LA PRELAZIONE NELLE VENDITE FORZATE IMMOBILIARI


 


La prelazione, anche nel linguaggio comune, è costituita dalla preferenza accordata per legge o per contratto, a parità di condizioni, a un dato soggetto nell’esercizio di un diritto, specialmente nell’acquisto di un dato bene.
Prescindendo dalla prelazione convenzionale, che le parti di un contratto possono liberamente prevedere, interessa qui esaminare la prelazione legale che determina, indubbiamente, una limitazione rispetto alla libera circolazione dei beni ed alla possibilità di realizzare il massimo prezzo in una vendita forzata.
Per la migliore comprensione del diritto di prelazione, si possono prendere le mosse dall’istituto del retratto successorio, disciplinato dall’art. 732 c.c., che costituisce il più antico esempio di questa figura giuridica: il coerede che intende vendere la sua quota dei beni ereditari, in tutto o in parte, deve avvertire gli altri coeredi sotto pena del risarcimento dei danni. Inoltre, ciascuno dei coeredi che dovevano essere avvertiti della volontà di vendere, ha diritto di riscattare i beni ereditari venduti presso l’acquirente, cioè può recuperare la proprietà di quella quota ereditaria, corrispondendo, allo stesso acquirente, il prezzo che questi ha pagato per comprarli. Questa disposizione di legge è stata poi espressamente richiamata dal comma 5° dell’art. 230 bis c.c., introdotto dalla riforma del diritto di famiglia (L. 19.05.1975 n. 151), in materia di vendita dell’impresa familiare.
Intorno a questo istituto, tuttavia, si è formata una specifica giurisprudenza che ha escluso la compatibilità della prelazione con le regole della vendita coattiva (tra le ultime, vedi Cass. 07.07.99 n. 7056 in Vita not. 1999, 1408 che ha escluso la prelazione ereditaria in caso di vendita in sede fallimentare di quota ereditaria) in applicazione del principio di prevalenza dell’interesse pubblico al massimo ricavo nell’esecuzione forzata rispetto all’interesse privatistico che è alla base del retratto successorio. Però, ad attenuare questa elisione della posizione dei coeredi, la Suprema Corte, in altra sentenza, ha spiegato che la mancata offerta di prelazione in sede di vendita fallimentare di quota ereditaria, o parte di essa, non esclude la possibilità di esercitare il diritto di riscatto da parte dei coeredi del fallito (Cass. 30.01.86 n. 596 in Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 1 e Fallimento 1986, 748). In queste pronunce, frutto del tentativo degli interpreti di limitare l’applicazione della prelazione per i vincoli che comporta in materia di circolazione dei beni, riecheggia l’eco di alcune specifiche norme di legge che espressamente hanno permeato di negatività questo istituto legale. Un esempio in tal senso, è dato dalla L. 18.12.70 n. 1138 che, all’art. 10, ha abrogato la prelazione a favore del concedente in caso di vendita di un fondo gravato dal diritto di enfiteusi, ma altri e più frequenti esempi si rinvengono nell’attuale legislazione di cui conviene ora dare conto.
BENI RURALI LAVORATI DA TERZI SOGGETTI ALLA PRELAZIONE AGRARIA AI SENSI DELLA L. 590/65 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI ED INTEGRAZIONE – L’art. 8 della legge 590/65, ha stabilito, al 1° comma, che, in caso di trasferimento a titolo oneroso di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l'affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno quattro anni (ora tale termine è stato ridotto a due anni dalla L. 14 agosto 1971, n. 817) non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia. Il 2° comma di detta norma, tuttavia, stabilisce che la prelazione non è consentita nei casi di permuta, vendita forzata, liquidazione coatta, fallimento, espropriazione per pubblica utilità e quando i terreni in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica.
Peraltro, l’art. 7 della L.817/71 ha esteso la prelazione anche al confinante coltivatore diretto e la successiva L. 203/82 ha esteso la prelazione a coloro che coadiuvano il soggetto titolare del rapporto nella conduzione del fondo, quali i componenti della sua famiglia.
Questo complesso di norme non ha subito stravolgimenti di sorta nell’analisi giurisprudenziale. La Corte Suprema, anzi, ha esteso l’esclusione della prelazione, oltre che all’esecuzione forzata ed alle procedure fallimentari, anche alla cessio bonorum ai creditori, sebbene non espressamente prevista dalla legge (Cass. 22.10.79 n. 5548).
Merita infine di essere segnalato, per l’interconnessione tra le varie discipline, il caso esaminato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 5264 del 12.10.1982 (Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 9) in cui, ai fini della liquidazione di una quota di eredità accettata con beneficio di inventario ed in cui compariva anche un fondo rustico, era stato applicato il sistema della vendita ai pubblici incanti tipica del procedimento espropriativo e di quello fallimentare. La Corte Suprema, in questo complicato caso, ha stabilito che, non essendo la vendita all’asta prevista espressamente per questo tipo di liquidazioni, si trattava di una vera e propria scelta liquidatoria che non poteva quindi pregiudicare il diritto di prelazione agraria.
BENI CULTURALI VINCOLATI AI SENSI DELLA LEGGE 1089/39 – La legge 1089/39 attribuisce allo Stato la prelazione in caso di vendita di immobili soggetti al vincolo artistico. La Suprema Corte di Cassazione, posta di fronte a due interessi, entrambi di natura pubblicistica (massimo ricavo nelle esecuzioni forzate e tutela dei beni culturali), ha stabilito che, in caso di pignoramento di un bene immobile soggetto al vincolo di cui alla L.1089/39 ed ai sensi del suo regolamento di attuazione (R.D. 30.01.13 n. 363), vi è l'obbligo, per il giudice, di inserire, nel bando di vendita, la notizia del vincolo affermando inoltre che sussiste il dovere di darne denuncia all’amministrazione, condizionando il trasferimento del bene all’eventuale esercizio da parte dell’amministrazione medesima del diritto di prelazione. Questa giurisprudenza, tuttavia, afferma che la presenza del detto vincolo non implica l’impignorabilità del bene stesso,  né  determina l'insorgenza di poteri d'imperio dell'autorità amministrativa idonei ad incidere sul processo esecutivo, il quale, pertanto, resta affidato alla giurisdizione del giudice ordinario, anche per quanto attiene ai giudizi di eventuale opposizione (Cass. Sez. Unite, 27 giugno 1986 n. 4282, in Giust.  civ. Mass. 1986, fasc. 6 e Giust. civ. 1986, I, 2372).
BENI LOCATI AD USO NON ABITATIVO AI SENSI DELLA L.392/78 – La L. 392/78 è la legge cosiddetta “dell’equo canone” che prevede, all’art. 38, il diritto di prelazione del conduttore nel caso in cui il locatore intenda vendere l’immobile locato.
La Corte Suprema, rilevato che questa norma disciplina il caso di vendita volontaria del ben locato da parte del locatore, ha stabilito che: “In caso di vendita all'asta, in sede  di esecuzione forzata, dell'immobile locato ad uso diverso dall'abitazione, al conduttore di esso non spetta il diritto di prelazione di cui all'art. 38 l. n. 392 del 1978.” (Cass.16.12.96 dicembre 1996, n. 11225 in Foro it. 1997, I, 805).
Purtroppo per i conduttori, questa non è una pronuncia isolata, ma si inserisce in un filone introdotto da una pronuncia del Tribunale di Torino in data 26.06.79 (in Fallimento 1979, 1154)  nella cui motivazione si legge che, partendosi dal presupposto dell’essenziale e preminente funzione pubblica del fallimento e dell’espropriazione che ne consegue, che non può tollerare interferenza alcuna, la vendita esecutiva non è vendita spontanea e l’esercizio del diritto di prelazione potrebbe portare ad una vera e propria turbativa dell’asta essendo difficile prefissare il prezzo cui ancorare il diritto di prelazione.