UNA RILETTURA DEL CODICE DI RITO CHE VALE UNA RIFORMA

(di Maurizio Calò, docente di diritto fallimentare presso le Università degli Studi di Sassari e di Olbia)

Da sempre, in Italia, si invocano riforme per migliorare qualsiasi cosa: si chiede che qualcuno (qualcun altro) intervenga per sistemare le cose che ci sembrano sbagliate e questo qualcuno (qualcun altro) è il legislatore che dovrebbe inseguire gli sviluppi e le mutate esigenze dei cittadini con la stessa rapidità con la quale avviene l’evoluzione sociale. Peraltro, i processi di riforma sono sempre molto lunghi perché, da una parte, occorre conservare quanto di buono esisteva in precedenza e, dall’altra parte, occorre individuare quali, delle nuove tendenze, si affermeranno stabilmente e quali, invece, regrediranno perché effimere pulsioni collettive.
Se questo discorso lo applicassimo al codice di procedura civile, che governa, per quanto qui interessa, le procedure esecutive immobiliari e, quindi, anche quelle fallimentari, finiremmo col dover prevedere tempi lunghissimi per apportare quelle modifiche che rendono attualmente smisurati i tempi di conclusione delle espropriazioni perché, invero, le regole attualmente in vigore sono assai garantiste cosicché, cambiarle, cozzerebbe contro la formazione culturale dei giuristi che dovrebbero mettervi mano.
Questa posizione di stallo, sembra che stia cambiando per opera della prassi di alcuni tribunali: in particolare il Tribunale di Monza che, per primo, si è distinto nella riorganizzazione delle esecuzioni immobiliari, seguito da quello di Bologna e forse, ormai, anche da altri, suscitando l’interesse dei cultori del settore.
Quel Tribunale, infatti, senza attendere interventi demiurgici di un legislatore che ha ben altro di cui occuparsi, si è dedicato ad una rilettura efficientista delle regole in vigore, riuscendo in un’opera di semplificazione e di snellimento delle procedure esecutive che è di sicuro interesse e degna di esportazione in tutti gli uffici giudiziari.
Per meglio comprendere l’intervento innovativo della prassi monzese, partiamo dalla lettura delle attuali regole del rito esecutivo immobiliare.
Una volta eseguito il pignoramento e decorso il termine dilatorio di dieci giorni, il creditore deve presentare, nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, l’istanza con la quale chiede la vendita dell’immobile pignorato e, nei successivi sessanta giorni, deve depositare anche tutta la documentazione ipocatastale relativa all’immobile pignorato. Il giudice esamina la documentazione: se è incompleta, ne chiede l’integrazione; se è completa, fissa l’udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé per le eventuali osservazioni circa le modalità ed il tempo della vendita. Se non sorgono contestazioni, ovvero se su di esse si raggiunge un accordo, il giudice nomina il perito per la stima dell’immobile e rinvia ad altra udienza per il suo giuramento. In questa nuova udienza, il perito giura di bene e fedelmente adempiere all’incarico assegnatogli e si rinvia ad altra udienza per l’acquisizione dell’elaborato peritale. Qui, se il perito ha depositato la perizia, si rinvia per il relativo esame da parte del creditore istante e dei creditori intervenuti e si procede immediatamente, oppure si rinvia ad altra udienza, per fissare la vendita, normalmente con incanto. In detta nuova udienza può accadere che la vendita avvenga, oppure che la gara rimanga deserta. Nel primo caso, si procederà all’emissione del decreto di trasferimento, a seguito del versamento del saldo del prezzo, se non saranno pervenute offerte in aumento di sesto nei dieci giorni successivi all’aggiudicazione provvisoria. Nel secondo, caso, invece, si fisserà l’udienza per esaminare eventuali domande di assegnazione dell’immobile pignorato da parte dei creditori, ovvero, in difetto, per una nuova asta con prezzo ribassato di non oltre il 20%. Quando la vendita riesce, il giudice fissa l’udienza di discussione del piano di riparto delle somme ricavate dall’aggiudicazione e, spesso, procede alla nomina di un consulente contabile per l’incombente, invitando i creditori al deposito di note di precisazione dei rispettivi crediti. Nella nuova udienza così fissata, se intorno al progetto di riparto non sorgono contestazioni, il giudice lo rende esecutivo e dispone il pagamento delle somme in favore dei creditori; altrimenti si apre una fase di disamina delle osservazioni pervenute onde apportare le necessarie modifiche al progetto di riparto.
Su tale impianto normativo, il Tribunale di Monza è intervenuto prevedendo molti provvedimenti standardizzati ed adottati fuori udienza.
Dopo il deposito dell’istanza di vendita da parte del creditore procedente e l’esame della completezza della documentazione ipocatastale, il giudice adotta un decreto con il quale fissa l’udienza di vendita dell’immobile pignorato, contestualmente provvedendo alla nomina del perito che, assunto l’incarico fuori udienza, dovrà depositare l’elaborato peritale un mese prima della vendita. Su tale perizia, i creditori potranno presentare osservazioni quindici giorni prima dell’udienza prevista per l’asta. Con il medesimo provvedimento, il giudice, oltre a fissare la vendita, fissa anche, per la stessa data ed ora, l’udienza per le eventuali richieste di assegnazione del bene pignorato da parte dei creditori in caso di asta deserta. In breve: il giudice emette un solo provvedimento che, cumulativamente, concentra nella stessa udienza tutte le attività che il codice di rito fraziona in tanti segmenti, ma che solo la prassi ha diluito in una serie di udienze nella generalità dei tribunali italiani.
Se all’udienza fissata per l’asta avviene l’aggiudicazione, si procederà, come più sopra si è esposto, all’emissione del decreto di trasferimento dopo il versamento del saldo del prezzo e sempre che non sia intervenuta l’offerta in aumento di sesto. Se, invece, l’asta rimane deserta, si fisserà una nuova gara con prezzo ribassato.
Un’ulteriore innovazione del Tribunale lombardo, è stata introdotta in sede di riparto: il progetto viene redatto fuori udienza e depositato in cancelleria. Si fissa, quindi, una sola udienza per il relativo esame da parte dei creditori e per le loro eventuali osservazioni. Mancando queste, si adotterà il provvedimento di esecutività del riparto con conseguente ordine pagamento.
La chiave di questa benemerita opera di semplificazione appare piuttosto semplice: svolgere fuori udienza molte attività previste dal rito e mettendone i risultati a disposizione degli interessati con congruo anticipo rispetto all’udienza, che finisce con l’essere fissata in modo concentrato e riservata solo alle questioni per le quali serva un approfondimento.
Con la medesima chiave di lettura, il legislatore sta intervenendo anche nell’ordinario processo di cognizione. Dopo la riforma di cui alla Legge 353/90, che ha dedicato ciascuna udienza ad una specifica attività, incanalando il giudizio in una rigida scansione progressiva, il legislatore ha varato, all’inizio del 2003, il decreto legislativo che regola i processi in materia societaria creando, così, un ulteriore modello che dovrebbe servire da traccia ed anticipazione anche rispetto ad un nuovo processo civile. Il sistema semplificativo è proprio quello di svolgere tutte le possibili attività fuori dalle aule del tribunale dove è previsto l’accesso solo per le questioni che meritano approfondimento.