Giurisprudenza di legittimità
note e dibattiti 1999

Corte di cassazione - Sezioni Unite Civili - sentenza 10 giugno 1998, n. 5761- Pres. V. Sgroi - Est. A. Finocchiaro - P.M. Morozzo Della Rocca (concl. diff.); Vitalbi (Avv. Amenta, Pacillo) c. Fall. Soc. CIC (Avv. Alberi, Grillo). Dichiara inammissibile ricorso avverso Trib. Bologna 30 settembre 1994.

FALLIMENTO - DECRETI SU RECLAMO EX ART. 26 L.F. - IMPUGNAZIONE - TERMINE - DECORRENZA (Cost., art. 111; R.D. 16 marzo 1942, n. 267, disciplina del fallimento, art. 26).

E’ inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto, avente contenuto decisorio e definitivo, del tribunale fallimentare, emesso su reclamo contro decreto del giudice delegato, proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dello stesso decreto ad istanza di parte, quando tale notificazione è successiva al momento in cui il ricorrente ha avuto piena conoscenza del decreto stesso. [1]

(omissis)
Motivi della decisione
Preliminare all’esame del ricorso si presenta l’indagine sull’ammissibilità dello stesso che si risolve nella risoluzione della questione relativa alla individuazione del dies a quo del termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost. contro il decreto pronunciato in camera di consiglio dal tribunale fallimentare a norma dell’art. 26 L.F. a definizione del reclamo proposto contro un decreto del giudice delegato avente natura decisoria e definitiva.
In punto di fatto, come risulta dalla precedente esposizione, è da tenere presente che, nella specie, il decreto del tribunale fallimentare, emesso su reclamo di provvedimento del giudice delegato, risulta depositato e comunicato per intero dalla cancelleria il 30 settembre 1994 ed è stato notificato a cura della difesa della curatela il 5 ottobre 1994, mentre il ricorso per cassazione è stato notificato il 30 novembre 1994. La  giurisprudenza di questa Corte è rimasta orientata, per molto tempo, nel senso della decorrenza del termine per il ricorso per cassazione dalla data stessa del deposito in cancelleria del decreto collegiale sulla base del rilievo della mancata previsione della notificazione di tale decreto, sostituita, quale mezzo di legale conoscenza, dal deposito in cancelleria e dalla conseguente inserzione nel fascicolo fallimentare (ex plurimis: Cass.  18  settembre 1993 n. 9595; Cass. 23 febbraio 1995 n. 2066; Cass. 2 maggio 1997 n. 3796).
Tale indirizzo è stato recentemente contestato da Cass. 28 novembre 1997 n. 12047, la quale ha concluso nel senso che il termine per il ricorso per cassazione avverso il decreto emesso in sede di reclamo ex art. 26 L.F. decorre dalla comunicazione di tale provvedimento, secondo le vigenti disposizioni in materia di procedimenti in camera di consiglio.
A sostegno del mutamento di indirizzo la richiamata decisione ha invocato:
 la più recente giurisprudenza per la quale il termine per il reclamo innanzi al tribunale avverso i decreti del g.d. si è fatto decorrere dalla data della comunicazione del provvedimento;
 l’estensione in via interpretativa, e per superare ulteriori sospetti di illegittimità costituzionale dell’intero sistema delle impugnazioni nell’ambito delle procedure concorsuali, dei principi costituzionali operanti per il procedimento di reclamo, con particolare riferimento a Corte cost. 156/1986, che, sia pure con riferimento ai procedimenti di amministrazione controllata, ha esteso la declaratoria di illegittimità costituzionali agli artt. 739 e 741 cod. proc. civ., nella parte in cui, disciplinando il reclamo avverso i decreti del giudice delegato ex art. 26 e 23, comma 1, in relazione all’art. 188 L.F., fanno decorrere il termine per la relativa proposizione dal deposito del decreto in cancelleria, anziché dalla comunicazione di esso nel rispetto delle vigenti disposizioni procedurali;
 l’orientamento giurisprudenziale relativo in genere ai ricorsi ex art. 111 cost. avverso provvedimenti camerali  (Cass. 11 marzo 1996 n.1952; Cass. 11471/1996).
E quest’ultimo indirizzo è stato seguito anche da Cass. 28 gennaio 1998 n. 823, che ha ritenuto ammissibile il ricorso proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione del decreto ad istanza di parte, in una fattispecie in cui il decreto non era stato comunicato, ritenendo inidoneo a fare decorrere il termine breve il mero deposito in cancelleria del provvedimento.
Ciò premesso, osserva il Collegio che la questione, così come prospettata dall’ordinanza della I sezione 14 novembre 1997 n. 1017, non sorge nella specie in cui vi è coincidenza della data di pubblicazione dell’ordinanza emessa su reclamo con quella di comunicazione dell’ordinanza stessa - non contestandosi dallo stesso ricorrente di avere avuto comunicazione del decreto del tribunale, anche se ne contesta la ritualità per essere stata effettuata non nel domicilio eletto ed a persona diversa dal procuratore costituito,- con la conseguenza che - qualsiasi soluzione si adotti - il ricorso sarebbe ugualmente inammissibile per essere, in ogni caso, tardivo il ricorso per cassazione proposto, in riferimento sia alla data del deposito del decreto che a quella della sua comunicazione, e ciò soprattutto ove si tenga presente che sebbene  le comunicazioni di cancelleria debbono avvenire, di norma  in una della  forme previste dall’art. 136 cod. proc. civ., esse possono essere validamente eseguite anche in altre forme equipollenti, sempre che risulti la certezza per effetto dell’attività della cancelleria dell’effettiva presa di conoscenza, da parte del destinatario, delle notizie da comunicare e della data in cui la comunicazione è avvenuta (Cass. 27 maggio 1994 n. 5230; Cass.12 settembre 1992 n. 10422; Cass. 21 maggio l982 n. 3130; Cass. 19 marzo 1979 n. 1606). 
Né al fine di superare la rilevata inammissibilità vale la difesa del ricorrente che invoca la tempestività del ricorso per essere stato lo stesso proposto nel termine di sessanta giorni dal momento in cui il decreto del tribunale è stato notificato, ad esso ricorrente, ad istanza della curatela. Queste S.U., nel comporre, nel corso dell’odierna udienza, il contrasto di giurisprudenza sul dies a quo per la proposizione del ricorso per cassazione avverso le ordinanze aventi contenuto decisorio e definitivo emesse in materia diversa da quella disciplinata dalla legge fallimentare hanno affermato il principio secondo cui avverso tali ordinanze il termine breve per il ricorso per cassazione decorre solo a seguito della loro notificazione ad istanza di parte - in difetto di ragioni connesse alla particolarità del procedimento o alla qualità degli interessi sottesi, che giustifichino la deroga all’enunciato principio - mentre è irrilevante, al predetto fine, che le stesse siano pronunciate  fuori udienza o, se pronunciate fuori udienza, siano state comunicate dal cancelliere, con la conseguenza che, in tali ipotesi, è applicabile il termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ. (cfr. sentenza, in corso di pubblicazione, emessa sui ricorsi riuniti 1708/95 e 3458/95 r.g.).
Ritiene il Collegio che la particolarità della disciplina della procedura concorsuale non consenta l’applicabilità di tale principio.
Per giungere al principio enunciato il collegio è partito da due rilievi e, precisamente, che il nostro ordinamento:
 disciplina compiutamente l’impugnazione delle sentenze, prevedendo come sistema normale - ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione - la notificazione delle stesse ad istanza di parte (art. 326 cod. proc. civ.), mentre, solo in via di eccezione, non suscettibile di interpretazione analogica,  ammette che tale termine breve, per scelte non irragionevoli del legislatore, decorra dalla comunicazione della sentenza effettuata  dal cancelliere  (cfr., in proposito, art. 47, comma 2, cod. proc. civ., per la proposizione del ricorso per regolamento di competenza; art.17, ultimo, comma, l. 4 maggio 1983 n. 184, in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di appello sulla dichiarazione di stato di adottabilità, così come interpretato dalla giurisprudenza (Cass. S.U. 25 novembre 1992 n. 12547; Cass. 8 aprile 1993 n. 4293); nonchè art. 202, ultimo comma, r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenza del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, ove è previsto che il termine per l’impugnazione decorre dalla notificazione del dispositivo della sentenza a cura del cancelliere);
 esclude, con il rimettere alla disponibilità delle parti il potere acceleratorio del termine per l’impugnazione delle sentenze, che l’ufficio - salve deroghe espressamente previste - abbia un siffatto potere, tanto vero che la giurisprudenza è costante nel ritenere che la conoscenza della sentenza acquisita aliunde, al di fuori della notificazione ad istanza di parte, è inidonea a fare decorrere il termine breve per l’impugnazione (ex plurimis: Cass. 17 giugno 1997 n.5241; Cass. 10 novembre 1983 n. 6677);
da ciò traendo la conclusione che anche per le ordinanze  con contenuto decisorio e definitivo, in difetto di ragioni che impongano di dare rilievo acceleratorio alla comunicazione a cura della cancelleria, si deve dare rilievo, per ragioni di coerenza sistematica, alla notificazione ad istanza di parte.
Tali ragioni di deroga sussistono, invece, per la materia regolata dalla legge fallimentare, che si pone, talvolta, come eccentrica rispetto al sistema codicistico processuale e consente ricostruzioni sistematiche che, pur ponendosi come eccezionali rispetto a quest’ultimo, si giustificano, per la natura degli interessi tutelati: è sufficiente richiamare in proposito la giurisprudenza che, in contrasto con il principio di cui all’art. 45 cod. proc. civ., ha ritenuto ammissibile il regolamento di competenza d’ufficio anche in difetto di riassunzione del processo in relazione al quale altro giudice si era dichiarato incompetente (Cass. S.U 1 agosto 1994 n. 7149); nonché l’altra sull’ammissibilità, sempre in materia fallimentare, del regolamento di competenza d’ufficio in ipotesi di conflitto positivo reale fra due tribunali con riconoscimento del potere della Corte di cassazione nel regolare il conflitto, di cassare senza rinvio la sentenza di fallimento resa dal tribunale incompetente, ancorché passata in giudicato (Cass. 9 aprile 1988 n. 2808; Cass. 30 gennaio 1989 n. 550).
Non bisogna  poi dimenticare che, in materia, la Corte costituzionale ha, prima, dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 26 L.F. nella parte in cui fa decorrere il termine di tre giorni per il reclamo al tribunale dalla data del decreto del giudice delegato anziché dalla data della comunicazione ritualmente eseguita (Corte cost. 303/1985) e, poi, con successivi interventi, ha dichiarato analoga incostituzionalità, con riferimento ai reclami contro i decreti del giudice delegato emanati nel corso di procedure di amministrazione controllata e relativi a decorrenza del termine dalla data del decreto invece che da quella della sua comunicazione (Corte cost. 55/1986 e 156/1986). 
Da quanto precede si può quindi trarre la conclusione - avvalorata dagli  interventi demolitori  del giudice delle leggi - che il sistema delineato dalla legge fallimentare è coerente con i principi costituzionali,  qualora i termini per i reclami avverso i provvedimenti decisori degli organi della procedura siano fatti decorrere dalla comunicazione dei provvedimenti stessi a cura della cancelleria.
E’ bensi vero che le anzidette pronunce hanno avuto ad oggetto la decorrenza del termine per il reclamo al tribunale fallimentare, senza in alcun modo incidere sul problema della decorrenza del termine per il ricorso per cassazione avverso il decreto emesso su reclamo, con la conseguenza della apparente legittimità di un eventuale trapianto, per quanto riguarda quest’ultimo, del principio adottato da queste S.U. in tema di dies a quo per l’impugnazione per cassazione delle ordinanze di contenuto decisorio.
Ritiene però il Collegio che all’estensibilità alla materia fallimentare di questi principi si oppone l’espresso riferimento da parte della Corte costituzionale alla comunicazione del decreto del giudice delegato per la decorrenza del termine per il reclamo, la cui ratio appare identificabile - rispetto ad un alternativo riferimento alla notificazione ad istanza di parte - nelle esigenze di una celere definizione delle procedure fallimentari,  cui si fa cenno nella sentenza n.  303/1985 e che sono presenti anche per quanto riguarda il ricorso per cassazione,  senza che sia ravvisabile alcuna incoerenza o incostituzionalità per la diversità di soluzione adottata, giustificata dalla particolarità della materia, rispetto al ricorso per cassazione avverso provvedimenti decisori e definitivi non ricompresi nella disciplina concorsuale.
Né bisogna dimenticare che queste S.U., nel comporre altro contrasto di giurisprudenza, in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello in tema di dichiarazione di adottabilità e, pure nel silenzio del  dato normativo costituito dall’art. 17, ultimo comma, legge 4 maggio 1983 n. 184, hanno ritenuto che il termine breve per tale ricorso decorresse dalla notificazione d’ufficio della sentenza, pure se espressamente dettata per la pronuncia di primo grado, dovendosi la disposizione ritenersi riferibile anche alla pronuncia di appello, in ragione, fra l’altro, delle peculiari esigenze di celerità alle quali viene  conformato l’ intero giudizio (Cass. S.U. 25 novembre 1992 n. 12547, cit.).
Conclusivamente si deve ritenere che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso decreto, avente contenuto decisorio e definitivo, del tribunale fallimentare, emesso su reclamo contro decreto del giudice delegato proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione dello stesso decreto ad istanza di parte quando tale notificazione è successiva al momento in cui il ricorrente ha avuto piena conoscenza del decreto stesso. 
(omissis)


Il sistema generale delle impugnazioni e la specialità della disciplina concorsuale nella decorrenza del termine per il ricorso avverso i provvedimenti collegiali emessi in sede di reclamo ex art. 26 L.F.
di Francesco Macario

Nota a sentenza
[1] Le sezioni unite della Cassazione intervengono a dirimere il conflitto di giuriprudenza relativo alla decorrenza del termine per l’impugnazione avverso il provvedimento del collegio adottato sul reclamo contro le decisioni del giudice delegato ai sensi dell’art. 26 L.F.. Se il merito della vicenda dalla quale la controversia ha avuto origine rimane, dunque, definitivamente superato dalla pronuncia di inammissibilità del ricorso (che si trova a fare il punto, in tal modo, su una delle più delicate questioni processuali attinenti alla materia fallimentare), può essere interessante ricordare che, nel caso di specie, avverso il decreto del tribunale, pubblicato e comunicato in data 30 settembre 1994, mediante consegna di copia “uso notifica” alla collaboratrice del difensore del ricorrente e successivamente notificato dalla difesa del fallimento in data 5 ottobre 1994 - così dalla narrativa dello svolgimento del processo che abbiamo ritenuto superfluo pubblicare -, quest’ultimo aveva notificato il ricorso in data 30 novembre 1994 (ovvero entro i sessanta giorni dalla notifica ma un giorno dopo il decorso dello stesso termine dalla comunicazione “uso notifica”). L’iter argomentativo della decisione si presenta lineare. La sentenza dà atto, innanzitutto, dell’orientamento della Corte di legittimità nel senso della decorrenza del termine del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto emesso in sede di reclamo dalla data del deposito in cancelleria dello stesso decreto collegiale, in considerazione della mancata previsione della notificazione, che avrebbe dovuto ritenersi sostituita dal deposito del decreto in cancelleria, con la conseguente inserzione nel fascicolo fallimentare. Riferendosi al “precedente” e perdurante indirizzo, la decisione richiama, perciò, Cass. 18 settembre 1993, n. 9595, in Foro it., Rep. 1993, voce Fallimento, n. 216, cui può aggiungersi Cass. 19 ottobre 1993, n. 10354, in Fallimento, 1994, 280 e in Dir. fallim., 1994, II, 187; 23 febbraio 1995, n. 2066, in Fallimento, 1995, 1029 (ove è riportata anche Cass. 3 marzo 1995, n. 2455); ma anche la recente 2 maggio 1997, n. 3796, id., 1997, 1184, come la pecedente in materia di liquidazione dell’attivo fallimentare ovvero di autorizzazione alla vendita, ai sensi dell’art. 104, 2° comma, L.F. (nella specie, si stabiliva che il termine non è soggetto alla sospensione feriale, a norma dell’art. 3, l. 7 ottobre 1969 n. 742, in relazione all’art. 92 dell’ordinamento giudiziario, in quanto il reclamo suddetto ha, nella procedura concorsuale, funzione sostitutiva delle opposizioni previste dagli art. 615 e 617 cod. proc. civ. per il procedimento esecutivo individuale). Risalendo un po’ nel tempo, si ricordano nello stesso senso: Cass. 16 luglio 1992, n. 8665, in Arch. civ., 1993, 43, in Fallimento, 1993, 139 e in Giur. it., 1993, I, 1, 1752; 24 maggio 1984, n. 3187, in Fallimento, 1984, 1375 e in Dir. fallim., 1985, II, 705; 15 novembre 1984, n. 5775, in Dir. fallim., 1985, II, 32.
La Corte segnala, quindi, che l’indirizzo appena indicato è stato contestato da Cass. 28 novembre 1997, n. 12047, id., Rep. 1997, voce cit., n. 348, la quale ha affermato la decorrenza del termine dalla comunicazione del provvedimento, in linea con le disposizioni vigenti in tema di procedimenti in camera di consiglio, e non trascura di far menzione dell’ancora più recente Cass. 28 gennaio 1998, n. 823, in Foro it., Mass., col. 89,  che ha ritenuto ammissibile il ricorso proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione del decreto ad istanza di parte, in quanto il decreto non era stato comunicato e la Corte ha ribadito l’irrilevanza, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, del mero deposito in cancelleria. A ben vedere, tuttavia, la Cassazione aveva già posto le basi per giungere alla prospettazione delle due decisioni appena richiamate con Cass. 12 aprile 1994, n. 3405, in Fallimento, 1994, 1043, in materia di termine (di sessanta giorni) per impugnare per cassazione il decreto del tribunale che liquida il compenso al curatore del fallimento (ex art. 39, L.F.) decorrente, non già dalla pubblicazione del decreto, ma dalla comunicazione che ne è fatta alla parte, ovvero dalla incontestabile conoscenza da questa comunque acquisita del provvedimento; nonché con Cass. 10 marzo 1994, n. 2337, in Fallimento, 1994, 997, che, prendendo le mosse dalla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 26 L.F. (ad opera di Corte Cost. 23 marzo 1981, n. 42, in Foro it., 1981, I, 1228) ricordava come il giudice delle leggi non avesse affatto espunto dall’ordinamento giuridico delle procedure concorsuali l’istituto del reclamo endofallimentare contro i provvedimenti decisori del giudice delegato, imponendo soltanto l’adattamento e l’integrazione della relativa disciplina per conformarla ai precetti costituzionali con i quali contrastava, nel senso che devono trovare applicazione le regole generali del procedimento camerale dettate dal codice di rito (art. 739-742 bis  cod. proc. civ.) concernenti il termine di dieci giorni per la proposizione dell’impugnazione, il dies a quo di decorrenza del termine stesso dalla data di comunicazione o notificazione del provvedimento, la garanzia del contraddittorio e l’obbligo della motivazione della decisione; e quest’ultima argomentazione è ribadita, successivamente, da Cass. 22 febbraio 1996, n. 1401, in Fallimento, 1996, 655 e in Dir. fallim., 1996, II, 630.
Poiché i due orientamenti appena esposti non avrebbero potuto offrire alcun appiglio utile al ricorrente - si è detto che, nel caso di specie, il ricorso sarebbe risultato comunque tardivo in quanto proposto dopo che erano decorsi i sessanta giorni sia dal deposito che dalla comunicazione (avvenuta lo stesso giorno del deposito, benché non nelle forme previste dall’art. 136 cod. proc. civ.) del provvedimento collegiale -, l’unica ancora di salvezza, per così dire, sarebbe consistita nella decorrenza del termine (i sessanta giorni) dalla notificazione avvenuta ad istanza della curatela. Sul punto, tuttavia, la Corte ha modo di prendere le distanze dalla decisione (emessa sempre a sezioni unite ed a firma del medesimo estensore), pubblicata appena due giorni prima, in data 8 giugno 1998, n. 5615 (in Foro it., 1998, I, 2837), con la quale si è stabilito che il termine breve per il ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 Cost. avverso ordinanze aventi contenuto decisorio e definitivo decorre solo a seguito della loro notificazione ad istanza di parte, restando irrilevante, a tal fine, la pronuncia in udienza o, se pronunciate fuori udienza, la comunicazione del cancelliere, con la conseguenza che, in difetto di notificazione, è applicabile il termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ.. 
La ratio decidendi della pronuncia riportata si coglie, così, nella rilevanza attribuita dalla Cassazione alla particolarità della disciplina della procedura concorsuale, che non consente l’applicabilità della regola giurisprudenziale appena esposta e, più in generale, l’estensione del principio processuale, pur ribadito dalla Corte, secondo cui “in difetto di ragioni che impongano di dare rilievo acceleratorio alla comunicazione a cura della cancelleria, si deve dare rilievo, per ragioni di coerenza sistematica, alla notificazione ad istanza di parte” (così testualmente la sentenza riportata). In tal senso, si afferma che la materia fallimentare si pone, talvolta, come eccentrica rispetto al sistema codicistico processuale e consente ricostruzioni sistematiche che, pur ponendosi come eccezionali rispetto a quest’ultimo, si giustificano, per la natura degli interessi tutelati (sono sempre espressioni delle sezioni unite). 
Nel tentativo della Corte di dare sistematicità alla soluzione della questione, particolarmente significativo appare il richiamo a Corte cost. 22 novembre 1985, n. 303, in Foro it., 1985, I, 3066, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 26 L.F. nella parte in cui fa decorrere il termine di tre giorni per il reclamo al tribunale dalla data della comunicazione ritualmente eseguita; senza dimenticare le immediatamente successive pronunce di Corte cost. 24 marzo 1986, n. 55, id., 1986, I, 1169, e 27 giugno 1986, n. 156, ibid., 2099, cui andrebbero aggiunte le sentenze della Corte di legittimità in data 22 febbraio 1996, n. 1401, id., Rep. 1996, voce Fallimento, n. 313, e 14 aprile 1994, n. 3509, id., 1994, I, 3057, con nota di richiami cui si rinvia per i precedenti. 
Il riferimento ai menzionati interventi “demolitori” - questa la definizione della sentenza - dei giudici della Consulta consente al Supremo Collegio di valutare il sistema delineato dalla legge fallimentare coerente con i principi costituzionali, ove la decorrenza del termine per il reclamo avverso i provvedimenti decisori degli organi della procedura dalla comunicazione dei provvedimenti a cura della cancelleria venga estesa al caso del ricorso per cassazione avverso il decreto emesso sul reclamo (in forza di un ragionamento che potrebbe definirsi lato sensu analogico). In altri termini, la Corte ritiene che la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei provvedimenti decisori adottati in materia fallimentare sia segnato da una sua logica interna, diversa da quella sottesa al sistema generale delle impugnazioni - da cui il deciso distacco rispetto alla coeva Cass. 5615/1998, cit. - rinvenibile nelle esigenze di una celere definizione delle procedure fallimentari (così la sentenza riportata). 
L’affermazione del carattere speciale della disciplina processuale concorsuale non costituisce, del resto, né una novità, né una caratteristica della questione in esame - relativa al ricorso ex art. 111 Cost. avverso i provvedimenti sul reclamo -, se si considera la recente giurisprudenza delle stesse sezioni unite in materia di decorrenza del termine per proporre opposizione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento (seguita alle decisioni della Corte costituzionale, rispettivamente, 27 novembre 1980, n. 151 in Foro it., 1981, I, 2 e 16 luglio 1987, n. 273, id., 1988, I, 30, relativamente all’incostituzionalità dell’art. 18 L.F.) espressa da Cass. 3 giugno 1996, n. 5104, id., 1996, I, 2361, con ampia nota di richiami ed osservazioni di FABIANI, ove il termine breve vien fatto decorrere dalla comunicazione dell’estratto della sentenza ad opera della cancelleria. 
Come notazione conclusiva può dirsi che la cristallina linearità della motivazione non riesce, tuttavia, a dissolvere completamente il dubbio su quale sia il più corretto “sistema” di riferimento, quello speciale fallimentare o quello generale delle impugnazioni civili. Ciò soprattutto nel momento in cui si pone la decisione riportata a confronto proprio con la coeva Cass. 5615/98, cit., nonché con l’orientamento della stessa Corte di legittimità (espresso di recente da Cass. 4 novembre 1997, n. 10782, in Foro it., Rep. 1997, voce Fallimento, n. 611 e 23 aprile 1996, n. 3844, id., 1996, I, 3146) che fa decorrere i termini per la proposizione dell’appello e del ricorso per cassazione avverso la sentenza che decide le cause di opposizione allo stato passivo dalla notificazione della sentenza, facendo riferimento al carattere di lex generalis delle norme del cod. proc. civ. rispetto a quelle che disciplinano il procedimento di opposizione allo stato passivo (segnatamente, l’art. 99 L.F.) e lasciando, in tal modo, aperta la porta per un’evoluzione - giurisprudenziale o legislativa - verso un sistema unitario della disciplina delle impugnazioni.