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L’ESPERTO RISPONDE

 
 

Quesito: Ho comprato il 50% di un immobile all’asta presso il Tribunale di Livorno. Nel decreto di trasferimento c’è scritto che il bene è libero, in quanto è occupato senza titolo dall’esecutato. Ho attivato la procedura tramite legale e l’ufficiale giudiziario, al secondo accesso, coadiuvato dalla Forza Pubblica, ha espresso alcune difficoltà per eseguire lo sfratto vero e proprio. Dopo essersi consultato per telefono con un ufficiale giudiziario anziano e dopo non poche perplessità, ha rimesso la pratica al giudice, sostenendo che con la proprietà al 50% (non avendo il consenso anche dell’altra comproprietà) non ha potuto eseguire lo sfratto. Domando: è legittimo il comportamento dell’ufficiale giudiziario o doveva ottemperare allo sfratto?

L’acquisto del 50% di un bene immobile, dà luogo ad una comunione indivisa che trova la sua disciplina negli artt. 1100 e segg. del cod. civ.. Tra dette norme, vi è l‘art. 1105 cod. civ. il quale, a proposito dell’amministrazione del bene comune, dispone che: “Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune. / Per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente. / Per la validità delle deliberazioni della maggioranza, si richiede che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell’oggetto della deliberazione. / Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e  può anche nominare un amministratore.”.
Una cospicua giurisprudenza si è formata intorno all’art. 1105 c.c. a proposito della legittimazione ad agire esecutivamente, da parte di uno solo dei comproprietari, nei confronti del conduttore per ottenere il rilascio dell’immobile di proprietà comune.
In tale situazione, è stato affermato che, tra i partecipanti alla comunione, esiste un reciproco rapporto di rappresentanza in virtù del quale ciascuno di essi può procedere alla locazione della cosa comune ed agire per la cessazione o la risoluzione del contratto e la consegna del bene locato, anche nell’interesse degli altri partecipanti alla comunione, trattandosi di atti di utile gestione rientranti nell’ambito dell’ordinaria amministrazione della cosa comune, per i quali è da presumere, salvo prova contraria, che il singolo comunista abbia agito con il consenso degli altri (Cass.83/2158).
In particolare, la Corte Suprema di Cassazione ha avuto modo di affermare che: “In tema di cessazione, recesso o risoluzione di contratti aventi ad oggetto l’utilizzazione economica dell’immobile oggetto di comunione (allorché questa si esprima sul piano negoziale con i terzi, nel suo aspetto esterno e dinamico, ma difetti di un organo titolare del potere deliberativo, come l’assemblea), vige il principio della concorrenza dei pari  poteri gestori in  tutti i comproprietari, in forza del quale ciascuno di essi – anche in presenza di un organo rappresentativo unitario – e’ legittimato ad agire anche in giudizio – e senza che sia all’uopo necessaria un’autorizzazione, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 75 c.p.c., degli altri compartecipi – contro chi pretenda di avere un diritto di godimento sul bene, e ciò indipendentemente dall’operatività dell’istituto della negotiorum gestio, bensì sulla base della comunanza di interessi in tutti i partecipanti alla comunione e della conseguente presunzione di un loro consenso all’iniziativa volta alla tutela di detti interessati, salvo che si deduca e si dimostri, a superamento di tale presunzione, il dissenso della maggioranza dei partecipanti stessi.” (Cassazione civile sez. III, 28 ottobre 1993, n. 10732, Gregori c. Gregori e altro in Giust. civ. 1994, I,1939 nota  di De Tilla).
Il principio della concorrenza di pari poteri gestori in tutti i comproprietari, comporta, quindi, che ciascuno di essi  sia legittimato ad agire per il recesso contro il conduttore, nella presunzione(che ammette la prova contraria) di consenso degli altri, senza che sia configurabile al loro riguardo un’ipotesi di litisconsorzio necessario onde agire per il rilascio del bene
Se questi sono  principi che si sono affermati  a proposito della locazione stipulata  da uno dei comunisti, a maggior ragione essi devono valere quando si agisca per conseguire la liberazione dell’immobile comune  che si assuma occupato senza titolo da terzi.
Sotto questo profilo, dunque, male avrebbe fatto l’ufficiale giudiziario a non dare corso all’esecuzione per rilascio che gli veniva chiesta da uno dei comproprietari, come tale legittimato a porre in essere tutti gli atti di ordinaria amministrazione, tra cui la liberazione dell’immobile illegittimamente occupato da terzi, sulla presunzione di rappresentanza anche dell’altro comproprietario semplicemente dubitando di dover avere anche il consenso espresso dell’altro comunista.
Gli è che, probabilmente, i fatti narrati dal cortese lettore tacciono un particolare illuminante sul comportamento tenuto dall’ufficiale giudiziario. E’, infatti, probabile che l’ufficiale giudiziario, in sede di esecuzione, si sia in concreto scontrato con l’opposizione dell’altro comproprietario, verosimilmente la moglie del debitore sottoposto all’espropriazione conclusasi con l’aggiudicazione del 50% al cortese lettore: in tal caso, infatti, la presunzione della piena legittimazione del comunista ad agire per la liberazione dell’immobile anche nell’interesse dell’altro comproprietario, è venuta meno e l’ufficiale giudiziario ha, correttamente, rimesso gli atti al giudice.
Cosa resta dunque da fare in un caso simile?
La risposta è nel citato art. 1105 c.c.: occorre che i comproprietari convergano in un’assemblea convocata dal comunista più diligente con apposito ordine del giorno: se in tale sede si perverrà ad un accordo (di cui sarà bene stendere un verbale sottoscritto da entrambi i comproprietari), la questione potrà dirsi definitivamente risolta; in caso contrario, il verbale di mancato accordo (o di omessa costituzione dell’assemblea per mancata comparizione da parte di uno dei comproprietari), costituirà la base del ricorso all’autorità giudiziaria che andrà adita affinché decida in camera di consiglio. La domanda con rito ordinario, è da ritenersi inammissibile (Pretura di Verona 6 marzo 1990, Zangrandi c. Zangrandi, in Riv. giur. edilizia 1990, I, 353).
Se l’esperienza è la virtù della previsione sulla scorta di quanto accaduto in precedenza, è probabile che l’autorità giudiziaria decida per il permanere dell’occupazione da parte del debitore esecutato verso il pagamento di un corrispettivo rapportato al 50% del canone corrente, secondo il mercato, da devolvere al solo comunista escluso dal godimento diretto del bene.
E allora cosa fare se questa soluzione non fosse pienamente appagante?
In tal caso, non resterà che agire in giudizio per la divisione dell’immobile. E’ questa una facoltà espressamene riconosciuta a ciascun partecipante alla comunione dall’art. 1111 c.c. il quale la prevede senza limiti di tempo. Il procedimento è quello previsto dagli artt. 713 e segg. c.c. in tema di divisione ereditaria che trova applicazione alla comunione ordinaria in virtù dell’espresso richiamo di cui all’art.1116 c.c..

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