Giurisprudenza di merito 
con nota di  Alberto Costantini
I
Trib. civ. Roma – Sez. Fallim. – decreto 13 luglio 1998 - Pres. Grimaldi – G.D. Norelli 

CONCORDATO PREVENTIVO – LIQUIDATORE GIUDIZIALE DEI BENI – LIQUIDAZIONE COMPENSO – CRITERI – D.M. 28 LUGLIO 1992, N. 570 – INAPPLICABILITA’- D.P.R. 10 OTTOBRE 1994, N.645, ART. 30 – APPLICABILITÀ’

Il compenso di spettanza del liquidatore giudiziale nominato nell’ambito di un concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori va determinato alla stregua dei criteri indicati dal D.P.R. 10 ottobre 1994, n.645 (regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri per il rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti) per la determinazione del compenso spettante ai dottori commercialisti per l’attività di liquidazione di aziende e non sulla base del D.M. 28 luglio 1992, n. 570 (regolamento concernente adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari e determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata). [1]

II

Trib. civ. Roma – Sez. Fallim. – decreto 12 marzo 1998 - Pres. Grimaldi – G.D. Norelli 

CONCORDATO PREVENTIVO – COMMISSARIO GIUDIZIALE – ATTIVITÀ’ SUCCESSIVA ALLA OMOLOGAZIONE DEL CONCORDATO - LIQUIDAZIONE COMPENSO – CRITERI 

L’art. 5, comma 2, del D.M. 28 luglio 1992, n. 570 (regolamento concernente adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari e determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata) va interpretato nel senso che nella liquidazione dei compensi al commissario giudiziale nominato nell’ambito di una procedura di concordato preventivo va tenuto conto anche dell’opera prestata successivamente all’omologazione del concordato e non già nel senso che per l’opera successiva all’omologazione spettino ulteriori distinti compensi, a meno che il commissario non assuma anche le funzioni di liquidatore dei beni ceduti, nel qual caso gli sarà dovuto anche il compenso sull’attivo della liquidazione, determinato con le percentuali di cui all’art. 1 del citato D.M. 28 luglio 1992, n. 570. [2]

I

(omissis)
La liquidazione del compenso del liquidatore giudiziale dei beni ceduti col concordato preventivo spetta al tribunale, che lo ha nominato ex art. 182 L.F., in ragione proprio della fonte dell'investitura, secondo il principio generale in tema di incarichi giudiziari, per il quale la liquidazione dei compensi ad ogni incaricato va fatta dalla stessa autorità giudiziaria, che ha conferito l'incarico.
Il tribunale provvede con decreto in camera di consiglio ex artt. 737 ss. cod. proc. civ., essendo il rito camerale quello con il quale il tribunale adotta ogni provvedimento in ordine alla esecuzione del concordato preventivo (arg. ex art. 186 L.F.).
La legge fallimentare nulla stabilisce circa il compenso spettante al liquidatore giudiziale dei beni ceduti col concordato preventivo.
Parimenti tace al riguardo il decreto ministeriale 28 luglio 1992, n. 570, con cui è stato adottato il “regolamento concernente adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari e determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata”.
L'unica norma vigente in tema di compensi dovuti al liquidatore giudiziale del concordato preventivo è contenuta nell'art. 30 del D.P.R. 10 ottobre 1994, n. 645, con cui è stato emanato il “regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri per il rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti”. Detto articolo, al 3° comma, stabilisce che gli onorari previsti dai commi precedenti “si applicano anche per la liquidazione dei beni ceduti ai creditori ai sensi dell'art. 1977 cod. civ. e dell'art. 160, 2° comma, n. 2, R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (L.F.)”. 
Secondo una recente pronuncia della corte suprema (Cass. 24 luglio 1997, n. 6924), confermativa di un provvedimento di merito (Trib. Brescia decr. 7 marzo 1996), la or citata norma regolamentare sarebbe illeggittima, in quanto, attribuendo al liquidatore giudiziale dottore commercialista un compenso superiore a quello previsto per il curatore fallimentare, violerebbe il principio della parità di trattamento sancito dall'art. 3 Cost.; sicché essa legittimamente può (anzi, deve) essere disapplicata dal giudice di merito.
Questo tribunale è di contrario avviso. 
Non può condividersi l'affermazione che “l'attività del liquidatore giudiziale nel concordato preventivo con cessione dei beni è assimilabile e sostanzialmente equiparabile ad una parte di quella svolta dal curatore del fallimento” (Cass. 24 luglio 1997, n. 6924), giacché i compiti e le conseguenti responsabilità del liquidatore giudiziale differiscono da quelli del curatore fallimentare, per le diversità strutturali esistenti fra la liquidazione dei beni ceduti e la procedura fallimentare.
La mancanza nella procedura di concordato preventivo di un sub-procedimento di verificazione del passivo, affidato al giudice delegato, comporta che ad una verifica (ovviamente non giurisdizionale) dei crediti concordatari deve, comunque, procedere lo stesso liquidatore (sia pure sotto il controllo del commissario giudiziale), ai fini della ripartizione del ricavato della liquidazione dei beni ceduti, e che, in caso di controversie sull'esistenza, sull'ammontare o sul rango dei crediti, il liquidatore giudiziale è legittimato passivo alle relative azioni di accertamento, quale litisconsorte necessario del debitore concordatario, ogni qualvolta “si tratti di domande di condanna o comunque idonee ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato” (Cass. 15/1/1997, n. 363).
Nel concordato preventivo, di regola, spetta al liquidatore giudiziale ogni potere di amministrazione, anche straordinaria, dei beni ceduti, mentre nel fallimento al curatore spetta autonomamente solo l'amministrazione ordinaria (sempre, peraltro, sotto la direzione del giudice delegato: art. 31 L.F.), dovendo egli essere autorizzato dal giudice delegato o dal tribunale per ogni atto di amministrazione straordinaria (artt. 25, n. 6 e 35 L.F.).
Nel concordato preventivo, di regola, la liquidazione dei beni è affidata interamente al liquidatore giudiziale, il quale, nel rispetto delle modalità stabilite dal tribunale ex art. 182 L.F., e sia pure sotto il controllo del commissario giudiziale e del giudice delegato, ha ampi poteri discrezionali e non è tenuto a seguire particolari formalità procedurali, ma opera con gli strumenti negoziali di diritto privato.
Nel concordato preventivo spetta al liquidatore giudiziale la formazione dei piani di riparto, mentre nel fallimento l'attività del curatore in ordine alla ripartizione dell'attivo è meramente preparatoria e strumentale rispetto ai provvedimenti del giudice delegato.
La diversità di funzioni fra liquidatore giudiziale e curatore fallimentare è stata, peraltro, riconosciuta, in passato, dalla stessa Corte Suprema, la quale ha escluso che possano applicarsi al primo, per via di analogia, norme riguardanti il secondo, affermando che “non si può ammettere il ricorso all'analogia con diretto riferimento alle norme dettate per il curatore, al quale neppure sotto il limitato aspetto della funzione liquidatoria può essere avvicinata la figura del liquidatore nel concordato preventivo con cessione dei beni” (Cass. 21 novembre 1981, n. 6187).
La stessa Corte Suprema ha, più volte, statuito che l'istituto del concordato preventivo con cessione dei beni “deve ritenersi disciplinato, in mancanza di diverse disposizioni indicate nella proposta omologata, dalle norme della cessione dei beni ai creditori di cui agli artt. 1977 ss. cod. civ., applicabili analogicamente ad integrazione delle poche norme che, al riguardo, sono contenute nella L.F.” (ancora Cass. 21 novembre 1981, n. 6187, con specifico riferimento al rendiconto del liquidatore giudiziale).
Orbene, poiché l'art. 30 del citato D.P.R. fa lo stesso trattamento al liquidatore dei beni ceduti ex artt. 1977 ss. cod. civ. ed  al liquidatore giudiziale dei beni ceduti ex art. 160, 2° comma, n. 2, L.F., una disapplicazione della norma regolamentare nei confronti del secondo comporterebbe, questa si, una illegittima disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 Cost..
Ritiene, dunque, il collegio che la norma regolamentare in questione è legittima e va applicata (in senso conf., Trib. Roma decr. 16/6/1998, Federconsorzi).
Tale norma, per il principio di parità di trattamento, va estesa, per analogia, a tutti i professionisti, che svolgano le funzioni di liquidatore giudiziale nelle procedure di concordato preventivo.
L'applicazione della norma richiamata comporta l'applicazione anche di tutte le altre disposizioni, che quella integrano, contenute nello stesso regolamento.
Va dunque applicata, in caso di incarico collegiale, la disposizione dell'art. 11, 2° comma, per la quale “gli onorari globali dovuti al collegio, fermi restando i rimborsi di spese e le indennità spettanti a ciascun membro, sono quelli dovuti ad un dottore commercialista con l'aumento del 40% per ciascun  membro del collegio”.
(omissis)

II

(omissis)
rilevato che l'istante ha svolto le funzioni di commissario giudiziale del concordato preventivo della Nusam s.p.a. dal 14.3.1991, data del decreto di apertura della procedura, fino al 4.10.1991, data della sentenza di omologazione, e successivamente, senza soluzione di continuità, durante l'esecuzione del concordato medesimo, fino al 29.12.1997, data delle sentenze con la quale è stato risolto il concordato e dichiarato il fallimento della società debitrice; rilevato, altresì, che l'attivo ed il passivo della società debitrice, risultanti dell'inventario redatto dal commissario giudiziale, ammontano rispettivamente a lire 70.137.000.000 ed a lire 105.659.000.000; tenuto conto dell'opera particolarmente complessa e delicata, prestata dall'istante quale commissario giudiziale del rilevante impegno da lui profuso, della elevata professionalità dimostrata, dei cospicui risultati ottenuti nonché della durata della liquidazione dei beni ceduti, ritenuto che, ai sensi dell'art. 5, 1° comma, del D.M. di Grazia e Giustizia 28 luglio 1992, n. 570, al commissario giudiziale spettano i compensi, determinati con le percentuali di cui all'art. 1, sull'ammontare del passivo e dell'attivo risultanti dell'inventario redatto a norma dell'art. 172 L.F.; che la disposizione del 2° comma dello stesso art. 5 (secondo cui "al commissario giudiziale spettano i compensi anche per l'opera prestata successivamente all'omologazione del concordato preventivo, determinati secondo quanto previsto al 1° comma ovvero con le percentuali di cui all'art. 1 sull'attivo della liquidazione, nei casi di cessione dei beni previsti dall'art. 182 del R.D. n.267/1942") va intesa nel senso che nella liquidazione dei compensi di cui al 2° comma va tenuto conto anche dell'opera prestata successivamente all'omologazione del concordato, e non già nel senso che per l'opera successiva all'omologazione spettino ulteriori distinti compensi, a meno che il commissario non assuma, altresì, le funzioni di liquidatore dei beni ceduti nel qual caso soltanto gli sarà dovuto anche il compenso sull'attivo della liquidazione, determinato con le percentuali di cui all'art. 1 del citato regolamento e ciò sia perché il predetto 2° comma non configura i compensi, di cui fa parola, come compensi aggiuntivi, ma si riferisce ai medesimi compensi contemplati nel 1° comma (stabilisce, infatti, che spettano i compensi "anche per l'opera prestata successivamente", non che spettano "anche i compensi" per detta opera), sia perché, diversamente opinando, si verrebbero a duplicare ingiustificatamente i compensi, senza che al raddoppio degli emolumenti corrisponda un pari incremento dell'attività in concreto svolta, così facendo al commissario giudiziale un trattamento di favore irragionevolmente sperequato rispetto a quello del curatore fallimentare al quale, nel caso che il fallimento si chiuda con concordato, non spetta alcun compenso aggiuntivo per l'opera prestata successivamente all'omologazione, ma, ai sensi dell'art. 2, 2°  comma, del citato D.M., esclusivamente il compenso sull'ammontare complessivo di quanto viene attribuito ai creditori ed il compenso supplementare sul passivo, determinati con le percentuali di cui all'art.1, benché anche al curatore sia demandata la sorveglianza dell'adempimento del concordato fallimentare (art. 136, 1° comma, L.F.); che la norma regolamentare, così interpretata si sottrae alle censure di legittimità, con riferimento al principio costituzionale di uguaglianza (art. 3, 1° comma, Cost.), sicché non v'è bisogno di far luogo alla sua disapplicazione ( cfr., in senso conf., Trib. Roma [ decr.] 27.10.1994, concordato preventivo Società dell'Acqua Pia Antica Marcia p.a., Guerra ric.); visti gli artt. 39 e 165 L.F., nonché il D.M. 28 luglio 1992, n.570; liquida
(omissis)

Osservazioni
[1]. Il Tribunale fallimentare di Roma disattende l’orientamento della Corte di Cassazione, consolidatosi anche prima dell’emanazione del D.P.R. 10 ottobre 1994, n. 645 (regolamento recante la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri per il rimborso delle spese per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti), secondo il quale il compenso al liquidatore giudiziale dei beni nominato nell’ambito di un concordato preventivo va determinato sulla base dei criteri posti dal D.M. 28 luglio 1992, n. 570 (regolamento concernente adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari e determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo e di amministrazione controllata). Ciò in base ad una sostanziale assimilabilità tra le funzioni del liquidatore giudiziale ex art. 182 L.F. e quelle del curatore fallimentare (cfr. Cass., sez. I, 22 febbraio 1994, n. 1730, in Foro it., 1994, I, 1763; Cass., sez. I, 27 maggio 1987, n. 4721, in Fallimento, 1987, 1159; in tal senso anche Trib. Napoli, 6 aprile 1993, in Fallimento, 1993, 1057, con nota di FABIANI; Trib. Roma, decr. 27 aprile 1989, in Fallimento, 1990, 286, con nota di BOZZA).
Nel citato D.P.R. 10 ottobre 1994, n. 645, che all’art. 30, 3° comma, estende anche ai liquidatori giudiziali i compensi determinati in base alle percentuali (diverse da quelle applicabili ai curatori fallimentari in virtù del D.M. n. 570/92), previste dal 1° comma del medesimo articolo per la liquidazione volontaria di aziende, la Cassazione intravede dunque una ingiustificata e, soprattutto costituzionalmente illegittima disparità di trattamento in favore dei liquidatori giudiziali ed a danno dei curatori fallimentari, sanzionabile, attesa la natura regolamentare del provvedimento, direttamente da parte del giudice ordinario chiamato a determinare il compenso al liquidatore giudiziale.
A tale fine, secondo la Cassazione, devono pertanto continuare ad applicarsi le percentuali previste dal citato D.M. 28 luglio 1992, n. 570 (così Cass. Sez. I, 24 luglio 1997, n. 6924, in Foro it., Mass.1997).
Proprio quest’ultima pronuncia è espressamente richiamata dai provvedimenti in rassegna, per contestarne il fondamento logico, ossia la pretesa assimilabilità tra le funzioni del liquidatore giudiziale e quelle del curatore. Al contrario, secondo il Tribunale di Roma, sul liquidatore giudiziale dei beni graverebbero compiti e responsabilità del tutto peculiari, caratterizzate da un grado di autonomia superiore a quello del curatore fallimentare, che si riflette nei poteri di amministrazione straordinaria, nell’utilizzo di moduli negoziali privatistici per la liquidazione dell’attivo e nella formazione dei piani di riparto. 
Tale maggiore grado di autonomia ben giustifica, in mancanza di altre fonti normative, l’utilizzo della tariffa dei dottori commercialisti, che, precisa il provvedimento in rassegna (reso con riguardo a liquidatore iscritto all’Albo degli Avvocati), deve a tale limitato fine rendersi applicabile anche ai liquidatori giudiziali che non siano dottori commercialisti. per evidenti ragioni di perequazione. [torna al richiamo della nota]

[2]. Questione sempre dibattuta quella del compenso di spettanza del commissario giudiziale.
Qui il Tribunale capitolino offre una lettura del controverso art. 5, 2° comma, del D.M. 28 luglio 1992, n. 570 che ne salva la legittimità in relazione all’art. 3 della Costituzione, del quale sia la Cassazione (Cass. Sez. Un., 26 maggio 1997, n. 4670, in Foro it., 1997, I, 2081, che compone un contrasto giurisprudenziale affiorato anche in sede di legittimità: si veda, in senso contrario, Cass. sez. I, 27 novembre 1996, n. 10552, in Fallimento, 1997, 306) che i Tribunali fallimentari (Trib. Barcellona Pozzo di Gotto, 21 giugno 1996, in Dir. Fall., 1996, II, 934 con nota di VIGNERA; Trib. Cosenza, 14 novembre 1995, ibidem; Trib. Como, 30 marzo 1996, in Dir. Fall., 1996, II, 542, con nota di CAPUTO) hanno invece più volte denunciato la violazione, in ragione del fatto che se “…i compensi anche per l'opera prestata successivamente all’omologazione del concordato preventivo” devono considerarsi aggiuntivi rispetto a quelli calcolati sul passivo e sull’attivo ai sensi del 1° comma, si verrebbe a determinare una duplicazione delle voci di compenso in favore dei commissari giudiziali ed a tutto danno dei curatori fallimentari. Secondo il Tribunale romano invece, la lettura corretta della norma è nel senso di attribuirle valenza ricognitiva del principio opposto, ossia che il compenso da liquidarsi in favore del commissario giudiziale, determinato in base ai medesimi criteri stabiliti per il curatore, tiene conto anche della fase successiva alla omologazione, senza che ad essa debba imputarsi una autonoma e distinta voce di compenso. Così interpretata la norma non si pone in contrasto con il principio di eguaglianza e non va pertanto disapplicata.
Siffatta interpretazione, senz’altro suggestiva, appare interessante più per ciò che non dice che per quello che dice: infatti, se compito dell’art. 5, 2° comma, del D.M. n. 570/92 è quello di precisare che nei compensi determinati ai sensi dell’art. 1 del detto D.M. n. 570/92 sono comprese anche le attività successive all’omologazione, che fare in caso di concordato non omologato? Sembrerebbe logico ridurre il compenso del commissario giudiziale sotto i minimi della tariffa, alla stessa stregua di un commissario o un curatore cessato anticipatamente dalle funzioni (su tali tematiche COSTANTINI A.: “Liquidazione del compenso al curatore revocato e sindacato della Corte di Cassazione”, in questa Rivista, Anno III, numero unico, pagg. 43-45).
Altro spunto di riflessione è costituito dal passaggio del decreto in rassegna secondo il quale un compenso aggiuntivo ed ulteriore è riconoscibile al commissario solo quando egli sia nominato anche liquidatore dei beni ceduti, “nel qual caso soltanto gli sarà dovuto anche il compenso sull’attivo della liquidazione, determinato con le percentuali di cui all’art. 1 del citato regolamento” (ossia il D.M. n. 570/92). Tale ipotesi, che, per la verità, viene formulata solo in via incidentale, sembra tuttavia contrastare con quanto affermato nel decreto sub I, emesso dopo quello qui esaminato, che invece ritiene applicabile alla fase di liquidazione la tariffa professionale dei dottori commercialisti e non quella dei curatori fallimentari. [torna al richiamo della nota]


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