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Il Tevere é un fallimento irreversibile?

 
 

Intervista al Prof. Antonio Tamburrino che, attingendo alla storia della nostra città, recupera il Tevere a ruolo di protagonista.

 Il Tevere e Roma, storia di un rapporto antico anche se spesso conflittuale.

Eppure oggi la città non vive più il suo fiume: muraglioni alti, freddi e bianchi, spallette dei ponti senza visibilità, traffico intenso nei lungotevere, impossibilità di sosta, fanno del fiume un ostacolo da sopportare e superare. Per approfondire la storia di questo rapporto, oggi vissuto a volte con rassegnazione, altre con indifferenza, abbiamo incontrato un profondo conoscitore del Tevere, il Prof. Antonio Tamburrino, ingegnere, docente di Bilanci ambientali alla LUISS e di Teoria dello sviluppo al Pontificio Ateneo Antonianum (Dipartimento per l’Ambiente) e già consulente per la mobilità del governo Dini che, oltre alle competenze tecniche, scientifiche ed idrauliche e all’esperienza internazionale,  da più di 20 anni intrattiene un rapporto intenso con il Tevere. Già nel 1987 infatti il Prof. Tamburrino prefigurava, insieme ad ingegneri, architetti e urbanisti quali Carlo Aymonino e Carlo Cestelli Guidi, lo scenario composito “Idea , un ampio lavoro progettuale nel quale si ipotizza un ritorno del Tevere alla sua antica funzione di arteria vitale dell’assetto urbano della Capitale e la sua riconquista di un ruolo da protagonista nel tessuto cittadino.

 

Prof. Tamburrino, cosa fare, abbassare la città alle sponde o alzare il fiume a livello della città?

Il Prof. Tamburrino sorride mentre sfoglia pacatamente i suoi progetti, e inizia a ripercorrere con rara competenza umanistica questa storia antica quanto il mondo di Roma.

“Senza il Tevere non sarebbe nato l’Impero Romano, la gloria della nostra città e la sua civiltà. Tutto lo sviluppo urbano e sociale della città gravitava sul fiume, intorno al fiume e per il fiume.

Diciamo che Roma é la prima grande metropoli dell’antichità dotata di un “fronte d’acqua”. Esiste oggi la “Water’s front town’s , un’associazione che riunisce le grandi città che vivono sul mare o percorse dai fiumi come da una colonna vertebrale. Si tratta di un’organizzazione mondiale nata da pochi anni per confrontare problemi e soluzioni e ipotizzare sviluppi. Sebbene nessuna divenne mai grande come Roma, altre importanti e celebrate metropoli dell’antichità vivevano vicino al fiume: Troia si ergeva su una collina prospiciente lo Scamandro, Babilonia veniva lambita dal Tigri; il Nilo fu l’elemento fondante della civiltà egizia.

Per Roma fu diverso. Essa nacque segnata dal rapporto con il fiume e, fatalmente, con le sue piene per nulla favorevoli, vere e proprie inondazioni che ne segnarono profondamente nella storia per ben 27 secoli.

“La prima inondazione che Roma  ricordi si confonde con l’età delle origini e ci porta, tra pozzanghere e fango, ad un canestro dove sotto il ficus ruminalis disperatamente vagivano i 2 fratelli poi allattati dalla lupa. Questo il paesaggio che si presentò al pastore Faustolo e sua moglie Acca Larenzia. E da Romolo e Remo in poi é stato un continuo succedersi di piene, distruzioni, ricostruzioni, allagamenti. Almeno 2 o 3 volte in un secolo e tutte sopportate con stoica rassegnazione dai nostri progenitori.

Per contro il fiume viveva, eccome, ed era indispensabile ad una città che raggiunse, in età imperiale, addirittura  un milione di abitanti.

Al tempo di Adriano tutti i greandi trasporti, sia civili che militari, avvenivano via mare, attraverso le “grandi navi . Ma queste navi non avrebbero avuto un ruolo così’ rilevante nella storia dell’Impero, se i romani non avessero inventato qualcosa che oggi si dimostra sempre più fondamentale nell’organizzazione dei trasporti marittimi e cioè, il “porto di . Infatti il primo porto di interscambio della storia è stato, dove ora sono i margini dell’aeroporto di Fiumicino, il Porto di Claudio (42 d.c…..), sostituito successivamente dall’esagonale Porto di Traiano realizzato all’interno del Porto di Claudio per evitare i problemi di insabbiamento e offrire maggiore funzionalità.

Tali porti erano il “terminal” delle navi mediterranee e quindi erano luogo di raccolta, di immagazzinaggio e di trasformazione. Ma soprattutto lì avveniva il trasbordo sulle imbarcazioni fluviali. Iniziava così il viaggio delle merci, prima sul canale artificiale, oggi canale di Fiumicino  (flumen mincium : piccolo fiume, cioè il ramo artificiale della foce) creato dai romani per collegare il porto con il fiume e, poi, sul fiume stesso controcorrente, verso la città che, in tal modo, aveva accesso diretto al Mediterraneo senza però essere esposta alle invasioni dal mare come, invece, era successo per Cartagine. Ogni giorno il traffico era enorme, carovane di 100, 200 convogli risalivano lentamente il fiume e smistavano manufatti industriali, derrate alimentari, merci varie, schiavi, viaggiatori e soldati nei vari porti fluviali. Da notare l’ampio spazio che la progettistica romana dava a soluzioni idrauliche ancora oggi attuali come le canalizzazioni ed i collegamenti tra un porto e l’altro, e tra i vari rami artificialmente creati intorno all’estuario del Tevere. Il fiume era l’autostrada dei romani, il principale sistema viario e commerciale con vari approdi, tra cui il più importante era quello poco a valle del Ponte Sublicio, detto Porto Imperiale. Per il grande traffico si determinarono quantità enormi di residui di contenitori dando luogo ad una vera e propria collina che oggi è il Monte dei Cocci, a Testaccio. Per capire l’importanza del Tevere nell’antica Roma, basta osservare l’impianto urbanistico della città, impianto tuttora rintracciabile sotto la stratificazione storica dei secoli. Tutte le strade portavano al Tevere e ne ripartivano, case e quartieri sorgevano intorno a raggiera. Non esisteva una circolazione parallela come i lungotevere di oggi, ma solo perpendicolare al fiume e questo spiega alcune tortuosità viarie e una certa labirinticità del vecchio centro storico che, con la costruzione dei lungotevere, è rimasto completamente stravolto rispetto al suo impianto originario.

 

Quando e perché avvenne tutto questo?

“Il problema fondamentale di Roma, come abbiamo detto, erano le periodiche piene del Tevere che alcuni accorgimenti, anche  ingegnosi, posti a monte della città non riuscirono però a contenere. Verso la fine dell’800, ed esattamente il 29 dicembre del 1870, il Tevere si produsse in una delle sue più furiose inondazioni: l’acqua, a Piazza del Pantheon, raggiunse i 4 metri. Anche Piazza San Pietro fu inondata, come segno, secondo Pio IX, della collera divina per la presa di Roma. E fu l’ultima piena. Da lì in poi, infatti, l’amministrazione piemontese dell’epoca decise di risolvere il problema in modo radicale: il Tevere andava arginato ad ogni costo. La parola d’ordine per contenere il fiume fu una sola: “muri di sponda” e cioè, i “muraglioni”. Roma era stata conquistata appena da poco più di tre mesi e già si nominava una commissione presieduta dall’ingegnere idraulico Roberto Canevari. Nel 1874 iniziarono i lavori. Già nei primi anni del 1900 tutto era finito e la città era al riparo dalle inondazioni, sia pure dietro i tetri e monotoni muraglioni. E’ stato il concetto di protezione, argine, difesa che ha sprofondato il Tevere nel suo degrado, da presenza vitale è diventato ingombrante e inutile. I muri di sponda, la scomparsa dei porti di Ripa Grande, Ripetta, Sublicio, sottraggono oggi l’acqua e il suo scorrere al dialogo con i suoi abitanti e lo pongono, per così dire, lontano dagli occhi e anche lontano dal cuore, quasi che i massicci parapetti sianoinsormontabili ostacoli anche per guardare il fiume.

Senza contare il secondo affronto, gli interventi sull’alveo che, con la creazione di barriere per arginare la corrente ed impedire l’erosione dei pilastri dei ponti, rendono di fatto il fiume impraticabile per la navigazione. I Piemontesi, con la creazione dei lungotevere sui muraglioni, ruotarono di 90 gradi il sistema viario rispetto fiume che venne sacrificato allo sviluppo di “Roma Capitale”. L’ordito antico, il vero tessuto urbano, scomparve e rimangono oggi le colossali opere idrauliche a difesa della rinnovata unità d’Italia. Da allora per il Tevere è iniziato un declino inarrestabile”.

 

A quell’epoca non insorse nessuno?

“Ci sono tracce non tanto di contestazione, quanto di soluzioni alternative. Per esempio esiste un “progetto Garibaldi” per creare una scolmatura a monte della città, una specie di fiume parallelo che, partendo più o meno da Castel Giubileo, e ricongiungendosi all’alveo naturale all’incirca alla Magliana, doveva evitare il rovinoso sommarsi delle piene del Tevere con quelle dell’Aniene, ma non fu preso in considerazione. Il fratello di Garibaldi, invece, con le sue imprese lavorò alla costruzione dei muraglioni. Forse, allora, alcune ipotesi che venneroformulate non avrebbero in effetti funzionato dal punto di vista idraulico, ma con le tecniche di oggi sono più attuali che mai. Il fiume avrebbe potuto essere “governato” a monte con delle ampie aree destinate all’espansione del fiume. Il muraglione alto 12 metri non è il solo rimedio ipotizzabile per contenere le piene. A Parigi città e fiume dialogano: lunghe banchine insieme a chiatte, barconi, rimorchiatori, rendono pacato il paesaggio dei lungosenna e le sponde non si alzano sopra i 4 metri’.

 

Dunque, questa è l’analisi delle cause della decadenza, potremmo dire del fallimento del Tevere?

“La città subì, dopo l’unità d’Italia, un’imponente ristrutturazione improntata ai cosiddetti criteri “umbertini”. Queste trasformazioni erano animate dalle migliori intenzioni: la nuova sofferta capitale doveva avere un aspetto decoroso, monumentale, ma nel contempo sobrio ed austero. Spariscono le caratteristiche casupole abbarbicate a strapiombo sul Tevere, soprattutto quelle della riva sinistra, lungo l’antico muro di cinta di Aureliano, ma scompaiono anche le belle scalee del porto di Ripetta e quelle di Ripa Grande”. Il Prof. Tamburrino s’illumina prima di affrontare la seconda e più impegnativa parte della nostra conversazione e cioè quella riguardante il progetto globale di recupero ambientale del fiume che ha maturato anche dopo una lunga esperienza internazionale.

 

Professore, da dove nasce il suo interesse per il Tevere?

“Iniziamo col dire che mi sono laureato in ingegneria idraulica nel lontano ’62, quando le grandi aziende di progettazione di respiro internazionale andavano a caccia di talenti e tenevano d’occhio gli studenti delle varie università per assicurarseli. La mia fortuna fu di incontrare all’Italconsult una personalità del calibro di Aurelio Peccei che mi comunicò la passione ambientalistica e la nuova frontiera della multidisciplinarietà. Uno dei miei primi lavori fu lo studio di navigabilità del fiume Niger, compiuto sotto gli auspici delle Nazioni Unite, che mi occupò diversi anni. Passai poi, attraverso uno studio “sul campo”, a progettare la prima diga in Arabia Saudita.  Ritornato in Italia questa mia preparazione nei recuperi ambientali fu subito applicata ad un grosso progetto di disinquinamento del bacino del Garda. All’epoca il più grande lago italiano era colpito da fenomeni di eutrofizzazione con grande rischio per la popolazione ittica ed insorgere dei primi divieti per la balneazione. La nostra soluzione era innovativa e partiva dall’ipotesi di evitare i piccoli depuratori locali, con scarichi diretti nel lago, preferendo due grandi collettori di acque reflue che sarebbero sboccati, depurati, a valle, nel Mincio. Fu necessario confrontarsi con alcune realtà locali ed il progetto avanzò lentamente. E’ stato completato solo da pochi anni e… funziona.

 

Dunque partendo dal Niger é approdato al Tevere?

“In un certo senso l’esperienza internazionale mi ha arricchito facendomi ipotizzare per il biondo fiume soluzioni anche molto ardite.

Al Tevere appartiene uno straordinario patrimonio naturale, ambientale, funzionale e, non ultimo, culturale, quindi un progetto di recupero deve necessariamente contenere tutti questi piani di lettura. Ne consegue, però, che i relativi interventi attraversano diverse istituzioni e competenze e questo allunga notevolmente i tempi di decisione prima e di realizzazione poi.

Roma affronta il suo secondo secolo di “capitale” d’Italia contemporaneamente al traguardo del secondo millennio, con i famosi eventi del Giubileo e, forse, anche delle Olimpiadi che mettono la città in uno stato di febbrile attesa, sempre sull’orlo dell’emergenza, con interventi che si temono dell’ultimo minuto e tesi più a risolvere sintomi che a curare malattie. Tra le iniziative in discussione credo che non si dovrebbe trascurare il Tevere.

Bisognerebbe riportare il fiume al suo primato, quello di via d’acqua navigabile dalla foce al cuore della città ed oltre. Ma l’ipotesi della navigazione fluviale passa necessariamente per un’altra fase che é quella del risanamento igienico-sanitario delle acque, risanamento che i depuratori dell’Aniene, Roma Est, Roma Nord e Roma Sud non riescono ad assicurare completamente. Infatti i liquami, più o meno trattati, che vengono immessi nel fiume conservano ancora una carica batterica elevata e al di sopra dei limiti di accettabilità; insomma il fiume, in questo momento, assolve lungo il suo percorso al ruolo di collettore di acque reflue, mentre anche nell’antica Roma la Cloaca Massima sgorgava a valle dalla città.

Tutti i depuratori sono concepiti per abbattere soprattutto il carico organico del liquame, mentre alcune sostanze inorganiche, soprattutto azoto e fosforo, rimangono in soluzione. Bisogna sottolineare inoltre che un fiume ad andamento torrentizio come il Tevere, ha una capacità di autodepurazione minima, anche in virtù del fatto che in estate la portata si riduce notevolmente e, quindi, i fattori inquinanti rimangono più a lungo nell’acqua. Il problema potrebbe essere risolto con un “sorpasso” della città ad opera di un collettore del diametro di 3 metri, lungo complessivamente 27 Km, che potrebbe raccogliere le acque uscenti dagli impianti di depurazione e convogliarle al mare in una doppia condotta interrata di 17 Km per poi proseguire con una condotta sottomarina lunga circa 10 Km che, attraverso un diffusore, scaricherebbe nel mare a 100 m. di profondità! Questo accorgimento permetterebbe uno smaltimento delle acque reflue certamente più veloce e pulito dell’attuale con una grande riduzione dell’inquinamento costiero: infatti le acque di scarico, immesse in profondità, vengono immediatamente metabolizzate e trasportate velocemente dalle correnti marine innescando un ulteriore processo di autodepurazione.

Convogliare le acque impure fuori dal Tevere e lontano dalla costa aiuterebbe anche a risanare zone come Ostia, Fiumicino e Fregene ed eviterebbe le infezioni che il perdurante uso irriguo delle acque del fiume comporta, nonostante le ordinanze ed i divieti delle autorità.

 

Allora nel Tevere disinquinato potrebbero saltare gli storioni e si potrebbe tornare a mangiare le telline a Fregene?

Perché no?

 

Ammesso che sia possibile ripulire il fiume, di fronte a quale altro inconveniente ci troviamo prima di pensare a navigarlo?

“Abbiamo visto quanto é stata importante la navigazione in epoca romana, medioevale e papalina. Anche il nuovo stato italiano non trascurò la navigazione fluviale, con progetti di risalita del fiume che dovevano arrivare addirittura fino alla zona industriale di Terni. Ma dopo l’ultima guerra, i mutamenti nella morfologia dell’alveo e la realizzazione delle barriere fluviali che avevano la funzione di frenare la corrente, a Ponte Milvio, all’Isola Tiberina e a Ponte Marconi hanno reso il fiume assolutamente inadatto ala navigazione. Il nostro progetto “Idea Tevere” invece, tende a recuperare, attraverso alcune opere come quelle che aiutano la percorribilità dei grandi fiumi europei, la navigazione dal mare almeno fino al centro storico, affiancando alcuni dislivelli con alcune conche di navigazione, delle “chiuse”. Queste permetterebbero il sorpasso delle barriere ripristinando l’innalzamento dei livelli che il fiume aveva nel passato, prima del notevole abbassamento subito per l’erosione dell’alveo. Sulla Senna e sul Tamigi le conche di navigazione di cui ho parlato prima, riescono ad alzare il livello delle acque di molti metri. Per il Tevere basterebbe molto meno. Le chiuse che ho proposto sono facilmente realizzabili. Anche il dislivello della diga di Castel Giubileo non è insuperabile, essendoci molto spazio per la realizzazione di una chiusa che, peraltro, era già stata prevista in sede di progettazione dell’opera. Si verrebbe così a configurare uno straordinario e variegato sistema  ambientale che avrebbe come asse di unificazione il Tevere, il quale potrebbe integrare un parco fluviale naturale a monte di Roma, con tutte le sue marcite, gli uccelli di passo e le oasi faunistiche, con il parco archeologico di Ostia Antica passando per il parco urbano attrezzato. Infatti, riallacciando gli inserimenti portuali antichi con il traffico urbano si costruirebbe un itinerario, parte in acqua, parte in terra ferma, che potrebbe arrivare indifferentemente dal mare all’Appia Antica o a San Pietro e alla Città del Vaticano fino al Parco di Veio e alla Giustiniana, con Villa Livia sulla destra del Tevere, e, a sinistra, il Parco dell’Aniene, Villa Glori e Villa Ada. Ed eccoci al punto più delicato: quello degli approdi. Bisognerebbe cominciare con la creazione di un porto turistico dell’Isola Sacra in sostituzione dell’attuale disordine di Fiumara Grande, per stabilire un comodo collegamento fra il Tevere e il Tirreno. Questo complesso dovrebbe essere arricchito da altre vie d’acqua, banchine e piccoli porti con un canale di collegamento dall’aeroporto di Fiumicino al Tevere, in parte già esistente; un porto-darsena all’altezza del gazometro e un approdo attrezzato all’antico “Foro Boario” smisterebbero una parte del traffico fluviale. Un altro approdo attrezzato, che potremmo chiamare Porto di Adriano, potrebbe sorgere tra Castel Sant’Angelo il Palazzaccio. Sarebbe anche interessante studiare una serie di banchine d’attracco situate in punti di crisi per eccessivo afflusso turistico.

 

Praticamente il Tevere potrebbe risolvere alcuni problemi di congestione di traffico in occasione del Giubileo?

“Certo bisognerebbe creare un interscambio tra la via d’acqua percorribile, il centro pedonalizzato e il traffico degli  autoveicoli attraverso la tangenziale alla città. Questa é la mia proposta innovativa, quella di recuperare e concludere il famoso “anello olimpico”. Già al tempo delle Olimpiadi del ’60 era iniziata la famosa Via Olimpica che non é stata mai terminata nella zona che va dal Trionfale alla Circonvallazione Gianicolense. Questo anello stradale su sede propria avrebbe uno sviluppo complessivo di 25 Km. Con questo progetto si torna a formulare una circolazione senza inserimenti a raso, speculare e sovrapposta a quella già esistente. E’ inutile proibire l’automobile, bisogna ipotizzare un uso integrato della stessa con ampi centri di servizi attrezzati, forniti sia di parcheggi, sia di nodi con il metrò esistente, sia di collegamenti con nuovi metrò leggeri, convergenti verso il centro della città. E questoanello e la via d’acqua percorribile darebbero una seconda giovinezza al centro storico.

Il completamento dell’anello olimpico, in definitiva, servirebbe ad arginare l’afflusso veicolare verso il centro storico di cui dovrebbero essere esaltati gli aspetti turistici con la massima pedonalizzazione possibile, assistita da minibus elettrici e da interscambi con vecchi e nuovi metrò. In questo quadro la navigabilità del Tevere non aspira a risolvere il problema del traffico cittadino, potendo prestarvi solo un aiuto limitato, ma offrirebbe non solo per gli stranieri, un’ulteriore attrattiva turistica soprattutto restituendo un fiume fruibile e pulito alla vita della Capitale, com’è sempre stato nei secoli passati.

 

Quali sarebbero i costi di realizzazione di questo progetto ?

Non mi sembra di aver parlato di opere faraoniche: il collettore largo 3 metri e lungo di 27 chilometri, così come la realizzazione delle chiuse e dei punti di approdo costerebbero complessivamente molto meno di due chilometri di metropolitana pesante, il cui costo chilometrico è di 250 miliardi

 

Nell’ambito di questo progetto, che ruolo avrebbe Castel Sant’Angelo, attualmente al centro dell’attenzione per il sottopasso che lo dovrebbe superare?

“Ho sempre espresso i miei profondi dubbi sulla realizzabilità di questa contestatissima opera. Preferirei valorizzare questo bellissimo complesso sul Tevere utilizzandolo come ingresso al Vaticano e San Pietro, creando nella sua area l’approdo che ho chiamato di Adriano. Sarei del parere di interrompere definitivamente il traffico sul Lungotevere di Castello per incanalarlo alle spalle di Castel Sant’Angelo, attraverso un sottovia che da Piazza della Libertà sfociasse poco dopo l’Ospedale Santo Spirito. Si consentirebbe così l’espansione di una vasta area pedonalizzata “protetta” che potrebbe andare da Piazza San Pietro al Castello e, attraverso Ponte Sant’Angelo, fino nel cuore del quartiere Risorgimento.

Castel Sant’Angelo é stato un punto molto delicato e vulnerabile quando sono stati costruiti gli assi veicolari del lungotevere. L’antico impianto aveva una fortificazione esterna a forma pentagonale, a stella; i due bastioni a picco sul fiume sono stati tagliati per far posto ai muraglioni. Anche uno dei bastioni interni, quello di San Giovanni, è stato bruscamente amputato: immolato alla costruzione del lungotevere di Castello. Noi, infatti, oggi attraversiamo con le auto quella che era una parte interna del Castello.

Sono sparite, in questa operazione, le punte dei bastioni, la porta del Buratti e una parte del Muro di Urbano VIII. L’antico monumento funerario dell’imperatore Adriano fu trasformato prima, ai tempi dei barbari, in roccaforte, poi in vero e proprio castello-residenza con Papa Borgia e, infine, in avamposto militare sicuro e cassaforte di tesori e archivi. Perduta la sua funzione di rifugio, è stato trasformato in museo. Se noi riuscissimo ad escludere il traffico di attraversamento del centro storico, costruendo un robusto assetto di sistemi pedonali e di aree attrezzate per lo sviluppo internodale, potremmo recuperare parti significative di queste opere d’arte a suo tempo amputate restituendo alla città il castello e le sue proporzioni architettoniche di bellezza irripetibile. Se poi si attuasse l’intero sistema di mobilità da me proposto, la città di Roma potrebbe diventare una metropoli moderna ed efficiente, riportando contemporaneamente in vita tutta la sua storia millenaria. Un caso unico al mondo.”

 

“che il buon’ Architetto (Bernini) in materia di fontane, ò di lavori sopr’acque, doveva sempre procurar con facilità la veduta di esse, ò nel cader che fanno, ò nel passare: poiché essendo le acque di gran godimento alla vista, con impedirla, ò con difficoltarla, toglie à quelle opere il loro pregio più dilettevole.”

(Carlo Cartari, diario, 1668)

 

“I goti che stavano al presidio di Roma tostoché seppero come Narsete (anno 552) coll’esercito romano marciasse contro di loro si apprestarono a fare ogni possibile resistenza. Quando Totila prese Roma la prima volta (546), molti edifizi della città aveva incendiato: per ultimo, riflettendo che i goti, ridotti in pochi, non sarebbero ormai in grado di custodire tutta quanta la cinta di Roma, cinse con una bassa muraglia una piccola parte della città presso il sepolcro di Adriano, e congiuntala colle mura già esistente formò una specie di Castello.”

(Procopio, IV – 33)

 

“… Questo Castello comunica con palazzo Vaticano mediante un lungo corridore coperto, e sostenuto da vari archi, fatto a tempo d’Alessandro VI, perché dall’uno all’altro luogo potessero i Pontefici in qualunque occorrenza comodamente, e con tutta la sicurezza passare.”

(Mariano Vasi Romano, Itinerario istruttivo di Roma, 1794)

 

“Questa torre é fondata su una pianura, ma spicca verso il cielo su tre piani… La vasta area che gli é vicina si presta ad un’opera campale, e da ogni lato c’é la difesa di un fossato aperto. Su questa pianura  vasta e aperta, presso cui scorre il Tevere che la bagna, si innalza la mole con forma diversa, ma con identico marmo, ed il suo cerchio corre all’intorno come se avesse misurato il cerchio del mondo.”

(Rangerio, Vescovo di Lucca, 1090).

 

“Bonifacio IX ridusse quella fabbrica (il mausoleo), nel modo che si vedeva prima che Pio IV mettesse mano al grande accrescimento et fortificatione di quello, il quale tuttavia va con gran prestezza accostandosi alla sua perfettione, circondandolo d’ogn’intorno con profonde e larghe fosse, con torrioni et muraglia: la quale havendo abbracciato molto sito lo farà parere miracoloso, et per le necessarie difese, che ivi con grande intendimento si veggono ordinati, et per la beltà delle forti muraglie.”

(Bernardino Gamucci, Antichità di Roma, 1565)

 

“Currevano Anni Domini 1310 de Pontificato de Papa Chimento, nella citate de Roma crebbe lo fiume, lo quale si dice Tevere, et fu per sio crescere de acqua uno diluvio mortifero, et maraviglioso in tale muodo, che pochi anche suelli se ricordassino essere stato lo simile. Tutta la state passata operse Dio le cataratte dello cielo, e mannao acqua spessa, e foita non granne. Ma puoi nello autunno recoite le uve comenzanno dalla festa de Onniasanti parze, chelle fontane dell’Abisso fossino operte per vomacare acqua. All’hora comenzao lo Tevere à crescere dell’acqua, la quale terrivilemente iessiva li termini usati dello lietto dello sio canale.

“In prima la piazza de S. Maria Retonna era tanto piena, che per nulla via per essa se poteva ire, ne à pede ne à cavallo; anche nella contrada del Santo Agnilo Pescivennolo venne l’acqua fì alla contrada delli Judei da priesso a l’arco, lo quale vao alla piazza delli Savielli. Anche in Colonna pervenne l’acqua fì allo folzerace, lo quale stao à Santo Andrea in Colonna. Anche porta dello Puopolo notava per tale via, che per nullo muodo ad essa si poteva ire. Item lo campo dell’Austa tutto staeva pieno”.

(omissis)

“Questa superchia acqua consumao e defocao tutti li cuolli, elli seminati, che trovao e, sorrenao tutte le vigne de creta e scarponò li arvori dalle radìcina, e deo per terra muri, et case affocao vestiame”.

(“Dello grannissimo Diluvio et piena de acqua” 1310 Anonimo)

 

“Il biondo Tebro, incanalato tra quelle muraglie calcaree, senz’armonia e varietà alcuna d’arte, spoglio d’ogni vaghezza naturale e pittoresca, in onta a tutto il suo fasto e, peggio, ai 100 milioni che costa, sembrerà non altro che un gran chiavicone a ciel sereno”.

(Costantino Maes, 1893)

 

“Le manca un vago, ed arioso passeggio per l’estate, e potrebbe averlo facilmente, se si radessero tutte quelle case, che lungo il Tevere si frappongono da Ripetta a Ponte Sant’Angelo. Che amena sponda diverrebbe quella, se fosse ornata di doppi viali d’alberi interrotti da fontane, da colonne, con una corona di case più maestose e dilettevoli, quante ora sono ordinarie ed abbiette! E quell’ammasso di catapecchie, che dalla mole di Adriano ingombra il più superbo tempio del mondo? Colla distruzione Roma diverrebbe veramente la regina di tutte le città, e niun altra potrebbe farlo facilmente, poiché due buoni terzi del suo circuito restano vuoti”.

(“Principij di architettura civile” Francesco Milizia,1785)

 

Nota: pubblicato su “La rivista dei Curatori Fallimentari” gennaio/marzo 1997

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