partire dalla sentenza n. 3028 del 30/06/78, ha ripetutamente riconosciuto la congruità della motivazione dei giudici di merito che avevano ritenuto il mero riferimento alle condizioni “di piazza” sufficiente a determinare, in modo non equivoco, l’ammontare del tasso degli interessi ultra-legali.
Tale tesi può essere esaustivamente rappresentata dalla seguente massima: “In tema di pattuizioni di interessi superiori alla misura legale, per i quali l’art. 1284, 3° comma cod. civ. richiede la forma scritta ad substantiam sono valide, in base ai principi generali sulla determinazione o determinabilità dell’oggetto del contratto, le clausole negoziali che fissino gli interessi dei conti correnti di corrispondenza con riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, trattandosi di un criterio di determinabilità oggettivo, certo e di agevole riscontro. Infatti, i tassi attivi praticati dalle aziende di credito sono fissati su scala nazionale con accordi di cartello, non influenzabili dal singolo istituto bancario, ed il correntista è in grado di sapere, usando l’ordinaria diligenza, che gli interessi sono variabili nel tempo, nonchè di verificarne l’andamento”.[2]
In tale contesto giurisprudenziale è tuttavia presto affiorato il problema, d’ordine pratico e reale, consistente nella capacità del riferimento contrattuale alle norme bancarie uniformi di ottemperare, sia pure per relationem, al disposto dell’art. 1284, 3° comma cod. civ.
La dottrina prima e la giurisprudenza di merito successivamente, sembrano uniformemente orientarsi, con argomentazioni sempre più convincenti, nel senso della soluzione negativa.[3]
Si è infatti prepotentemente e sempre più frequentemente posto il quesito se esista e -nel caso sia possibile rispondere affermativamente- quale sia in Italia il tasso effettivo di interesse sugli scoperti di conto corrente “praticato usualmente dalle aziende di credito sulla piazza” ai propri clienti a norma dell’art. 7, 3° comma, Norme Uniforme Bancarie.
La risposta, per certi versi sbalorditiva, è che, in realtà, nessuno lo sa ...!
Nessuno sa, in effetti, né quale sia l’esatto ammontare del tasso degli interessi bancari, né, tantomeno, il criterio della sua determinazione.
Il problema appare, ictu oculi, notevolmente rilevante, dato che incide sulla validità o meno della - nota - clausola contenuta nei contratti di conto corrente bancario, che determina gli interessi dovuti dal correntista. L’oggetto di questa pattuizione potrà infatti considerarsi determinato o determinabile, ai sensi dell’art. 1346 cod. civ., in quanto il tasso di riferimento possa essere stabilito in modo univoco e come frutto di una valutazione oggettiva capace di consentire alle parti, ed in particolare al cliente, di conoscere, già al momento della stipulazione del contratto e, successivamente, nel corso del rapporto, l’esatto ammontare della propria obbligazione, così come richiesto dalla giurisprudenza più sopra citata.
In proposito il Tribunale di Genova,[4] ha ritenuto nozione di comune esperienza, esplicitamente ammessa dalla stessa banca in quel giudizio, che: “I tassi applicati sono variabili in relazione a logiche di mercato, le quali comportano diversità di comportamento tra i diversi istituti di credito ed in relazione alla qualità soggettiva dei debitori” giungendo quindi a negare l’esistenza di un “uso bancario idoneo a integrare validamente la pattuizione degli interessi ultralegali”.
Il Tribunale di Roma[5], già chiamato a decidere sulla medesima questione, ha a suo tempo ritenuto necessario rivolgersi alla Banca d’Italia per ottenerne informazioni in ordine “ai tassi attivi sugli scoperti di conto corrente applicati dagli istituti di credito nel periodo 1 gennaio 1976 - 31 dicembre 1984”. Ebbene a tale richiesta, si narra in motivazione: “ ... la Banca d’Italia ha risposto trasmettendo alcune tabelle, desunte dal Bollettino del suo servizio studi, relative ai tassi medi, i quali, com’è ovvio, sono ben diversi dai tassi più frequentemente praticati. Peraltro, la stessa rilevazione dei tassi medi mostra chiaramente l’inesistenza di un attendibile tasso d’uso, diverso da un tasso rimesso alla discrezionalità degli istituti di credito, pur nell’ambito di elastici parametri offerti dal mercato. In tali condizioni è evidente che non esiste affatto un tasso d’uso (e non medio) rilevabile ex post, ma solo una fascia di tassi, compresi probabilmente tra il prime rate ed il top rate, nella quale gli istituti di credito si muovono con assoluta discrezionalità” inducendo così il Tribunale capitolino a dichiarare la nullità della clausola del contratto di conto corrente che fa riferimento, per la determinazione degli interessi dovuti dal correntista alla banca, “alle condizioni usualmente praticate dalle aziende sulla piazza”.
Appare evidente, pertanto, che se esistono due limiti di interessi ultralegali (uno favorevole ed uno sfavorevole al correntista) ogni rapporto può collocarsi, a discrezione della banca, nell’ambito di quest’arco, ed è proprio l’impossibilità di individuare a priori l’esatto tasso di volta in volta praticato a rendere indeterminato l’oggetto della pattuizione sul saggio degli interessi. 
L’inattendibilità della giurisprudenza dominante è desumibile dalle indicazioni che lo stesso sistema bancario, tramite l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha fornito alla Commissione delle Comunità Europee nel corso di una procedura a norma dell’art. 85 del trattato CEE[6] e così sinteticamente riassumibile: 1) quanto ai tassi attivi, dal 1970 le banche non sono state più vincolate dagli accordi di cartello interbancario; 2) dal 01/05/75 il comitato esecutivo dell’ABI provvede a dichiarare il prime rate, ma tale indicazione non vincola le banche che mantengono la facoltà di scaglionare i livelli dei loro tassi; 3) dal febbraio 1983 il carattere indicativo del prime rate è stato formalmente confermato nel senso che la determinazione dei tassi attivi è competenza delle banche e l’ABI si limita a dare le indicazioni statistiche sul prime rate medio nel sistema bancario.
Il fenomeno è ancor più evidente se si prendono in considerazione gli stessi dati della Banca d’Italia disaggregati su base regionale. In tal modo emerge che per la medesima operazione vengono applicati tassi d’interesse, anche qui in media, che variano di diversi punti percentuali in più o in meno a seconda della collocazione geografica della piazza nella quale l’operazione viene realizzata.
Si aggiunga, come di comune esperienza, la differenza dei tassi che nascono e si spiegano in ragione delle condizioni soggettive del cliente e delle caratteristiche dell’operazione di finanziamento di volta in volta presa in considerazione, per rendere ancor più manifesta l’impossibilità di ricavare nel modo esatto richiesto dall’art. 1284, 3° comma, cod. civ., la misura degli interessi “praticati usualmente dalle aziende di credito sulla piazza”.
Appurato che l’ammontare del saggio degli interessi rientra in una fascia di valori costituito, al livello inferiore, dal miglior prime rate, ed a quello superiore dal top rate o più alto, si deve quindi rilevare non solo che non è dato di conoscere esattamente il valore minimo ed il valore massimo di questa scala, essendo noti solo i valori medi, ma, soprattutto, che manca ogni criterio oggettivo che consenta di definire, all’interno di questa fascia, il tasso in concreto applicato in modo aprioristico.
In definitiva è da escludersi che l’obbligo della forma ad substantiam sia assolto dal rinvio meramente generico all’insieme di disposizioni contenute in un altro testo predisposto unilateralmente, in cui si fa rinvio a sua volta non ad una misura quantitativa fissata con precisione, ma alle contingenti e mutevoli pratiche “usualmente” coniazioni dalle aziende di credito. 
L’elemento de relato verrebbe dunque, in questo caso, determinato attraverso una clausola di relatio ad un’altra clausola di relatio, entrambe per lo più generiche nel precetto e non direttamente determinanti la misura concreta degli interessi dovuti.
Deve concludersi, pertanto, che non esiste un uso bancario idoneo ad integrare validamente la clausola di pattuizione degli interessi ultralegali nel suo aspetto formale, sicché appare ancora estremamente attuale l’osservazione di chi (Bruno Inzitari, in nota 3), con certa ironia, rammentava il seguente “brano di un remoto ma significativo legislatore ...: L’obbligo imposto al mutuante, che stipula gli interessi, di consegnare la pattuizione in un atto scritto, equivale a un appello alla pubblica opinione ed esercita la più efficace influenza sul pudore del mutuante, il quale non oserebbe sfidare con cinico coraggio la pubblica riprovazione che colpisce l’usuriere”. 
Col riportare alla memoria tale sbiadito monito, contenuto nella relazione ministeriale dal codice civile del 1865, l’Autore efficacemente evidenziava come, ad oltre un secolo di distanza, la cruda realtà economica contemporanea sembra avere del tutto dimenticato i moralistici ammonimenti del legislatore ottocentesco, ed il richiamo al controllo della pubblica opinione sul pudore del mutuante che contratta una misura ultralegale degli interessi, appare certamente come un obsoleto ed assai ingenuo appello a favore di colui che, nel linguaggio giuridico odierno, viene eufemisticamente definito contraente debole.
[1] V. recentemente, stesso Giudice: Trib. Roma, Sez. Fall., 07/04/97. Pres. Briasco, Est. Baccarini, Cassa di Risparmio Provincia delle Provincie Lombarde S.p.a. c./ Fall. Siderurgico Flaminio.

[2] Cass. 30/05/89, n.2644, in Giust. Civ., 1989, I, p. 2034, con nota di Maria Costanza; conf.; Cass. 20/06/78, n.3028 cit.; Cass. 09/04/83, n.2521; Cass. 14/02/84, n.1112; Cass. 28/05/84, n.3252; Cass. 12/11/87, n. 8335; Cass. 03/12/80, n.6554; Cass. 20/08/92, n.9719, in Foro It., 1993, 2714.

[3] Per la tesi dell’invalidità si sono espressi: Librando “In tema di interessi bancari convenzionali, in Foro Padano, 1978, I, 203; Inzitari “Limiti all’ammissibilità della relatio nella determinazione per iscritto degli interessi ultralegali” in Giur. it., 1984, II, pag. 501 ss.; Quadri, “Le obbligazioni pecuniarie” in Tratt. Dir. Priv. diretto da Rescigno, 9° Ed. Torino, 1984, pag. 566; Perlingieri, “Forma dei negozi e formalismo degli interpreti”, Napoli, 1987, p. 71 ss; A. Nigro “Inte-ressi ultralegali e condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza” in Dir. banca, 1988, I, p. 528 ss; Costanza, “Norme bancarie uniformi e derogabilità degli artt. 1283 e 1284”, in Giust. Civ. 1989, I, p. 2037 ss.. In giurisprudenza: App. Na-poli, 10/03/82, in Banca Borsa e Titoli di Credito, 1983, II, p. 187; Trib. Roma 27/06/87, in Giust. Civ., I°, 2994 (v. anche nota 5); Trib. Roma, 15/05/89, inedita ma massimata in Fallimento, 1989, p. 1279; Cass. 09/04/84, n.2262, confermativa della citata App. Napoli 10/03/82, la quale, pur ammettendo la possibilità di determinare per relationem un tasso ultralegale di interessi, ha ritenuto esauriente la motivazione del giudice di merito che aveva appunto affermato l’insufficienza, al riguardo, del riferimento agli usi bancari, rilevando che non esiste alcuna documentazione ufficiale degli usi bancari in tema di interessi e che non risulta che le banche pratichino tassi di interessi uguali); ed ancora Cass. 21/12/87, n. 9518 che ha cassato la decisione dei giudici del merito che avevano ritenuto sufficiente l’espressione “tasso bancario” adoperato nelle pattuizioni tra le parti senza considerare che la sua genericità non consentiva la concreta individuazione o determinabilità del tasso di interesse pattuito. Da ultimo, Cass. 09/12/97 n.12456 - che sembra determinare una inversione di tendenza della giurisprudenza di legittimità, propendendo, infine, verso la nullità della clausola de qua- secondo la quale: “Il riferimento contenuto in un contratto bancario alle “condizioni praticate normalmente dalle aziende di credito su piazza” è da considerarsi sufficiente solo ove esistano vincolanti discipline del saggio fissate su scala nazionale con accordi di cartello e non già ove quegli accordi contengano diverse tipologie di tassi o, addirittura, non costituiscano più un parametro centralizzato e vincolante, im-ponendosi, in quest’ultimo caso, l’accertamento in concreto del grado di univocità della fonte richiamata, per stabilire a quale previsione le parti abbiano potuto effettivamente riferirsi”.

[4] Trib. Genova, 09/05/89, in Banca Borsa etc., 1991, II, p. 198 e ss., con nota di Gustavo Olivieri.

[5] Trib. Roma, 27/06/87, B.N.L. c./ Fall. OR.VEND., Pres. Castaldi, rel. Di Amato, in Temi Romana, con nota dell’Avv. Maurizio Calò, pubblicata anche -con data 05/03/87- in Giust. Civ. 1988, I, p. 534, con nota di Santosuosso: “Clausola determinativa degli interessi nei contratti di conto corrente bancario”, e in Riv. Dir. Comm. 1988, II, p. 270, nonchè -con data 22/06/87- in Foro It., 1988, I, c.1720.

[6] In Banca Borsa etc., 1988, II, p. 190, con osservazioni di Olivieri.