I progetti delle convenzioni internazionali e comunitarie in materia di fallimento: 
problemi e prospettive
 di Fausto Capelli e Massimiliano Valcada

Primi passi verso il diritto fallimentare uniforme in Europa
Gli anni novanta sono stati caratterizzati da quella che viene definita, con un termine oramai inflazionato, la globalizzazione dell’economia e cioè l’interdipendenza sempre più marcata tra le diverse economie mondiali. 
Quest’osservazione è tanto più vera in ambito comunitario dove da anni gli operatori si muovono in un mercato caratterizzato da un’integrazione sempre più accentuata tra i diversi Stati membri.
In questa realtà è facile intuire come ogni elemento di stretta pertinenza nazionale possa comportare importanti discrasie che necessariamente ricadono su tutti i settori dell’attività economica.
Diventa di fondamentale importanza, quindi, cercare di individuare le soluzioni più appropriate per consentire la rimozione di quegli ostacoli che possono intralciare, a diverso titolo, il corretto svolgimento delle attività produttive.
In quest’ottica è necessario analizzare l’argomento oggetto del presente intervento, materia che, è bene sottolinearlo, rientra a pieno titolo tra le competenze 
nazionali.
L’affermazione sopra riportata identifica immediatamente il campo degli strumenti di carattere giuridico necessari per dare una regolamentazione appropriata all’intera materia. Escluso, quindi, l’intervento comunitario diretto (la Comunità non ha competenze in materia), è necessario utilizzare lo strumento convenzionale. In questa direzione si sono mossi gli Stati europei che negli anni hanno elaborato diversi progetti di convenzione, mai entrati in vigore a causa delle numerose difficoltà di carattere politico incontrate. 
In effetti, l’eterogeneità delle normative nazionali sul punto è molto spiccata: accanto ad ordinamenti le cui procedure concorsuali perseguono la tutela degli interessi dei creditori mirando principalmente  alla  liquidazione  del patrimonio  del fallito (es. Belgio e Italia), altri, invece, (es. Francia) hanno come obiettivo principale il salvataggio dell’impresa.[1]
L’attenzione verrà focalizzata su due Convenzioni non ancora entrate in vigore: la Convenzione europea su alcuni aspetti internazionali del fallimento firmata nel giugno 1990 a Istanbul ed elaborata in seno al Consiglio d’Europa[2] e la Convenzione relativa alle procedure d’insolvenza firmata a Bruxelles nel novembre 1995[3]. 
La Convenzione di Istanbul del 1990 è frutto di un’impostazione che è stata definita in dottrina minimalista. Si cerca di coordinare le diverse legislazioni nazionali, senza, però, prevedere criteri di giurisdizione di-retta.
Il suo campo di applicazione è circoscritto alle procedure concorsuali di carattere esclusivamente liquidatorio; non viene quindi regolata l’intera materia, ma sono previste norme particolari per ciò che riguarda la disciplina dei poteri del curatore, la possibilità dello stesso di determinare l’apertura di fallimenti secondari”, il dovere di informazione dei creditori.
La Convenzione non si applica alle banche e alle imprese assicuratrici colpite da procedure di carattere liquidatorio.
Non è necessario dilungarsi troppo nell’analisi della Convenzione di Istanbul per due ordini di motivi:
 la Convenzione non è mai entrata in vigore e difficilmente lo sarà in seguito, dal momento che gli Stati membri hanno firmato nel 1995 una nuova convenzione in materia che prevede al suo interno la sostituzione, “per le materie che ne sono oggetto e nei casi in cui trova applicazione”[4], delle convenzioni “stipulate fra due o più Stati contraenti”[5] e quindi anche di quella in esame;
  alcune linee guida della convenzione del 1990 vengono riprese ed ampliate nel successivo testo della convenzione comunitaria, ragione per cui un esame parallelo e puntuale della lettera dei due testi risulta essere ripetitivo e di difficile comprensione.
La Convenzione comunitaria relativa alle procedure d’insolvenza che utilizza come base giuridica l’articolo 220 del Trattato CE, pur partendo con un obiettivo, rimasto inattuato, assai ambizioso, “la disciplina internazionalistica e processualistica del diritto fallimentare nel suo insieme”[6] rappresenta, senza dubbio, un importante salto di qualità rispetto al testo del 1990. Il testo si ispira al principio “dell’universalità limitata degli effetti delle procedure concorsuali”[7] e naturalmente al principio fondamentale della par condicio omnium creditorum. Analizzando la struttura della Convenzione comunitaria, notiamo che questa comprende oltre ad un preambolo, sei capitoli così divisi: disposizioni generali, riconoscimento e definizione dei poteri del curatore, regolamentazione delle procedure secondarie particolari, informazione dei creditori e insinuazione dei crediti, interpretazione della Corte di giustizia, disposizioni transitorie e finali.
Le caratteristiche principali di questo testo, che si applica anche alle procedure di recupero delle imprese (es. amministrazione controllata), possono essere così riassunte: disposizioni che individuano l’estensione degli effetti attribuiti alla dichiarazione di fallimento dalla legge del foro che lo regola, norme uniformi di natura internazionalprivatistica volte a risolvere i possibili conflitti di legge per ciò che riguarda alcuni aspetti particolari della disciplina concorsuale, effetti del riconoscimento della sentenza di apertura del fallimento, interpretazione del testo da parte della Corte di giustizia.
Innanzi tutto evidenziamo il campo di applicazione: la Convenzione si applica alle procedure concorsuali che si basano sull’insolvenza del debitore comportanti lo spossessamento (totale o parziale) dei suoi beni e la designazione di un curatore. Queste norme non si applicano alle imprese assicuratrici, agli enti creditizi e alle “imprese d’investimento che forniscono servizi che implicano la detenzione di fondi o valori mobiliari di terzi “ (cfr. art 1), oltre che ad organismi d’investimento collettivo (es. OICVM).
Per evitare i problemi derivanti da una diversa interpretazione degli istituti chiave, vengono (art. 2) definiti in maniera precisa tutti gli elementi essenziali della procedura come, ad esempio, il concetto di procedura d’insolvenza[8], procedura di liquidazione, curatore ed altri ancora.
Di notevole importanza, nell’economia generale del testo, risulta essere la norma che attribuisce direttamente la competenza ad aprire la procedura, al giudice “nel cui territorio è situato il centro degli interessi del debitore”. Per le società tale centro è individuato tramite una presunzione (semplice), nella sede statutaria delle stesse. Il testo regolamenta anche la possibilità di aprire, nello Stato in cui il debitore ha una dipendenza, un’ulteriore procedura d’insolvenza i cui effetti, regolati dalla lex fori, verranno però limitati esclusivamente ai beni del debitore presenti sul quel territorio.
Viene, dunque, prevista, oltre ad una procedura principale, la possibilità di aprirne una “secondaria” che risulterà però (con le modalità che in seguito vedremo), ancillare alla prima. Quest’ultima potrà essere aperta anche prima dell’apertura della procedura principale, ma soltanto in due specifiche ipotesi:
 nel caso in cui la normativa interna dello Stato in cui si trova il centro degli interessi del debitore non consenta l’apertura di una procedura nei confronti di quest’ultimo;
 se l’apertura della procedura “secondaria” è richiesta da un creditore che stabilmente (avendo domicilio o residenza abituale) si trova nello Stato in cui è situata la dipendenza del debitore, oppure, il credito vantato ha origine nell’attività svolta dal debitore in quello Stato.
Fatte salve le deroghe espressamente previste dalla Convenzione (art. 4), la legge applicabile alla procedura d’insolvenza e agli effetti da essa determinati, è quella dello Stato in cui si è aperta la procedura stessa; essa infatti ne determina le condizioni di apertura, lo svolgimento e la chiusura.
La norma, inoltre, fornisce un’elencazione, certo non tassativa, di altre ipotesi in cui la lex fori concursus determina una serie di situazioni (art. 4.2 lett a – m). A tal proposito, tra le altre fattispecie, segnaliamo: i debitori che per la loro qualità possono essere assoggettati ad una procedura di insolvenza, gli effetti della procedura di insolvenza sui contratti in corso di cui il debitore è parte, i diritti dei creditori dopo la chiusura della procedura d’insolvenza. 
Sul punto è però opportuno proporre alcune riflessioni. In primis, è necessario evidenziare che in presenza di “situazioni di estraneità rispetto all’ordinamento dello Stato che ha provveduto a dare avvio alle procedura”, potrà essere richiamata una legge straniera.[9] La norma, in esame, (art 4.2) pare circoscrivere in modo preciso l’ambito di applicazione della lex fori concursus; si può osservare che alcune fattispecie importanti, che non possono certo essere ricomprese strettamente nello svolgimento della procedura, dovrebbero essere escluse dall’applicazione della citata lex fori. Per le azioni derivanti direttamente dal fallimento (es. revocatoria ordinaria, fallimentare presunzione muciana ecc.), in presenza di elementi di estraneità dovrebbero essere applicate, al fine di un autonoma valutazione della competenza giurisdizionale, le norme nazionali di procedura civile internazionale.
L’ipotesi per quanto interessante rimane tale, in attesa dell’entrata (se mai accadrà!) in vigore della Convenzione e dell’opera d’interpretazione affidata alla Corte di giustizia delle Comunità Europee.
Per quanto riguarda le deroghe al criterio di competenza sopra individuato, applicabili in particolare ad ipotesi di carattere sostanziale e non soltanto processuale, facilmente si può intuire che queste si sono rese necessarie per le profonde differenze presenti nelle discipline fallimentari dei diversi Stati europei. In particolare, per regolare gli effetti della procedura si dovrà far riferimento alla lex rei sitae nel caso di beni immobili, mobili registrati e per i diritti dei terzi su questi beni, mentre per i contratti di lavoro, per gli atti pregiudizievoli nei confronti dei creditori, per i sistemi di pagamenti e i mercati finanziari il riferimento sarà operato sulla lex contractus. Una delle parti di maggior interesse della Convenzione riguarda il riconoscimento della procedura di insolvenza. In quella sede vengono disciplinati gli effetti del riconoscimento e i casi in cui vi si può derogare, i poteri del curatore e la pubblicità .
Il principio fondamentale è il riconoscimento automatico negli altri Stati contraenti della decisione [10] di apertura, svolgimento, chiusura del fallimento, salvo disposizione contraria contenuta nella Convenzione e “fintantoché in un altro Stato contraente non è aperta altra procedura (la cd. procedura secondaria) ex art. 3.2 (art. 17). Ciò vale anche in quegli Stati dove il debitore non può essere dichiarato fallito (es. in Italia può essere sottoposto a procedura fallimentare solo l’imprenditore commerciale).
In sintesi, alle decisioni sopra evidenziate saranno attribuiti, senza formalità, gli stessi effetti previsti dalla legge dello Stato contraente ove sono state emanate. Tra questi effetti rientrano, tra gli altri, la nomina del curatore, la sospensione delle azioni esecutive individuali contro i beni del debitore, la determinazione del periodo sospetto ai fini della revocatoria. 
Una volta riconosciuta la decisione, il curatore potrà esercitare sul territorio degli Stati membri contraenti gli stessi poteri che gli sono attribuiti dallo Stato di apertura del procedimento. Oltre a non dover violare l’ordine pubblico di un altro Stato contraente (vedi infra), il curatore dovrà “rispettare la legge dello Stato contraente nel cui territorio intende agire  ed in particolare le modalità di liquidazione dei beni “ e nello svolgimento del suo incarico non potrà utilizzare mezzi coercitivi né arrogarsi il diritto di decidere una controversia (art. 18). 
Il riconoscimento può essere rifiutato soltanto nel caso in cui lo stesso o “l’esecuzione possano produrre effetti palesemente contrari all’ordine pubblico, in particolare ai principi fondamentali o ai diritti e alle libertà personali sanciti dalla Costituzione” (art. 26). A tal proposito, si osserva che per quanto riguarda la nozione di ordine pubblico, analogamente a quanto previsto per la Convenzione di Bruxelles[11], il concetto preso in esame è quello di ordine pubblico attenuato elaborato dalla giurisprudenza francese[12]. In sintesi, la citata teoria non permette di rifiutare il manifestarsi degli effetti di una sentenza straniera riconosciuta che “tende a conferire dei diritti acquisiti all’estero nella misura in cui tali diritti non sono acquisibili sul territorio nazionale in base alla legislazione interna[13]. Per ciò che riguarda, invece, il procedimento di esecuzione di una decisione inerente lo svolgimento e la chiusura di una procedura concorsuale, il testo richiama gli articoli da 31 a 51 della Convenzione di Bruxelles del 1968 ad eccezione dell’articolo 34.II[14].
La Convenzione comunitaria, come già segnalato, prevede anche la possibilità dell’apertura di una procedura d’insolvenza secondaria in un paese contraente dove il debitore ha una “dipendenza”, o meglio un centro di interessi stabile nel quale svolge un’attività economica in modo non saltuario. Per il concetto di stabilimento che rileva ai fini della presente analisi, si rimanda alla nozione di “succursale, agenzia, o di qualsiasi altra filiale” contenuta nella Convenzione di Bruxelles del 1968 (cfr. art. 5.5). La dottrina[15] ha rilevato che tale nozione, così come interpretata dalla Corte di giustizia[16] è più ampia di quella adottata dalla Conven-zione. Ciò comporta che non potranno essere oggetto di procedura d’insolvenza i beni che non siano il frutto o lo strumento di esercizio di un’attività economica.
In sintesi, nel nostro ordinamento, il giudice dovrà, ad esempio, verificare con attenzione, prima di pronunciarsi, l’esistenza di un’attività economica.
Il presupposto fondamentale per l’apertura di una procedura secondaria è l’apertura, in un altro Stato contraente, della procedura principale in conformità alle norme della Convenzione (cfr. art. 3.1); tale operazione permetterà al giudice della procedura ancillare di evitare l’esame della sussistenza di una situazione d’insolvenza. La legge applicabile al procedimento in esame, salvo deroghe previste dalle stesse norme convenzionali, è la lex fori. Gli effetti della stessa sono circoscritti ai beni presenti esclusivamente su quel territorio. Legittimati a chiedere l’apertura della procedura secondaria sono il curatore della procedura principale e tutti i soggetti “abilitati” secondo le regole dello Stato contraente sul cui territorio è richiesta l’apertura della procedura “complementare”.
Una serie di norme (artt. 31-38) è invece dedicata al coordinamento delle due procedure; tra le più interessanti segnaliamo la possibilità del curatore del procedimento “principale” di richiedere la sospensione in tutto o in parte (per un periodo massimo di tre mesi rinnovabili) delle operazioni di liquidazione della procedura secondaria (tale richiesta potrà essere rifiutata soltanto per manifesta mancanza d’interesse dei creditori della procedura principale) salva la facoltà, da parte del curatore della procedura secondaria, di chiedere adeguate garanzie a tutela dei “suoi” creditori (cfr. art. 35), la facoltà dei creditori di insinuarsi in entrambe le procedure, il trasferimento dell’eventuale avanzo derivante dalla procedura secondaria a quella principale.
Un’ultima riflessione a proposito della richiesta di provvedimenti conservativi. La Convenzione stabilisce che nel caso di nomina, da parte del giudice dello Stato di apertura, di un curatore provvisorio con il compito di garantire la conservazione del patrimonio debitorio, questi è legittimato a richiedere in altro Stato contraente, i provvedimenti di natura conservativa sui beni che si trovano sul territorio di un altro Stato contraente. 
Questo potere è concesso per il periodo intercorrente tra la richiesta e la decisione di apertura della procedura d’insolvenza. L’interpretazione della Convenzione de qua[17]  è garantita dalla Corte di giustizia. Le giurisdizioni legittimate a chiedere il rinvio pregiudiziale (è prevista la sola facoltà e non l’obbligo) sono quelle di ultima istanza (in Italia, il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione) e quelle che giudicano in grado di appello.
Nelle previsioni della Convenzione, però, la sentenza della Corte di giustizia non ha efficacia vincolante per il giudice 
a quo.
E’ inoltre previsto il c.d. ricorso nell’interesse della legge da parte del Procuratore Generale presso le giurisdizioni di ultima istanza nell’ipotesi di interpretazioni difformi tra le decisioni emanate dagli organi di uno Stato e quelle pronunciate dalla Corte di giustizia o dalle giurisdizioni di ultima istanza di uno Stato membro.
Per quanto riguarda l’entrata in vigore della Convenzione, che dovrà essere firmata da tutti gli Stati dell’Unione, questa avverrà soltanto dopo che l’ultimo Stato firmatario avrà provveduto alla ratifica.
Al momento la Convenzione non è ancora entrata in vigore a causa della mancata firma della Gran Bretagna che si è rifiutata di sottoscrivere il testo per ritorsione in ragione delle misure adottate nei confronti delle esportazioni inglesi di carne a seguito del noto caso della “mucca pazza”. 
Nel caso in cui il testo entrasse finalmente in vigore, l’articolo 48 dello stesso prevede la sostituzione, per le materie e nei casi di applicazione delle norme convenzionali, delle Convenzioni stipulate fra due o più Stati contraenti.
Per quanto riguarda l’Italia, oltre alla Convenzione di Istanbul del 1990 (peraltro mai entrata in vigore), è prevista la sostituzione della Convenzione tra Francia e Italia del 1930 sull’esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale.
Le difficoltà sopra evidenziate saranno probabilmente risolte a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam[18]. Una delle norme contenute nel nuovo Trattato (cfr. art. 73 m del Trattato di Amsterdam) prevede il trasferimento dal cd. terzo pilastro (siamo, quindi, nell’ambito della cooperazione intergovernativa e non nel sistema comunitario) alla Comunità europea delle competenze in materia di cooperazione giudiziaria.
In sintesi, per disciplinare la materia de qua non sarà più necessario ricorrere allo strumento convenzionale, ma sarà possibile regolamentare la tematica per mezzo di un semplice atto di diritto comunitario derivato (es. un regolamento o una direttiva). 
In tal modo verrebbe eliminato il problema della firma e delle ratifiche nazionali permettendo l’inserimento dell’intera materia nel sistema comunitario.

Note
[1] Per un’analisi comparatistica in materia, Rives - Langes, Approche comparative des legislations européennes en matière de procédures collectives, in Revue Banque, 1989, p. 78 ss.

[2] Sul tema vedi Dordi, La Convenzione europea su alcuni aspetti internazionali del fallimento: la consacrazione dell’universalità limitata degli effetti delle procedure concorsuali, in Dir. Comm. Int., 1993, p. 617 ss; Daniele, La Convenzione europea su alcuni aspetti internazionali del fallimento: prime riflessioni, in Riv. Dir. Int. Priv. Proc., 1994, p. 449 ss. ; il testo della Convenzione è pubblicato in Riv. dir. Int. Priv. Proc., 1994, p. 712 ss..

[3] Sul tema Guzzi, La Convenzione Comunitaria sulle procedure d’insolvenza: prime osservazioni, in Dir. Com. Int., n. 4/97, p. 901 ss; Dordi, La Convenzione dell’Unione Europea sulle procedure d’insolvenza, in Riv. Dir. Int. Priv. Proc., 1997, p. 333 ss; il testo della Convenzione è pubblicato in Riv. Dir. Int. Priv. Proc., 1996, p. 661, ss.

[4]  Cfr. art. 48 della
Convenzione relativa
alle procedure d’insolvenza, cit.

[5]Cfr. art. 48 della Convenzione relativa alle procedure d’insolvenza, cit.

[6]Lupone, L’insolvenza transnazionale. Procedure concorsuali nello Stato e beni all’estero, Padova, 1995, p. 97.

[7] Dordi, La Convenzione 
dell’unione Europea, cit., 
p. 339.

[8] La definizione d’insolvenza viene lasciata alla lex fori in quanto lo stesso è definito in modo omogeneo dai diversi ordinamenti.

[9] Dordi, La Conven-zione dell’ Unione Europea, cit., p. 347.

[10] Il termine decisione ha un significato più ampio di sentenza poiché la Convenzione prende in considerazione tutte le autorità legittimate ad aprire nel loro paese una procedura d’insolvenza, non soltanto, quindi, gli organi giudiziari.

[11] Parisi, Spunti in tema di ordine pubblico e convenzione giudiziaria di Bruxelles, in Riv. Dir. Int. Prv. Proc., 1991, p.13 ss.

[12] Cour de Cassation, 17.04.1953, in Revue critique, 1953, p. 412 ss; sul punto vedi Batifol, Traité elementaire de droit international privé, Parigi, 1959, p.421 ss.

[13] Dordi, La Convenzione della Unione Europea, cit., p.358.

[14] L’articolo 34.II della Convenzione di Bruxelles concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale prevede le ipotesi in cui il giudice può rigettare l’istanza di apposizione della formula esecutiva. Il testo rinvia agli articoli 27 e 28 della Convenzione stessa che disciplinano una serie di situazioni in cui la decisione non può essere riconosciuta. Il mancato rinvio alla norma de qua deve, quindi, essere inteso nel senso dell’inapplicabilità nell’ambito di operatività della convenzione sulle procedure d’insolvenza, delle ipotesi di rifiuto di riconoscimento previste dalla Convenzione di Bruxelles del 1968. Tali ipotesi rimangono quindi soltanto quelle espressamente previste dal testo convenzionale in esame.

[15] Dordi, La Convenzione dell’Unione Europea, cit., p.355.

[16] C.G.C.E., sentenza del 22.11.1978, c 33/78 Somafer SA/Saar-Ferngas AG, in Raccolta, p. 2183.

[17] Sul punto vedi Guzzi, La Convenzione comunitaria sulle procedure d’insolvenza: prime osservazioni, in Dir. Com. Int., n. 4/97, p. 914  ss.

[18] Guce C n. 340 del 10.11.1997.