Poteri del giudice delegato e mezzi di prova nella verificazione dello stato passivo

l’autore prosegue l’esame delle problematiche della verifica del passivo iniziato nel numero 4/97.

di Emilio Norelli
2.5. Il giudice delegato, nella verifica del passivo, dispone di ampi poteri di ufficio, poteri, cioè, che egli può esercitare anche in mancanza di una iniziativa della parte interessata.
Questi poteri ufficiosi riguardano sia l’ambito della decisione sia l’attività istruttoria.
Quanto al potere di decisione, abbiamo già detto che il giudice delegato non può provvedere ad ammettere un credito al passivo, se non vi è una domanda di ammissione da parte dell’interessato; e come non può ammettere, così non può escludere un credito dallo stato passivo in mancanza di una domanda, ossia di ufficio: vale il principio della domanda, sancito nell’art. 99 cod. proc. civ..
Se una domanda è stata presentata, il giudice delegato deve provvedere su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa: vale, cioè, anche nel procedimento di verifica il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, stabilito dall’art. 112 cod. proc. civ..
Questo vuol dire, da un lato, che, se, per es., è chiesta con un’ unica domanda l’ammissione di più crediti ovvero di un credito e di vari accessori (interessi, rivalutazione, spese), il giudice delegato deve provvedere su ciascuno di questi crediti e su ciascuno degli accessori, ammettendoli o escludendoli; e vuol dire, dall’altro lato, che, se, per es., il creditore chiede l’ammissione per 100, il giudice delegato non può ammetterlo per 200, anche se egli, in base ai documenti prodotti, è convinto che il creditore abbia diritto a 200, oppure che, se, per es., il creditore chiede l’ammissione in via chirografaria, il g.d. non può ammetterlo in via privilegiata, anche se dai documenti prodotti risulta l’esistenza di un privilegio o di un’altra causa legittima di prelazione.
Fin qui, dunque, il giudice delegato non ha alcun potere d’ufficio, perché è vincolato alla domanda della parte interessata, così come nel processo civile ordinario.
Il giudice delegato, però, può pronunciare d’ufficio su eccezioni che, nel processo civile ordinario, possono essere proposte soltanto dalle parti. Si ha qui una deroga al principio sancito nella 2ª parte dell’art. 112 cod. proc. civ..
Queste eccezioni consistono in fatti estintivi, modificativi od impeditivi del diritto, che si vuol far valere nel fallimento; per es.: prescrizione, compensazione (con un controcredito del fallito verso il creditore che ha presentato la domanda di ammissione), annullabilità del contratto da cui deriva il credito, eccezione di inadempimento, vizi (redibitori) o mancanza di qualità della cosa venduta, ecc.. Di particolare importanza è la possibilità che sia rilevata di ufficio la revocabilità di un atto o di una garanzia ex art. 67 L.F.. Così, per es., il g.d. può rilevare d’ufficio la revocabilità di un’ipoteca giudiziale iscritta nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (art. 67, 1° comma, n. 4, L.F.). In tutti questi casi non si ha esercizio di un’azione in via ufficiosa, ma si rileva di ufficio un’eccezione, col solo effetto di paralizzare la pretesa dell’istante; in altri termini, il giudice delegato non emette un provvedimento con cui, per es., pronuncia l’annullamento o la risoluzione del contratto o revoca l’ipoteca, ma semplicemente, rilevata l’annullabilità o la risolubilità del contratto o la revocabilità dell’ipoteca, esclude il credito dallo stato passivo ovvero ammette il credito in via chirografaria anziché in via privilegiata.
Il più delle volte è uno dei creditori o il curatore o anche il fallito, che segnala al giudice delegato un fatto estintivo, modificativo od impeditivo di un credito, di una prelazione o di un diritto reale mobiliare; ma il giudice delegato può rilevare un simile fatto a prescindere da qualunque iniziativa, segnalazione o sollecitazione degli altri creditori, del curatore o del fallito, e, d’altro canto, può disattendere un’eventuale segnalazione o sollecitazione di costoro, ove ritenga insussistente o inefficace il fatto segnalato.
E’ evidente a questo proposito come sia importante che il giudice delegato sia adeguatamente informato dal curatore proprio sull’esistenza o inesistenza di fatti estintivi, modificativi o impeditivi dei crediti e dei diritti reali mobiliari: i fatti costitutivi debbono essere introdotti dalla parte interessata; i fatti estintivi, modificativi od impeditivi, invece, possono essere rilevati, e, quindi, introdotti d’ufficio dal giudice delegato, ma questa introduzione ufficiosa spesso è resa possibile solo grazie all’attività informativa del curatore.
L’altra direzione in cui si esercitano i poteri ufficiosi del giudice delegato è quella delle attività istruttorie.
A questo riguardo va subito precisato che il giudice delegato, nella verifica del passivo, non diversamente che nel processo civile ordinario, deve sempre decidere iuxta probata, ossia sulla base delle prove, il che vuol dire che non basta che egli sia intimamente convinto dell’esistenza o inesistenza di un fatto, ma occorre anche che questo fatto sia dimostrato esistente o inesistente nei modi previsti dalla legge. Non si deroga, quindi, al principio sancito nell’art. 115, 1° comma, cod. proc. civ., per cui la decisione deve essere fondata sulle prove.
Il giudice delegato, però, può porre a fondamento della decisione non solo le prove proposte dalle parti, ma anche quelle che egli ritenga di acquisire d’ufficio. Qui sta un’altra deroga ai principi del processo civile ordinario, in cui vale la regola della disponibilità delle prove, per cui, salvo eccezioni, le prove possono essere proposte soltanto dalle parti (art. 115, 1° comma, cod. proc. civ.). Nel procedimento di verifica, invece, il giudice delegato può disporre di ufficio qualsiasi mezzo di prova che sia compatibile con la struttura del procedimento.
Le prove, che il giudice delegato può acquisire d’ufficio, possono riguardare sia i fatti costitutivi sia i fatti estintivi, modificativi od impeditivi.
I poteri istruttori ufficiosi del giudice delegato si possono, quindi, esercitare sia a favore che a sfavore del creditore: è possibile, cioè, che il creditore non abbia adeguatamente documentato il suo credito, non abbia in altri termini prodotto documenti sufficienti a provare l’esistenza dei fatti costitutivi ¯del suo credito o non abbia addirittura prodotto alcun documento giustificativo; ciò nonostante questo creditore può essere ugualmente ammesso al passivo se detti fatti costitutivi risultano comunque provati attraverso mezzi di prova disposti d’ufficio dal giudice delegato. Viceversa è possibile che il creditore abbia adeguatamente provato con documenti i fatti costitutivi del suo credito e che egli sia escluso, benché gli altri creditori non abbiano prodotto documenti che provano il contrario, qualora il giudice delegato disponga di ufficio di mezzi di prova che dimostrano l’inesistenza dei fatti costitutivi ovvero dimostrano l’esistenza fatti estitivi, modificativi od impeditivi del credito o della prelazione.
Ma come può il giudice delegato disporre di ufficio mezzi di prova? Ancora una volta qui si vede l’importanza del ruolo del curatore quale collaboratore del giudice delegato, perché il più delle volte è proprio il curatore che può fornire al giudice delegato quelle informazioni indispensabili per l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi, così, per es., quando il curatore esibisce al giudice delegato un documento o riferisce al giudice delegato circa le risultanze delle scritture contabili del fallito.
I poteri istruttori ufficiosi del giudice delegato non escludono, tuttavia, l’operatività del principio dell’onere della prova, ma solo quale regola di giudizio in caso di dubbio.
Il creditore ha l’onere di provare i fatti costitutivi del suo diritto: infatti, l’art. 93 prevede che egli deve produrre i documenti giustificativi del credito. Ma si è detto che il giudice delegato può decidere anche sulla base di prove acquisite d’ufficio. Come si conciliano queste due  proposizioni? Non v’è contraddizione, perché il giudice delegato è tenuto a decidere sempre sulla base delle prove acquisite, siano poi queste state proposte dalla parte interessata, siano state disposte d’ufficio; ma se il fatto costitutivo del diritto non risulta provato, perché i documenti prodotti dalla parte non sono sufficienti o non sono idonei, e il giudice delegato non ha potuto trarre da altra fonte in via ufficiosa la prova del fatto, quel fatto non può essere ritenuto esistente e quindi posto a base della decisione. Ciò vuol dire che, avendo il creditore l’onere di provare il fatto costitutivo, la mancata prova si traduce nel rigetto della sua domanda.
All’inverso, per i fatti estintivi, modificativi od impeditivi, non basta che un altro creditore alleghi un fatto estintivo, occorre che questo fatto sia provato, con mezzi di prova che possono essere proposti da chi fa l’eccezione o essere disposti d’ufficio dal giudice delegato. Ma, ancora una volta, se il fatto non viene provato, il giudice delegato non può ritenerlo esistente e, quindi, non può rigettare la domanda basandosi su quel solo fatto non provato. In questo caso, l’onere della prova incombe su chi eccepisce il fatto estintivo e la mancata prova di questo fatto si traduce nell’accoglimento della domanda, sempreché - ovviamente - sia stato provato il fatto costitutivo del diritto.
Per ricapitolare, i poteri ufficiosi del giudice delegato possono essere così schematizzati:
 poteri decisori:
a] circa i fatti costitutivi: la parte istante ha l’onere di allegare, cioè di introdurre i fatti costituitivi del suo credito o diritto; il giudice delegato non ha al riguardo alcun potere ufficioso, ossia non può decidere sulla base di fatti costitutivi, che non siano stati allegati, vale a dire portati dalla parte a fondamento della sua pretesa, e questo perché il giudice delegato è vincolato alla domanda della parte (principio della domanda e della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato);
b] circa i fatti estintivi, modificativi od impeditivi: gli altri creditori, il fallito ed il curatore non hanno l’onere di eccepirli; il giudice delegato può rilevarli di ufficio;
 poteri istruttori:
riguardo sia ai fatti costitutivi sia ai fatti di segno contrario, il giudice delegato può disporre di ufficio dei mezzi istruttori che ritiene opportuni.

3.1. Vediamo ora quali sono i mezzi di prova, che possono essere assunti nel procedimento di verifica. In realtà questi mezzi sono molto limitati. Negli artt. 93 e ss. L.F. si fa menzione di “documenti giustificativi”, di “documenti esibiti” e di “informazioni”. In effetti, i mezzi di prova utilizzabili nella maggior parte dei casi sono i documenti.
Sicuramente non sono utilizzabili mezzi di prova di “lunga indagine”, mezzi cioè che richiedono lo svolgimento di più udienze, e che perciò sono incompatibili con la struttura del procedimento, che è un procedimento sommario e concentrato; quindi, non è possibile la prova testimoniale.
Nemmeno sono utilizzabili mezzi di prova che presuppongono la capacità di disporre dei diritti controversi: il giuramento e l’interrogatorio formale, che tende a provocare la confessione, perché né il curatore né il fallito hanno questa capacità; anche questi mezzi, per di più, richiedono lo svolgimento di più udienze e non sono, quindi, compatibili con la struttura del procedimento. E’ possibile, però, che una confessione sia resa spontaneamente da un creditore in adunanza, e in tal caso il giudice delegato non potrà non tenerne conto.
Rimangono come mezzi di prova utilizzabili i documenti e le presunzioni.

3.2. Quanto ai documenti, va ricordato il principio generale per cui i documenti utilizzabili come prove sono quelli che provengono dalla parte contro la quale si vuol far valere un diritto, per cui, salvo eccezioni, nessuno può formare un documento che faccia prova a proprio favore.
Sono quindi senz’altro utilizzabili per provare i fatti costitutivi dei crediti, di cui si chiede l’ammissione al passivo, i documenti provenienti dal debitore fallito, non quelli formati dallo stesso creditore, che chiede di essere ammesso. Così, per es., le cambiali e in generale i titoli di credito emessi dal fallito fanno prova dei crediti da essi documentati. Non hanno, invece, efficacia probatoria le fatture emesse dal creditore, appunto perché si tratta di documenti non provenienti dal debitore, ma da colui che vuol far valere il diritto.
Eccezionalmente possono far prova anche a favore dell’imprenditore le scritture contabili da lui tenute, a norma dell’art. 2710 cod. civ., e questa norma si ritiene che possa essere applicata anche nel procedimento di verifica: si ammette, perciò, che possano servire a provare i crediti gli estratti notarili dei libri contabili. I libri contabili vanno però tenuti distinti dai libri e registri previsti dalle leggi tributarie (es.: registri IVA): questi non rientrano nell’ambito di previsione dell’art. 2710 cod. civ. e possono avere efficacia probatoria solo nei casi espressamente previsti dalla legge, come, per es., per l’emissione di un decreto ingiuntivo, a norma dell’art. 634 cod. proc. civ., ma non ai fini dell’ammissione al passivo.
I documenti costituiti da scritture private, poi, debbono avere data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 2704 cod. civ..
Può capitare che i documenti prodotti dal creditore non siano sufficienti o non siano idonei a provare il credito. Il giudice delegato, allora, può acquisire d’ufficio la prova da altri documenti, già esistenti negli atti della procedura, ovvero dalle scritture contabili o da altre carte del fallito. A questo fine è indispensabile l’apporto del curatore, perché sarà il curatore il tramite di questa acquisizione ufficiosa, sarà cioè il curatore che esibirà al giudice delegato i documenti rilevanti, di cui è venuto in possesso, o riferirà al giudice delegato circa le risultanze delle scritture contabili, e in tal modo queste potranno essere utilizzate ai fini della verifica, anche a favore dei creditori.

3.3. In altri casi, il curatore fornirà al giudice delegato “informazioni” circa le vicende, da cui possono essere sorti crediti verso il fallito, e sulla base di queste informazioni, eventualmente integrate da scritture che da sole non avrebbero efficacia probatoria  il giudice delegato potrà ammettere presunzioni semplici (art. 2729 cod. civ.), che sono mezzi di prova lasciati al prudente apprezzamento del giudice.

4. Attraverso questa attività istruttoria, che si svolge tutta nell’adunanza, il giudice delegato decide su ogni domanda di ammissione o di revindica.
I provvedimenti che il giudice delegato può dare sulle domande di ammissione, come si è già anticipato, sono solo di tre tipi: a) ammissione; b) esclusione (totale o parziale); c) ammissione con riserva. Quest’ultima può aversi in due ipotesi: 1) quando non siano ancora stati prodotti i documenti giustificativi, ma questi documenti siano precisamente indicati dal creditore; 2) quando il credito è sottoposto a condizione,  prima dell’avveramento di questa, oppure quando il credito non può farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale. Si giunge, così, alla definizione dello stato passivo del fallimento e del parallelo stato delle domande di rivendica. Essi vengono depositati in cancelleria e resi esecutivi con decreto del giudice delegato: in questo provvedimento conclusivo si trasfondono tutti i singoli provvedimenti dati sulle varie domande; dopo questo decreto non è più possibile alcuna modificazione dello stato passivo e dello stato delle domande di rivendica, se non esperendo uno dei rimedi previsti dagli artt. 98, 100 e 102 L.F.

5. Adempimento finale a carico del curatore è la comunicazione che egli deve fare dell’avvenuto deposito dello stato passivo in cancelleria a tutti coloro che hanno presentato domanda di ammissione con lettera raccomandata con avviso di ricevimento (anche se sono stati presenti in adunanza); ciò in virtù della sentenza della Corte Costituzionale 22.4.1986, n. 102.