Giurisprudenza di legittimità
note e dibattiti 1999

Corte di Cassazione - Sez. I Civile - sentenza 8 luglio 1998, n. 6668 - Pres. V. Sgroi - Est. Catalano - P.M. Lo Cascio (concl. conf.) - Sicilcassa Spa (Avv. Marzi, Bongiorno, Lomonaco) c. Fall. Soc. Lo Buglio e Castronovo (Avv. Contestabile, Coppola). Conferma App. Palermo 29 novembre 1995.

FALLIMENTO - ACCERTAMENTO DEL PASSIVO - CREDITO PER CAPITALE ED INTERESSI SU RATE DI MUTUO IPOTECARIO - COLLOCAZIONE PRIVILEGIATA DELLA COMPLESSIVA SOMMA - INAMMISSIBILITÀ (Cod. civ., art. 2855; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, disciplina del fallimento, art. 54, 55).

FALLIMENTO - ACCERTAMENTO DEL PASSIVO - CREDITO PER INTERESSI DI MORA SU RATE DI MUTUO IPOTECARIO SCADUTE ANTERIORMENTE AL FALLIMENTO - COLLOCAZIONE PRIVILEGIATA (Cod. civ., art. 2855; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, disciplina del fallimento, art. 54, 55).

Il credito corrispondente al capitale e agli interessi su rate di mutuo ipotecario erogato da un istituto di credito fondiario va ammesso al passivo del fallimento con collocazione privilegiata quanto all’importo pari alle semestralità scadute fino alla risoluzione del contratto o, in mancanza, fino alla dichiarazione di fallimento, nonché al capitale residuo dopo il computo dell’ultima semestralità, mentre gli interessi trovano collocazione privilegiata limitatamente all’importo maturato nelle due annate anteriori e in quella in corso al momento della dichiarazione di fallimento. [1]

Il credito per gli interessi convenzionali di mora sulle rate di un mututo ipotecario erogato da un istituto di credito fondiario va ammesso al passivo del fallimento del mutuatario con collocazione privilegiata, purché gli interessi siano iscritti e la mora si sia verificata prima della dichiarazione di fallimento. [2]

(omissis)
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2855 cod. civ. e 54 e 55 della L.F. ed il vizio di motivazione e premesso che non è contestabile il principio per il quale la prelazione ipotecaria da essa vantata si esercita nei limiti segnati dagli artt. 2788, secondo comma, cod. civ. e dalle altre disposizioni innanzi indicate, lamenta la non corretta interpretazione che di queste è stata fatta dalla corte del merito.
La doglianza involge varie questioni con la prima delle quali l’istituto di credito lamenta, in sostanza, la mancata ammissione in privilegio di tutto il credito vantato nei confronti dei falliti, comprensivo degli interessi convenzionali di mora ( p. 4 del ricorso, in relazione a quanto esposto a p. 2 ), e ribadisce la tesi secondo la quale la rata di mutuo costituisce un unicum inscindibile che produce interessi su tutto l’importo, ivi compresa la quota di interessi, sicché non appare giustificato il ragionamento in base al quale il giudice del merito, da un lato, ha calcolato gli interessi di mora sull’importo complessivo ed unitario, dall’altro lato, ne ha attuato “lo scorporo” all’atto dell’ammissione al passivo della sorta capitale che tali interessi ha prodotto. A sostegno di questa impostazione il ricorrente sostiene che il termine “rata di ammortamento”, riferita ai mutui bancari, indica il complesso unitariamente considerato, della quota del capitale mutuato da rimborsare e degli interessi corrispettivi applicati all’intera operazione creditizia e che, consentendo la legge di capitalizzare, nei rapporti fra banche e clientela la legge, gli interessi corrispettivi da ciò conseguirebbe che è sicuramente lecito iscrivere ipoteca per garantire anche i detti interessi divenuti “capitale” e che, ai fini dell’applicazione della regola di cui all’art 2855, si identificano con il capitale che produce interessi di cui alla detta norma.
Il necessario punto di partenza per l’esame delle questioni che vengono prospettate con il motivo di ricorso è costituito dalla norma civilistica da ultimo indicata la quale nel regolare gli effetti dell’iscrizione ipotecaria dispone, nel secondo comma che qui interessa esaminare, che qualunque sia la specie di ipoteca, l’iscrizione di un capitale che produce interessi fa collocare nello stesso grado gli interessi dovuti, purché ne sia enunciata la misura, ma la collocazione di essi è limitata alle due annate anteriori ed a quella in corso al giorno del pignoramento, ancorché sia stata pattuita l’estensione ad un maggior numero di annualità, e che l’iscrizione del capitale fa pure collocare gli interessi nello stesso grado maturati dopo il compimento dell’annata in corso alla data del pignoramento, però soltanto nella misura legale e fino alla data della vendita. Le annate garantite sono, perciò, tre ed il fondamento della regola viene comunemente ravvisato in ciò che con la limitazione di cui si tratta si e voluto impedire che il creditore prima iscritto, avendo certezza del collocamento degli interessi, li lasci accumulare senza esigerli e renda, in tal modo, vane le aspettative dei creditori di grado poziore i quali misurano la capienza dell’immobile fidando sulla regolare riscossione degli interessi.
Discende da questa premessa che in caso di fallimento del mutuatario gli istituti di credito, in virtù del disposto dell’art. 55, ultimo comma, L.F., che richiama, nella disciplina del diritto di prelazione, il disposto della norma civilistica da ultimo indicata, debbono essere ammessi al passivo del fallimento per un importo pari a quello delle semestralità scadute fino alla risoluzione del contratto, o, in mancanza di esso, fino alla dichiarazione di fallimento, nonché per l’importo del capitale residuo dopo il computo dell’ultima semestralità, e che questo credito, trova illimitata collocazione, mentre per quanto riguarda le quote di interessi, opera il limite delle tre annualità.
Va, perciò disattesa la diversa impostazione dell’istituto ricorrente secondo la quale il credito derivante dal mutuo fondiario deve essere considerato unitariamente, e cioè senza possibilità di distinguere in esso il capitale dagli interessi, dal che conseguirebbe la sua integrale collocazione in privilegio nel caso di fallimento del mutuatario dovendosi al contrario ribadire, secondo 1’ orientamento espresso da questa Corte (Cass. 2 marzo 1988, n. 2196), che la formazione della rata costituisce una modalità dell’adempimento del debitore, finalizzato alla graduale estinzione del mutuo, ma non modifica la realtà per la quale nell’ambito della rata ogni componente è autonoma. Al riguardo è decisivo il rilievo per il quale se fosse vero che essa, una volta scaduta, costituisse capitale per l’intero ammontare, da ciò deriverebbe che l’ipoteca sarebbe iscritta non soltanto per la somma mutuata ma per l’intero ammontare degli interessi di cui al piano di ammortamento, in contrasto con il principio enunciato nel già citato secondo comma dell’art. 2855. Né, d’altra parte, la regola così posta reca pregiudizio alle ragioni del creditore come invece sostiene l’istituto di credito, il quale così argomentando omette di considerare che in virtù del titolo costitutivo dell’ipoteca è possibile prendere, per ogni annualità scaduta dopo le prime tre (ovvero per più di una cumulativamente) un’apposita ed autonoma iscrizione la quale, trovando fondamento sul titolo originario, non chiede un nuovo consenso del debitore e produce effetti dalla data in cui è compiuta.
In altri termini, il sistema desumibile dalla disciplina recata dal codice civile in tema di estensione degli effetti dell’iscrizione ipotecaria relativamente ad un credito derivante da mutuo fondiario può essere così ricostruito.
L’iscrizione originaria inerisce al debito per capitale dovuto in quel momento, nonché agli interessi eventualmente maturati a quella data, purché con la indicazione di una distinta somma globale; ed altresì, agli interessi futuri, per il principio dell’estensione automatica, limitatamente alle ultime tre annualità.
Le iscrizioni successive di cui si è detto innanzi, vanno prese con la semplice indicazione del tasso, con la precisazione che si tratta di interessi che si riferiscono ad un capitale già garantito e con l’indicazione delle annualità già scadute.
Gli effetti di queste iscrizioni si estendono agli interessi già scaduti e da esse garantite nella misura in cui ciò è consentito dalla regola generale in tema di anatocismo fissata nell’art. 1283 cod. civ. per il quale gli interessi scaduti possono produrre interessi soltanto dal giorno della domanda giudiziale, alla quale è equiparabile la domanda di insinuazione al passivo del fallimento, come nella specie, o sulla base di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi; resta fermo che questa iscrizione è produttiva di effetti nei limiti segnati dal 2° comma dell’art. 2855.
Va, perciò disatteso, sulla base di quanto si è esposto, il profilo di censura concernente l’unitarietà della rata, dedotto con il primo motivo del ricorso, mentre, invece, si palesa fondata l’ ulteriore doglianza con esso formulata, con la quale la decisione impugnata viene censurata nella parte in cui è stata esclusa l’ammissione in privilegio degli interessi moratori.
In realtà, la conclusione cui sul punto è pervenuto il giudice del merito si correla alla tesi per la quale la prelazione riguarda soltanto gli interessi corrispettivi e che trae argomento dalla lettera dell’art. 2855 cod. civ., nel senso che la norma, facendo riferimento al “capitale che produce interessi”, non comprenderebbe nella sua sfera di operatività gli interessi moratori, ma riguarderebbe soltanto i primi, sul presupposto che questi sono dovuti in considerazione della naturale fecondità del danaro, laddove i secondi adempiono ad una funzione risarcitoria.
Questa impostazione non può essere condivisa.
Ed anzitutto, l’argomento desunto dalla letteralità della norma è resistito dal dato, anche esso rilevabile dalla formula legislativa, la quale non pone alcuna distinzione fra le diverse categorie di interessi. Si è, poi, fondatamente rilevato che il principio in essa contenuta si applica a qualunque specie di ipoteca, e, quindi, anche a quella giudiziale, che può garantire una condanna al pagamento di una somma di danaro e degli interessi moratori eventualmente dovuti sicché, appare del tutto conseguente ritenere che la formula “capitale produttivo di interessi” debba essere riferita non soltanto ai crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro di cui è menzione nell’art. 1282, ma anche alle somme che siano oggetto di obbligazione ai sensi dell’art.1224 cod. civ., con l’ulteriore corollario che la prelazione ipotecaria compete a tutti gli interessi, purché iscritti e sempre che la mora si sia verificata prima della dichiarazione di fallimento. Entro questi limiti il ricorso va accolto ed il giudice del rinvio dovrà procedere, sulla base di quanto si è esposto, ad un nuovo computo del credito per il quale la ricorrente ha diritto all’ ammissione in privilegio nel passivo dl fallimento, così come è esposto dalla ricorrente alle pagine da 27 a 30 del ricorso. 
(omissis)


Credito fondiario e fallimento: collocazione del credito per capitale ed interessi
di Francesco Macario

Nota a sentenza
[1-2] Sulla prima questione la sentenza aderisce sostanzialmente alla tesi dell’autonomia delle diverse componenti della rata di rimborso del mutuo, richiamandosi espressamente al precedente costituito da Cass. 2 marzo 1988, n. 2196, in Foro it., 1988, I, 2290, con una sintetica ricostruzione sistematica della disciplina in tema di estensione degli effetti dell’iscrizione ipotecaria con riferimento al credito derivante da mutuo fondiario. In tal senso, la sentenza riportata fa eco alla recente Cass. 8 novembre 1997, n. 11033, id., 1998, I, 1935, che affronta, sinteticamente, la questione nella parte finale della motivazione.
Con riferimento, invece, alla seconda massima, la decisione si pone in conflitto con l’appena ricordata Cass. 11033/97, non richiamata dall’estensore poiché - si deve ritenere - al momento della decisione assunta dalla sentenza riportata, la precedente Cass. 11033/97 non era stata ancora depositata. Quest’ultima aveva affermato la collocazione in via chirografaria degli interessi di mora sulle rate di mutuo ipotecario scadute alla data di dichiarazione di fallimento, ancorché l’iscrizione ipotecaria ricomprendesse anche l’ammontare degli interessi moratori. In assenza di precedenti specifici sulla questione - almeno in sede di legittimità - la decisione ricordata si era rifatta ai precedenti in cui si trovava affrontata la generale tematica dei rapporti fra la normativa fallimentare e quella, considerata speciale, in materia di credito fondiario, con particolare riferimento alle vicende degli interessi sulle rate del mutuo. Cfr. Cass. 3 dicembre 1986, n. 7148, Foro it., 1987, I, 39, con nota di richiami; nonché Cass. 2 marzo 1988, n. 2196, cit., e 20 dicembre 1988, n. 6952, id., 1989, I, 3174, con ulteriori riferimenti nelle note redazionali; fra le più recenti pronunce in materia di collocazione degli interessi (nel caso di specie, su crediti assistiti da privilegio generale) si può richiamare Cass. 8 maggio 1995, n. 5020, id., 1995, I, 2856; a parte il riferimento a Corte cost. 350/93, id., 1993, I, 2754.
Nella giurisprudenza di merito, in senso conforme alla sentenza riportata, fra le decisioni più recenti, cfr. Trib. Pistoia, 7 settembre 1995, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 348, secondo cui agli interessi convenzionali dei crediti garantiti da ipoteca dovuti per le due annualità anteriori e per quella in corso alla data del pignoramento spetta la collocazione privilegiata nello stesso grado del capitale; la stessa collocazione va riconosciuta agli interessi moratori, calcolati sulla sola quota capitale (e non anche sugli interessi corrispettivi) stante il divieto di anatocismo. La prima articolata trattazione della questione in giurisprudenza si rinviene, invece, in Trib. Roma, 12 luglio 1989, id., 1990, I, 2296 (con ampia nota di richiami cui si rinvia), che affermava la collocazione in privilegio anche degli interessi moratori, purché la mora fosse maturata al momento della dichiarazione di fallimento. Si può ricordare, inoltre, App. Catania, 2 giugno 1983, in Banca, borsa ecc., 1984, II, 50, secondo cui, ai sensi dell’art. 38, 2° comma, t. u. credito fondiario, debbono essere ammessi al passivo, con prelazione, gli interessi moratori spettanti all’istituto di credito fondiario, calcolati nella misura stabilita dalla normativa speciale, che decorrono, sul valore attuale della provvigione e sulle rate di mutuo non ancora scadute, dalla data della dichiarazione di fallimento del mutuatario fino al termine dell’anno in corso; debbono essere altresì ammessi con prelazione, nella stessa misura, fino allo stesso termine, ma a partire dalle relative scadenze, gli interessi moratori sulle rate di mutuo già scadute, e non pagate, al momento della dichiarazione di fallimento. Ed ancora Trib. Catania, 14 maggio 1981, sempre in Banca, borsa ecc., 1981, II, 332, che ha affermato che l’istituto di credito fondiario ha diritto agli interessi moratori previsti convenzionalmente sul credito garantito ipotecariamente e tali interessi devono essere ammessi al passivo in via privilegiata, ma poiché la loro collocazione non è espressamente disciplinata dal t. u. n. 636 del 1905, l’ammissione, per la parte eccedente il tasso legale, va fatta in via chirografaria. Si può poi richiamare Trib. Vicenza, 2 marzo 1988, id., Rep. 1988, voce cit., n. 321, secondo cui la prelazione agli interessi secondo il regime dell’art. 54 L.F. non è derogata dalle disposizioni sul credito fondiario, né tale regime è stato modificato dal D.P.R. n. 7 del 1976; anche il tasso degli interessi è quello applicabile secondo la L.F. e non secondo quella speciale, a meno che non si tratti di interessi moratori, cioè relativi alle rate scadute anteriormente alla dichiarazione di fallimento.
In senso contrario alla sentenza riportata, cfr. Trib. Palermo, 20 agosto 1991, in Dir. fallim., 1992, II, 309, con nota di RAGUSA MAGGIORE; App. Roma, 27 novembre 1990, in Giust. civ., 1991, I, 200, ove si afferma che la prelazione degli interessi dei mutui fondiari è limitata agli interessi convenzionali maturati nei due anni anteriori alla costituzione in mora e nell’anno in corso alla data della dichiarazione di fallimento e agli interessi legali successivamente maturati fino alla vendita, mentre nessuna prelazione assiste gli ulteriori accessori (interessi di mora, diritti di commissione, provvigioni speciali dovute agli istituti). 
In dottrina, per una panoramica sull’intera vicenda degli interessi sui crediti privilegiati, cfr. FABIANI, Quando una svista crea giurisprudenza: la sorte degli interessi postfallimentari sui crediti privilegiati, Foro it., 1994, I, 466. Con particolare riferimento alla questione degli interessi di mora, DI AMATO, Credito fondiario - Fallimento ed interessi moratori, in Dir. fallim., 1992, I, 622; TARDIVO, Fallimento e interessi di mora per credito fondiario, in Banca, borsa ecc., 1989, II, 91. 
In generale, sull’inesistenza del diritto dei creditori concorsuali a percepire interessi moratori, poiché questi presuppongono un ritardo colpevole nell’adempimento, anche in riferimento a credito ammesso in prededuzione, per il tempo intercorso tra il riconoscimento del detto credito in sentenza esecutiva ed il suo pagamento ad opera del curatore fallimentare, atteso che nella procedura fallimentare non è concepibile la mora debendi in relazione a qualsiasi tipo di credito, cfr. Cass., 27 marzo 1993, n. 3728, id., Rep. 1993, voce Fallimento, n. 515; Cass., 20 novembre 1987, n. 8556, id., 1988, I, 1169. Secondo la Corte gli interessi ex art. 55 L.F. (nella specie, contributi e sanzioni civili per omesso versamento nel periodo di amministrazione controllata), devono intendersi assimilati ad interessi corrispettivi e compensativi e non moratori. 
In sede di merito, cfr. Trib. Firenze, 10 gennaio 1993, id., Rep. 1994, voce cit., n. 349, che ribadisce l’applicabilità dell’eccezione alla regola della sospensione del corso degli interessi a partire dalla dichiarazione di fallimento, posta dall’art. 55 L.F. per i crediti ipotecari, pignoratizi e privilegiati, limitatamente agli interessi assimilabili a quelli corrispettivi o compensativi, con esclusione perciò degli interessi moratori.
In ordine agli interessi previsti dal D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7 sulle rate di mutuo con scadenza successiva alla dichiarazione di fallimento, Trib. Palermo, 21 agosto 1991, id., Rep. 1992, voce cit., n. 527, ha affermato che questi non possono essere ammessi al passivo fallimentare in quanto hanno natura di interessi moratori.
Sulla disciplina degli interessi di mora di cui al D.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43 art. 61, dovuti al servizio riscossione tributi, Trib. Firenze, 9 novembre 1995, id., Rep. 1996, voce Riscossione delle imposte, n. 196, ha affermato che, nel silenzio della legge, non possono decorrere in pendenza della procedura fallimentare, stante il principio generale dell’inconfigurabilità della mora debendi a carico della curatela per obbligazioni sorte ante fallimento.
Sugli interessi moratori dovuti per i crediti tributari al tasso stabilito per tali crediti sino alla dichiarazione di fallimento, ma non ammissibili nella procedura concorsuale con prelazione, essendo assistiti da privilegio generale, cfr. Trib. Roma, 29 settembre 1993, Foro it., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 519
Sulla disciplina dei crediti assistiti da privilegio derivanti dal mancato pagamento dei contributi dell’assicurazione obbligatoria, per i quali decorrono per il tempo successivo al fallimento interessi chirografari in misura legale, fino al momento dell’avvenuta liquidazione del patrimonio mobiliare del fallito (da intendersi assimilati ad interessi corrispettivi e compensativi e non interessi moratori, cfr. Cass., 13 maggio 1994, n. 4675, id., Rep. 1994, voce cit., n. 527).
Secondo Trib. Milano, 10 aprile 1989, id., Rep. 1990, voce cit., n. 321, non è possibile riconoscere carattere privilegiato agli interessi, alla soprattassa ed alla indennità di mora maturati dopo il fallimento, non potendo desumersi tale carattere dalla natura privilegiata del credito tributario principale.
Sull’irrilevanza, ai fini dell’esclusione del decorso degli interessi nella procedura di amministrazione controllata, della natura moratoria dei medesimi (argomentando l’esclusione dal fatto che nessuna responsabilità per inadempimento può essere imputata al debitore nel corso della procedura), Trib. Milano, 29 aprile 1993, id., Rep. 1994, voce Fallimento, n. 346 (la sentenza ritiene che, non operando la normativa in materia di procedure concorsuali distinzioni fra interessi di mora ed altri tipi di interessi, si possa affermare che il corso degli interessi nell’ambito di tutte le procedure non è correlato alla natura degli stessi, ma esclusivamente a quella del titolo da cui promanano ed al credito di cui sono accessori). E così per App. Brescia, 8 gennaio 1988, id., Rep. 1990, voce cit., n. 326, l’art.55, L.F., distingue non fra categorie di interessi, corrispettivi e moratori, ma fra categorie di crediti, chirografari o assistiti da cause di prelazione, per i quali ultimi vige la regola della non sospensione a seguito della dichiarazione di fallimento, agli effetti del concorso, fino alla chiusura della procedura.