Giurisprudenza di merito

Trib. Roma - Ord. 6 maggio 1999 - G.D. Dr. Raffaele Capozzi - Fall. CO.GE.I. S.P.A. n.61424 (Curatore Avv. M. Caló)

FALLIMENTO - AMMISSIONE AL PASSIVO - CREDITO PER RIVALSA IVA DERIVANTE DA CREDITI PROFESSIONALI PRIVILEGIATI - COLLOCAZIONE IN PRIVILEGIO OVVERO IN CHIROGRAFO - ESCLUSIONE - PREDEDUZIONE - AMMISSIBILITA' (Artt. 1; 2, 3, 41, 53, 36 Cost.; 1243, 2751/bis, n. 2, 2754, 2758 e 2777 cod. civ.; 111, n. 1, L.F.; art. 5 L. 426/75; L. 426/71; art. 1 D.P.R. 687/74; artt. 1, 5; 6, 19, 21, 38/bis, 74/bis D.P.R. 633/72)

Il credito per rivalsa dell'IVA derivante da prestazioni svolte dal professionista anteriormente alla dichiarazione di fallimento è autonomo rispetto a quello per il corrispettivo da insinuarsi al passivo fallimentare e, venendo ad esistenza in occasione della fatturazione che il curatore richiede al professionista al momento del riparto, parziale o totale, gode della prededuzione in applicazione del principio di neutralità dell'IVA che anche il fallimento deve rispettare in quanto soggetto all'imposta ai sensi dell'art. 74/bis D.P.R. 633/72 

Le note sono a cura della redazione
Il G.D. letta l'istanza in data odierna, con la quale il curatore ha chiesto una direttiva preventiva in ordine alla collocazione che dovrà avere in sede di riparto il credito per rivalsa dell'I.V.A. in favore dei creditori (in massima parte avvocati) assistiti dal privilegio di cui all'art. 2751/bis n. 2 cod. civ.;
rilevato che, a parte il problema sollevato dal curatore in ordine al credito per rivalsa dell'IVA, è pacifico che l'ammissione al passivo dei crediti dei professionisti (e segnatamente degli avvocati) avrà luogo, conformemente alla consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio, come segue:
 * le spese anticipate per conto del cliente: in chirografo;
 * la maggiorazione del 10% dei diritti ed onorari a titolo di rimborso forfettario   delle spese generali: in chirografo;
 * il contributo cassa di previdenza: in privilegio ex art. 2754 cod. civ.;
 * l'I.V.A.: in chirografo sulle somme effettivamente ripartite, non essendo ipotiz  zabile l'esercizio del privilegio ex art. 2758, 2° comma, cod. civ. per mancanza   del bene oggetto della cessione o a cui si riferisce il servizio;
 * i diritti e gli onorari col privilegio ex art. 2751/bis, n. 2 cod. civ.;
Osserva quanto segue.
In applicazione dei criteri suesposti, i riparti, anche parziali, limitati ai creditori privilegiati, comporterebbero la necessità di dover pretendere, contestualmente al pagamento del credito privilegiato, l'emissione di una fattura maggiorata dell'I.V.A., cui il percipiente non potrebbe sottrarsi per legge.
La procedura non potrebbe tuttavia contestualmente adempiere l'obbligazione di corrispondere l'I.V.A., non risultando la relativa rivalsa sorretta da alcun privilegio, con conseguente  degrado del tributo al rango chirografario, e tale quindi da non potere, spesso, neppure essere  soddisfatto.
La problematica così sollevata, è già stata oggetto di ripetuta disamina da parte della Suprema Corte di Cassazione.
Sin dalla pronuncia n. 5623 del 27.10.1982 [1],  la Corte ha rilevato la non necessaria contestualità del pagamento del tributo rispetto a quello del credito professionale, escludendo l'accessorietà dell'imposta rispetto al corrispettivo, anche per via della differente previsione del privilegio dell'un credito rispetto all'altro.
Tale giurisprudenza è rimasta inalterata per un decennio, essendo essa stata confermata con sentenza n. 3715 del 26.03.1992 [2].
Trattasi di indirizzo certamente influenzato dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 25 del 15.02.1984 (richiamata nella motivazione dell'ultima sentenza citata), secondo cui è possibile che il professionista, in sede di riparto dell'attivo nelle procedure fallimentari, riesca, per la disparità dei privilegi, a realizzare il suo credito per le prestazioni, ma non quello di rivalsa I.V.A. ed ha escluso che la conseguente definitiva permanenza dell'onere a carico dell'emittente della fattura possa configurare indebita incidenza del tributo su soggetto non portatore della relativa capacità contributiva, poiché -ha argomentato la Corte- non deve confondersi il risultato economico risultante dalla rivalsa, che qui manca, con il presupposto cui è collegata la prestazione tributaria che qui è presente nella emissione della fattura.
Anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 8556 del 06.08.1993 [3]  ha ribadito che il credito del professionista per rivalsa I.V.A non rappresenta un accessorio di quello per le corrispondenti prestazioni professionali ed ha, rispetto a quest'ultimo, una diversa collocazione ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare in forza delle norme sulla graduazione dei privilegi, con la conseguenza che, nel piano di riparto dell'attivo, non deve necessariamente esserne previsto il pagamento contestualmente a quello del credito professionale.
Con ulteriore argomentazione la sentenza del Supremo Collegio n. 5429 del 4.6.1994 [4], ha stabilito che il credito del professionista avente ad oggetto la rivalsa per I.V.A. dovuta relativamente a compenso per prestazione professionale svolta in favore di imprenditore poi dichiarato fallito, ancorché la fatturazione del servizio reso ed il connesso addebito d'imposta avvenga successivamente all'apertura della procedura concorsuale, costituisce, al pari del detto compenso, un debito del fallito senza che ciò implichi violazione del principio costituzionale della capacità contributiva, poiché, con la suddetta rivalsa, è soltanto autorizzato un fenomeno di traslazione dell'onere economico dell'obbligazione tributaria, restando il professionista titolare di quest'ultima, essendo stata compiuta un'operazione che, in ultima analisi, ha pur sempre determinato uno spostamento di ricchezza in suo favore.
La sentenza in esame ha altresì precisato che il credito per rivalsa I.V.A. deve essere accertato secondo le regole del concorso e non è prededucibile in quanto, da un lato, il debito non può ritenersi contratto per l'amministrazione del fallimento e, dall'altro, solo occasionalmente, e per scelta del creditore, può sorgere dopo il fallimento.
La successiva sentenza della Suprema Corte n. 1227 del 02.02.1995 [5]  ha precisato che al credito per rivalsa I.V.A. non può essere attribuito carattere prededuttivo in quanto il diritto di rivalsa sorge nel corso della procedura fallimentare per effetto del pagamento che ne fa il curatore in esecuzione del piano di riparto con conseguente emissione di fattura, mentre i debiti di massa vanno individuati non in base al momento in cui sorge il debito, ma in base alla loro finalità, essendo essi debiti contratti dagli organi del fallimento in occasione ed in funzione della procedura concorsuale.
Tale ultima sentenza ha inoltre stabilito che al credito per rivalsa I.V.A. (nella specie relativa ad un credito per prestazioni professionali di un avvocato) non può riconoscersi il privilegio speciale di cui all'art. 2758, 2° comma, cod. civ. quando non sia individuabile il bene specifico cui il servizio si riferisce e che, nella procedura fallimentare, l'accertamento dell'esistenza del bene sul quale è dato il privilegio speciale per il suddetto credito, deve essere compiuto in sede di verifica dello stato passivo e non in sede di attuazione del piano di riparto.
In modo assai articolato, la successiva sentenza della Suprema Corte  n. 6149 del 01.06.1995 [6]  ha osservato che il credito di rivalsa I.V.A. del professionista il quale, avendo eseguito prestazioni in favore di un imprenditore poi dichiarato fallito, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento (nella specie, a seguito del pagamento ricevuto in esecuzione di un riparto parziale), non è qualificabile come credito di massa da soddisfare in prededuzione, in quanto la disposizione dell'art. 6 D.P.R. 633/72, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, cosicché, in particolare, dal punto di vista civilistico, la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento, rimane l'evento generatore del credito di rivalsa I.V.A., autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso.
Secondo la sentenza da ultimo citata, il medesimo credito di rivalsa può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all'art. 2758 cod. civ. nel testo di cui all'art. 5 della L. 426 del 1975 (la quale ha abrogato, per avere compiutamente regolato la materia, la previsione di un privilegio generale contenuta nell'art. 1 del D.P.R. 23.12.74 n. 687), nel caso in cui sussistano (anche se solo potenzialmente al momento della verificazione) beni, che il creditore ha l'onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo, su cui la causa di prelazione possa attuarsi (circostanza che, quanto alla capienza, viene verificata nella fase di riparto). 
Nel caso poi, in cui detto credito non trovi utile collocazione in sede concorsuale, non è configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell'art. 2041 cod.  civ., in relazione al vantaggio conseguito dal fallimento mediante la detrazione dell'I.V.A. di cui alla fattura emessa dal professionista, poiché tale situazione è conseguenza del sistema normativo concorsuale.
Detta sentenza ha poi rilevato che il credito di rivalsa I.V.A., qualunque sia il momento della fatturazione, ha come obbligato pur sempre il destinatario della prestazione del servizio, al cui nome la fattura deve essere intestata, indice del fatto che la genesi del credito di rivalsa, ai fini del concorso, sarebbe pur sempre la prestazione del servizio che avrebbe come obbligato il fallito e non il fallimento.
Anche la successiva sentenza della Suprema Corte n. 2312 del 19.03.1996 [7]  ha ribadito i concetti sopra riferiti  e già enunciati con la sentenza n. 5623 del 27.10.1982, sopra ricordata.
La più recente sentenza emessa dalla Suprema Corte in materia (sentenza n. 11143 del 13.12.1996 [8]) ha confermato che il credito di rivalsa I.V.A. per prestazioni professionali è sorretto soltanto dal privilegio ex art. 2758 cod. civ. quando si possano cioé rinvenire i beni sui quali è stata effettuata la prestazione.
L'orientamento giurisprudenziale sopra riferito è rimasto compatto ed invariato nel tempo, nonostante il contrario avviso della dottrina, le cui principali obiezioni possono sintetizzarsi come segue:
1) per l'art. 6 D.P.R. 633/72, istitutivo dell'I.V.A., le prestazioni di servizio si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo;
2) per l'art. 21 dello stesso testo normativo, la fattura deve essere emessa al momento della controprestazione;
3) per l'art. 74 bis del medesimo D.P.R., l'amministrazione fallimentare è soggetto passivo I.V.A..
Dal che dovrebbe conseguire:
a) che il debito per l'I.V.A. del professionista nei confronti dello Stato sorge al momento del pagamento (riparto);
b) che il corrispondente credito di rivalsa I.V.A., non potendo nascere prima del debito, nasce a sua volta al momento del riparto del credito professionale ed in proporzione all'entità entrata consentita dal riparto;
c) che il fallimento, quale soggetto di I.V.A., ha diritto di compensare, o chiedere il rimborso, dell'I.V.A. nella stessa misura della indicazione in fattura del professionista. Se il professionista fosse tenuto ad emettere fattura senza ricevere l'intero corrispettivo, egli ne sarebbe danneggiato, ed il fallimento lucrerebbe un arricchimento indebito. 
In altre sedi si è poi rilevato, sulla scia di quanto obiettato dalla dottrina, che il sistema delineato dalla Corte Suprema farebbe gravare l'imposta su un soggetto diverso (professionista) da quello istituzionalmente obbligato (consumatore finale, e cioè il fallimento) in quanto portatore della capacità contributiva e ciò in violazione degli artt. 53 e 36 della Costituzione.
In effetti l'indirizzo giurisprudenziale sopra descritto non è appagante e suscita notevoli perplessità sia in relazione alla natura del credito per prestazioni professionali, sia perché  esso rischia di snaturare i caratteri propri dell'IVA nel più ampio quadro della coesistenza, nel sistema, dei tributi diretti ed indiretti coordinati dal legislatore secondo principi non alterabili.
Circa la natura del credito per prestazioni professionali può osservarsi che il privilegio riconosciuto al credito stesso sorge nell'ambito di una norma (art. 2751/bis cod. civ.) che costituisce manifesta applicazione dei principi costituzionali di tutela del lavoro (artt. 1 e 36) e di solidarietà sociale (art. 2) tendenti a proteggere i redditi conseguiti dall'esercizio di attività personali, come quelle dei lavoratori subordinati, parasubordinati, dei professionisti, degli artigiani ed in genere di tutte le attività lavorative caratterizzate da un impiego limitato di mezzi, onde differenziarne il trattamento rispetto a quelli prodotti con l'impiego del capitale.
Il che, nell'economia del testo costituzionale, è coerente con il principio di tutela del valore della persona (art. 2), visto come valore preminente, rispetto al quale degradano tutti gli altri valori pur tutelati in sé, quale, ad esempio, il valore della libertà d'impresa (art.41).
Proprio in relazione a tale loro natura, il privilegio che assiste i crediti in esame ai sensi dell'art. 2751bis, cod. civ. è tra i più elevati in grado: infatti, ai sensi dell'art. 2777, stesso codice, esso è secondo solo ai crediti per spese di giustizia.
Non è, pertanto, compatibile né con i motivi ispiratori delle legge, né con il suo contenuto tecnico, ipotizzare un sistema che determini, di fatto, la falcidia dei compensi da lavoro autonomo a causa dell'obbligatorietà del pagamento dell'I.V.A. che, essendo in concreto collocata in chirografo, ha possibilità di recupero di gran lunga inferiori.
In tal modo, infatti, si determina un paradossale ribaltamento della scala dei privilegi, permettendo che il credito per rivalsa I.V.A. (di fatto, degradato al rango chirografario) finisca per annullare parte del credito per corrispettivi professionali che la legge vuole tutelare ai massimi livelli e che è, perciò, privilegiato.
Circa, invece, il pericolo di snaturamento dei caratteri propri dell'I.V.A., può dirsi che l'imposta in esame è retta da principi, alterando i quali, si perderebbero i caratteri identificativi e qualificanti del tributo nell'economia del sistema dei prelievi coattivi di ricchezza, con conseguente violazione dei principi di cui all'art. 53 Cost..
In particolare l'I.V.A. si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuati nell'esercizio abituale di impresa, arti e professioni (art. 1 D.P.R. 633/72).
Essa deve ricadere sul consumatore finale, intendendosi per tale (come si desume dell'art. 19 del citato D.P.R.), colui che acquista beni e servizi al di fuori dell'esercizio di impresa, arti e professioni. 
A differenza del consumatore finale, i soggetti intermedi non risentono dell'imposta, resa neutrale mediante il meccanismo della rivalsa e della detrazione ex art.19 del citato D.P.R..
Orbene, né il professionista-creditore, né il fallimento, contrariamente a quanto ritenuto anche in dottrina, possono essere considerati “consumatori finali”, essendo soggetti passivi di imposta e titolari di partita I.V.A.: il primo ai sensi dell'art. 5, ed il secondo ai sensi dell'art. 74/bis del medesimo D.P.R.
Per costoro, pertanto, trova applicazione l'istituto della detrazione, onde l'I.V.A., in ossequio al principio di neutralità, non può per essi costituire un onere, sempre che afferisca all'esercizio della rispettiva attività.
Il meccanismo della detrazione opera, concretamente, permettendo di abbattere l'I.V.A. dovuta dal contribuente con quella pagata ai propri fornitori di beni e servizi, cioè mediante la compensazione che, qualora non possa più essere attuata, determina il sorgere di un credito del contribuente che, in caso di cessazione dell'attività, potrà essere chiesto a rimborso all'amministrazione finanziaria dello Stato.
La compensazione, ai sensi dell'art. 1243 cod. civ., presuppone l'esistenza di due partite certe, liquide ed esigibili.
Nello specifico, dette condizioni si formalizzano con l'emissione della fattura.
L'obbligo della fatturazione è previsto dall'21 del D.P.R. 633/72, che lo connette all'effettuazione dell'operazione. L'art. 6 D.P.R. citato, a sua volta, identifica il momento in cui avviene l'effettuazione dell'operazione nel momento in cui il professionista percepisce il corrispettivo, quando si tratti di prestazione di servizi. 
E' questo il momento qualificante in cui nasce l'obbligo, per l'emittente, della fatturazione ed in cui, contestualmente, sorge il debito dell'I.V.A. verso l'erario. 
Per contro, nel sistema delineato dalla cospicua giurisprudenza sopra richiamata, ed avversata dalla dottrina, si realizza l'inversione del meccanismo di applicazione dell'I.V.A., con una traslazione all'indietro del relativo onere, che, dal consumatore finale (i clienti dell'impresa fallita) va a gravare su uno degli operatori intermedi, e precisamente sul professionista, il quale, non riuscendo a realizzare la rivalsa in chirografo, risente a proprio carico del tributo.
Si verifica peraltro un'ulteriore alterazione delle caratteristiche dell'imposta allorché un altro degli operatori intermedi, e precisamente il fallimento, gode, del tutto ingiustificatamente, del beneficio della detrazione dell'I.V.A. evidenziata nelle fatture emesse dal professionista senza corrispondere a questo (e, per esso, all'erario) il relativo importo, almeno nelle ipotesi, ordinarie, nelle quali i crediti chirografari non trovino capienza in sede di riparto.
Se quanto sopra osservato è vero, occorre favorire un'interpretazione delle norme in questione che ne eviti il sostanziale stravolgimento prodotto dall'attuale unanime giurisprudenza di legittimità.
Alla luce di tali principi appare corretta l'indipendenza del credito per rivalsa dell'I.V.A., rispetto al credito per prestazioni professionali, da sempre sostenuta dal Supremo Collegio.
E' tuttavia proprio tale indipendenza che consente di riguardare separatamente le vicende dell'uno rispetto alle vicende dell'altro credito.
E' sicuramente ipotizzabile il sorgere del credito per prestazioni professionali senza che, contestualmente, sorga il diritto alla rivalsa della relativa I.V.A., che nascerà solo in occasione dell'emissione della relativa fattura.
In effetti può accadere che il committente, obbligato ai compensi verso un professionista per prestazioni professionali, cada in fallimento. 
In tal caso, mentre è già sorto il credito per le prestazioni professionali, non è ancora sorto il credito per rivalsa dell'I.V.A., mancando il documento cartolare (fattura) che, ad substantiam, nel determina la nascita.
Pertanto, in sede di accertamento del passivo fallimentare, il credito per rivalsa dell'I.V.A. non può essere preso in alcuna considerazione in quanto ancora inesistente e, per di più, incalcolabile perché ancora sconosciuta l'entità del riparto. Tanto meno, quindi, tale credito per rivalsa dell'I.V.A. potrà venire in considerazione al fine di attribuirgli il privilegio di cui all'art. 2758, 2° comma, cod.  civ., ovvero per negarglielo.
L'obbligo della fatturazione sorgerà a carico del professionista quando il fallimento procederà al riparto dell'attivo in suo favore, ma non per effetto di tale attività fallimentare, bensì per effetto dell'ammissione al passivo del credito per prestazioni professionali.
Infatti è con l'ammissione al passivo che la procedura concorsuale accetta a proprio carico il dovere di soddisfare le obbligazioni assunte dal fallito cosicché, assumendosi tali obbligazioni, si assumono, automaticamente e per volontà del legislatore, le obbligazioni che sono direttamente, quanto eventualmente,  collegate al relativo adempimento.
Può pertanto fondatamente ritenersi:
 * che il momento in cui nasce il credito per rivalsa I.V.A. è successivo alla dichiarazione di fallimento;
 * che trattasi di credito il quale, seppur generato dall'ammissione al passivo del credito professionale, si materializza solo in occasione dell'attività di riparto del fallimento;
 * che il credito di rivalsa dell'I.V.A. determina contestualmente, in capo alla procedura fallimentare, un credito che quest'ultima è tenuta a gestire, sia nel caso in cui  lo utilizzi per pagare una minore imposta, che nel caso in cui ne debba chiedere il   rimborso all'erario.
Le considerazioni sopra svolte determinano l'inerenza del credito per rivalsa dell'I.V.A. esclusivamente in capo al fallimento, alla medesima stregua delle altre attività affrontate nel corso della sua gestione; e trattasi di attività non determinate solo dall'opportunità e convenienza, ma anche dagli obblighi di legge, quali, nella specie, quelli stabiliti dal D.P.R. 633/72 (il fallimento è infatti soggetto d'I.V.A. ex art. 74 bis) fra cui la conservazione e registrazione dei documenti fiscali, la dichiarazione annuale dell'I.V.A. e, dal 1999, anche le dichiarazioni periodiche, nonché il pagamento dell'imposta.
E non potrebbe essere diversamente senza snaturare il privilegio del professionista e le caratteristiche dell'I.V.A..
La conclusione è pertanto che il credito di rivalsa dell'I.V.A. collegata a crediti per prestazioni professionali concorsuali, ma sorti anteriormente al fallimento, ha natura prededucibile nell'ambito della procedura fallimentare.
Non ostano a tale soluzione alcune affermazioni rinvenibili nelle pronunce della Corte Suprema sopra indicate.
In particolare non può condividersi la tesi esposta nella sentenza n. 6149 del 01.06.1995[6], sopra riferita, secondo cui la fattura del professionista, da emettersi in occasione del riparto, dovrebbe essere emessa a nome del fallito, e non del fallimento, al fine di sottolineare che la genesi del credito per rivalsa dell'I.V.A. è pursempre un credito concorsuale relativo alle prestazioni professionali anteriori all'apertura del fallimento.
Infatti, con la dichiarazione di fallimento, la titolarità della partita I.V.A. dell'imprenditore fallito si modifica ed assume la denominazione del fallimento venendo a ricadere sotto la disciplina propria dell'art. 74/bis del D.P.R. 633/72. 
Peraltro, con la dichiarazione di fallimento, ai sensi della L. 426/71, l'imprenditore viene cancellato dal registro degli esercenti il commercio, venendo in ta modo a cessare uno dei presupposti soggettivi dell'iscrizione all'I.V.A..
Altrettanto non può condividersi l'asserita identità di situazioni tra il caso qui esaminato e quello in cui la fatturazione del professionista sia avvenuta prima del pagamento del corrispettivo e della dichiarazione di fallimento dell'obbligato, come sostenuto dalla sentenza n. 5429 del 04.06.1994[4] la quale, sotto questo profilo, ipotizzava la disparità di trattamento e la conseguente violazione dell'art. 3 Cost.. Non vi è infatti, fra le due ipotesi, alcuna identità di situazioni.
Il professionista che, non utilizzando la facoltà di fatturare contestualmente al pagamento, così come previsto dall'art. 6 D.P.R. 633/72, emette la fattura senza ricevere il corrispettivo, assume su di sé il rischio che il credito per rivalsa dell'I.V.A. (come quello per il corrispettivo) da lui anticipato all'erario, rimanga insoddisfatto, cosicché, in caso di fallimento dell'obbligato, egli sarà effettivamente titolare di due distinti ed autonomi crediti: il primo per le prestazioni professionali, privilegiato ai sensi dell'art. 2751/bis, n. 2, cod. civ.; il secondo per rivalsa dell'I.V.A. che potrà risultare o meno assistito dal privilegio di cui all'art. 2758, 2° comma, cod.  civ..
Entrambi detti crediti, in quanto sorti anteriormente al fallimento, avranno natura concorsuale e dovranno quindi essere insinuati nello stato passivo.
Ben diversa è la situazione del professionista che si sia avvalso della facoltà di fatturare solo contestualmente al pagamento del corrispettivo.
Costui infatti in sede di verifica del passivo non sarà portatore di altro credito oltre quello per le prestazioni professionali e, in sede di riparto, conferirà al fallimento, a differenza dell'altro caso, un credito derivante dalla sua rivalsa I.V.A., ma scaturente dal principio di neutralità del tributo che il curatore dovrà gestire, secondo il meccanismo della detrazione o del rimborso, in tal modo trasformandosi in attività di amministrazione del fallimento.
La soluzione qui accolta permette poi di sfuggire al pericolo di configurare, per la procedura fallimentare, un indebito arricchimento determinato dall'acquisizione effettiva di un credito non pagato perché rimasto a carico del professionista senza alcuna giustificazione. Infatti, per l'amministrazione fallimentare, il pagamento in prededuzione determina l'acquisizione di un credito da rivalsa I.V.A. che, per il principio di neutralità dell'imposta, deve essere ed è effettivamente indifferente per l'amministrazione fallimentare, atteso che, al denaro di cassa, si sostituisce un credito verso l'erario, sicuramente esigibile, ed all'eventuale differimento nella riscossione di detto credito, corrisponde per legge il riconoscimento degli interessi ai sensi dell'art. 38/bis D.P.R. 633/72. 
La soluzione qui prospettata consente quindi di restituire piena dignità al privilegio riconosciuto al credito professionale, senza nulla togliere alla massa dei crediti meno privilegiati.
Per quanto invece attiene al contributo per la cassa di previdenza, non sussistono le medesime ragioni descritte in relazione al credito per rivalsa I.V.A..
In particolare non ricorre il fenomeno dell'attribuzione alla massa fallimentare di un credito per rivalsa caratterizzato dalla neutralità dell'onere e della sua necessaria gestione da parte degli organi della procedura.
Il contributo in esame, in effetti, costituisce un credito che, alla stregua di quello relativo alle prestazioni professionali, concorre a formare la base imponibile per la determinazione dell'I.V.A..
Ad esso, pertanto, pur godendo dell'autonomo privilegio di cui all'art. 2754 cod. civ., non può essere riconosciuta la prededucibilità rimanendo estraneo all'amministrazione del fallimento;
Per le considerazioni suesposte, DISPONE che il curatore effettui i riparti anche parziali in favore dei professionisti che vantino crediti assistiti dal privilegio di cui all'art. 2751/bis n.2 cod.  civ., corrispondendo ai medesimi il credito di rivalsa IVA in prededuzione[9].



Note

[1] in Dir. e prat. trib. 1984, II, 809 (nota); Dir. Fall. 1983, II, 63; Fallimento 1983, 589; Giust. Civ. 1983, I, 3389; Foro it. 1983, I, 2519; Giust. Civ. Mass. 1982, fasc. 9. [torna al testo]

[2] in Giust. Civ. Mass. 1992, fasc. 3; Fallimento 1992, 786 [torna al testo]

[3] in Fallimento 1994, 138 [torna al testo]

[4] in Giust. Civ. Mass. 1994, fasc. 6 (s.m.); Foro it. 1995, I, 213; Bollettino Trib. 1995, 64 nota (BRIGHENTI); Giur. it. 1995, I, 1, 832 nota (TURCHI); Fallimento 1995, 38; Dir. Fall. 1995, II, 321 nota (RERBECCA) [torna al testo]

[5] in Fallimento 1995, 1008, nota (ANNI) [torna al testo]

[6] in Fallimento 1996, 41 [torna al testo]

[7] in Giust. Civ. Mass. 1996, 389; Fallimento 1996, 771 [torna al testo]

[8] Fallimento 1997, 717 (nota) [torna al testo]

[9] In argomento si rinvengono anche Trib. Bologna 26.01.1988 in Giur. comm. 1990, II, 861; Trib. Como 06.11.1989 in Dir. fall. 1990, II, 555; Trib. Belluno 24.01.1990 in Fallimento 1990, 1120; Cass. 13.11.1992 n. 12207 in Giust. Civ. 1993, I, 959 nota (LO CASCIO); Fallimento 1993, 500; Dir e prat. trib. 1993, II, 911 nota (BENVENUTI); Trib. Genova 20.02.1995 in Gius 1995, 1421; Cass. 15.09.1995, n. 9763 in Fallimento 1996, 350; Dir. Fall. 1996, II, 484; Giust. civ. Mass. 1995, 1648; Trib. Genova 02.12.1996 in Gius 1997, 1396 (sm); Trib. Pisa 10-12.02.1999 in Il Fisco 15/99, 5314 nota (SOLLINI). [torna al testo]



Gira pagina

INDIETRO

AVANTI