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NOTE E DIBATTITI – GENNAIO/MARZO 99 – PAG. 61

 
 


Limitazione alla soddisfazione dei creditori del fallimentoDue voci a confronto su par condicio e privilegio dei crediti da lavoro


L•A • Q•U•E•S•T•I•O•N•E

Il sistema fallimentare offre una serie di strumenti diretti a tutelare e comporre l’insieme di interessi scaturenti dalla crisi economica dell’imprenditore. Le procedure concorsuali, quindi, soddisfano molteplici interessi, quali quelli del debitore, dei terzi per i rapporti pendenti al momento della dichiarazione di fallimento, nonché un più generale interesse pubblico al corretto svolgimento della procedura fallimentare alla quale, una volta incardinata – d’ufficio o ad istanza di parte – non è più possibile rinunciare.
Il soddisfacimento dell’interesse generale si realizza in particolare, nel fallimento, attraverso l’eliminazione della impresa che ha male operato (salvo i casi in cui sia possibile il suo risanamento attraverso il ricorso ad altre procedure concorsuali) e la completa liquidazione del patrimonio del fallito, a vantaggio dei creditori, nel rispetto della par 
condicio.
Il principio della parità di trattamento fra i creditori, che trova ampia applicazione nell’espropriazione disciplinata dal codice di procedura civile, riceve nel sistema fallimentare una più efficace attuazione.
Infatti, rispetto agli strumenti offerti dall’istituto comune, il ricorso alle procedure concorsuali consente un “processo  simultaneo” con la partecipazione reale di tutti i creditori, permettendo a questi un contraddittorio interno e di verifica della validità delle rispettive richieste.
L’art. 52 L.F. si pone, quindi, come uno dei pilastri fondamentali del sistema fallimentare prevedendo che tutti i creditori, aperto il concorso sul patrimonio del fallito, devono far accertare i loro crediti secondo le procedure previste dalla legge fallimentare “salvo diverse disposizioni di legge”.
Inoltre, gli artt. 51 e 107 L.F. sanciscono l’assorbimento di tutte le procedure esecutive in corso sui beni compresi nel fallimento, sempre “salvo diverse disposizioni di legge”, quali quelle relative all’espropriazione degli istituti di credito fondiario ed all’esecuzione esattoriale. Pertanto, la dichiarazione di fallimento dovrebbe consentire ad ogni creditore di vedere realizzato il proprio diritto, quale posizione giuridica soggettiva riconosciuta meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. In realtà, tuttavia, il diritto del creditore viene a subire sin dall’inizio delle forti limitazioni: quanto ai beni del debitore che vengono sottratti alla soddisfazione dei creditori quando hanno una diretta destinazione alla persona del fallito o dei suoi familiari (beni personali, alimentari); quanto ai beni di cui il debitore si è spogliato precedentemente alla dichiarazione di fallimento e per i quali il curatore non sempre può agire in revocatoria al fine di ricostituire il patrimonio, poiché l’art. 67 L.F. esonera da tale azione alcuni Enti.
Lo scopo satisfattivo risulta, inoltre, più compresso dalla stessa necessità di assicurare  medesima tutela ad altrettante richieste creditorie, in ragione della natura del credito a fronte di un patrimonio spesso incapiente. Costituiscono limitazioni alla realizzazione del credito, le cause legittime di prelazione quali i privilegi, il pegno e le ipoteche che rappresentano una vera e propria deroga al principio della par condicio creditorum.
Gli sporadici interventi del legislatore e quelli più numerosi della Corte costituzionale, volti ad adeguare la legge fallimentare alla nuova realtà socio economica, hanno puntualmente vanificato l’obiettivo precipuo del sistema e cioè il soddisfacimento paritario dei creditori, anteponendo alcuni interessi ritenuti più meritevoli di tutela. 
Evidenti esigenze conservative (rectius: corporative), hanno comportato interventi spesso settoriali (se non addirittura occasionali) ed hanno reso sempre più difficile l’attuazione del principio di uguaglianza tra i creditori che, sancito dal codice civile all’art. 2741, risulta più volte violato.
Tra dubbi, lacune ed incertezze, innovativa si pone la sentenza  n. 1/1998 della Corte costituzionale che, dopo aver richiamato le proprie precedenti decisioni in materia (sent. n. 84/1992 – 40/1996), ha dichiarato “non manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2751 bis n.2 cod. civ., nella parte in cui tale norma non prevede che il privilegio generale sui mobili sia riconosciuto a tutti i prestatori d’opera e di servizi non aventi natura intellettuale, trattandosi di fattispecie sindacabile rispetto a quella dei prestatori intellettuali (per omogeneità delle categorie di soggetti e di crediti) ed oggetto di necessaria parificazione”.
La Corte, recependo la denunciata disparità di trattamento – in riferimento agli artt. 3 e 35 Cost. – che l’art. 2751 bis n. 2 cod. civ. determinava tra i prestatori d’opera a seconda della natura, intellettuale o non, dell’opera o del servizio prestato, ha riconosciuto la violazione del principio della tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
La norma, quindi, con l’aggettivo “intellettuale” poneva una limitazione nell’ambito del privilegio, contraddicendo il principio generale secondo cui il privilegio deve essere accordato a determinati crediti e non a determinate persone.
L’elemento soggettivo, se pur rilevante, nello spirito della norma citata,  trovava e trova il suo naturale presupposto nel dettato costituzionale che intende privilegiare il lavoro in qualsiasi forma esplicata, riconoscendo che tutti i lavoratori autonomi, traendo dal proprio lavoro i mezzi di sostentamento sono meritevoli – per i loro crediti – della più completa tutela prevista dalla legge per i lavoratori dipendenti.
La pronuncia della Consulta, segue una significativa evoluzione dell’interpretazione.
Si ritiene, però, che la strada da percorrere sia ancora lunga, poiché il nodo sciolto dalla Corte costituzionale, nel privilegiare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, lascia irrisolti alcuni dubbi nell’ambito della medesima norma.
Non si comprende perché, a questo punto, l’art. 2751 bis, debba continuare a differenziare l’estensione ed il grado del privilegio (per alcuni con un limite temporale), se le categorie di lavoratori ivi indicate hanno – è vero – una posizione pur sempre riconducibile ad un solo denominatore e, cioè, la tutela del lavoro.
In particolare, non si comprende il divario esistente fra i lavoratori subordinati e quelli autonomi, addirittura con il limite del biennio per quest’ultimi.
È, infatti, possibile affermare che il carattere differenziale del credito, che trovava le sue ragioni nel fatto che il lavoratore dipendente, in caso di insolvenza del proprio datore di lavoro, veniva ad essere privato dell’unica fonte di reddito, mal si coniuga con l’evoluzione ed il mutamento verificatosi negli ultimi anni nel mondo del lavoro. E’ ormai frequente il caso di  lavoratori autonomi che traggono il loro unico sostentamento da un’unica grande  impresa.
In conclusione, può ancora dirsi che le procedure concorsuali, privilegiando quale valore preminente il soddisfacimento dei creditori, lo attuano nel rispetto della par condicio?

d•i • a•l•e•s•s•a•n•d•r•a • s•a•n•s•o•n•e•t•t•i


L•A • P•R•O•S•P•E•T•T•I•V•A
 

L’esposizione fin qui svolta si è conclusa con un interrogativo, che però non è il solo che si desume dalla prospettazione che lo precede.
Da una attenta lettura del testo si evince infatti che le questioni sollevate sono sostanzialmente tre, anche se fra loro evidentemente connesse, e cioè : una prima relativa alla carenza di un sistema che, pur essendo articolato nella prospettiva di un soddisfacimento dell’interesse dei creditori, consente un trattamento di favore per la realizzazione di alcuni crediti, e fra questi quelli maturati per prestazioni di lavoro; una seconda, concernente la razionalità delle scelte effettuate dal legislatore laddove a fronte di situazioni omogenee ha delineato discipline non coincidenti; una terza, vale a dire quella esplicitamente formulata, attinente la compatibilità della normativa attualmente vigente con gli obiettivi di equa ripartizione del pregiudizio fra tutti i creditori, che pur si intendeva perseguire. Va subito detto in proposito che il legislatore del 1942, fra i vari interessi astrattamente tutelabili, ha ritenuto più meritevole quello del buon funzionamento del mercato, con l’inevitabile conseguenza della eliminazione della struttura non competitiva, e ciò anche in pregiudizio di altri diritti o interessi pur riconosciuti dall’ordinamento.
Tuttavia è evidente che la posizione dei lavoratori inseriti nell’impresa non è equiparabile a quella degli altri creditori poiché in quest’ultimo caso si tratta soltanto di recuperare nei limiti del possibile somme di denaro, e quindi un qualcosa di cui, sia pure con qualche sacrificio, si può fare a meno, mentre per quanto riguarda l’altro credito è agevole rilevare come il coinvolgimento personale del titolare sia ben diverso rispetto a quanto si verifica per gli altri creditori, poiché l’espletamento dell’attività lavorativa è espressione di una soggettività che incide pesantemente, come causa ed effetto ad un tempo, sulla stessa vita di una persona.
Insomma è chiaro che siamo ben oltre la semplice constatazione dell’esistenza di un credito, e ciò spiega la tutela rafforzata del diritto in tale ipotesi, proprio perché derivante dalla prestazione d’opera nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato.
Naturalmente il quadro sociale preso in esame dal legislatore è quello che si offriva alla sua attenzione nel 1942.
Peraltro occorre considerare che accanto al fenomeno dell’espansione della grande impresa che ha dato poi luogo ad interventi normativi di altra natura finalizzati a riequilibrare eventuali sbilanciamenti economico- finanziari che si fossero determinati (si pensi ad es. all’amministrazione straordinaria), si è gradualmente manifestato un significativo incremento dei crediti di lavoro autonomo. Ciò si è verificato a causa di una diversa organizzazione dell’attività lavorativa, in gran parte imputabile ad un sensibile ridimensionamento numerico delle medie imprese e, soprattutto, ad un rilevante aumento dell’attività strumentale finalizzata alla prestazione dei servizi, attività che ben può essere svolta al di fuori dello schema tipico del lavoro subordinato.
L’espansione dei diversi moduli organizzativi cui si è fatto riferimento ha posto dunque il problema di una estensione della tutela anche in relazione a posizioni che, per la loro modesta incidenza quantitativa, non avevano fatto sorgere perplessità sulla ragionevolezza di un sistema che privilegiava, con discipline di settore più favorevoli, alcune posizioni rispetto ad altre pur qualitativamente omogenee. Espressione di questa tendenza per l’appunto può essere considerata da ultimo la sentenza n. 1 del 29 gennaio 1998 della Corte costituzionale, con la quale si è dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 2751 bis n. 2, nella parte in cui diversamente da quanto avviene per il lavoro subordinato, limita il privilegio esclusivamente alle prestazioni di opera intellettuale. 
Se queste sono le premesse, però, deve ragionevolmente ritenersi che in prospettiva le posizioni di “tutela rafforzata” sono destinate ad ampliarsi, e ciò sia per l’evidente tendenza ad una maggiore considerazione di profili socialmente rilevanti (salvataggio delle imprese in crisi, interventi in difesa del mantenimento dei posti di lavoro, solo per ricordare aspetti certamente particolarmente significativi) che per l’effetto di trascinamento che ne consegue sotto il profilo di assicurare ragionevolezza al sistema e parità di trattamento fra gli associati. A questo punto però c’è da chiedersi – e arriviamo al terzo interrogativo formulato – se ha ancora senso individuare il principio della par condicio dei creditori come parametro di riferimento principale della legge fallimentare.
Non è certamente questa la sede per affrontare una articolata trattazione sul tema. Tuttavia, a parte alcune violazioni che di fatto si sono determinate, quale ad esempio quella del creditore più forte che proprio in ragione del suo maggior peso si garantisce il recupero con le fideiussioni personali dei soci abbienti (si pensi ad esempio alle fideiussioni omnibus), non possono non registrarsi significativi esempi di segno opposto rispetto al parametro formale, pur rimasto inalterato, individuabile nell’identico diritto di tutti i creditori alla soddisfazione dei crediti vantati.
Basti pensare ad esempio, in questa ottica, alla valorizzazione dell’amministrazione controllata, che offre una possibilità di salvataggio dell’impresa in virtù della continuazione della gestione, con la conseguente prededucibilità dei crediti sorti durante tale fase ed il sostanziale svuotamento della posizione dei chirografari ; ai diversi interventi legislativi finalizzati a favorire la permanenza sul mercato di alcune imprese pur in gravi difficoltà (il riferimento va alla legge n. 391/1978, alla legge n. 787/1978, sui consorzi bancari); alla istituzione dell’amministrazione straordinaria (L. n. 95/1979, c.d. legge Prodi).
E’ con quest’ultima legge in particolare che si formalizza il contrasto tra finalità risanatorie dell’impresa e scopo satisfattivo dei creditori, contrasto che per la prima volta viene istituzionalmente e fisiologicamente composto in favore delle prime, con effetti di dubbia costituzionalità, fra l’altro, con riferimento al disposto dell’art. 24, 1° comma, della Costituzione.
Occorre dunque prendere atto che, al di là dei dati formali rimasti apparentemente inalterati, si è affiancata alla normativa esistente una disciplina sorretta da logiche assistenzialiste, che per non essere dettata da un disegno di ampio respiro finisce per non incidere in modo equo su una corretta distribuzione dei costi sociali, e determina anzi irragionevoli privilegi e disparità fra i consociati.
C’è da augurarsi pertanto che si pervenga quanto prima ad una rivisitazione complessiva della situazione esistente e ad una rielaborazione dell’istituto dell’amministrazione straordinaria, che consenta un coordinamento razionale ed equilibrato dei vari interessi che il legislatore intende riconoscere e tutelare.
Sotto questo riflesso il decreto legislativo che dovrà prossimamente essere emanato per il riordino della disciplina dell’amministrazione straordinaria, in attuazione della legge 30 luglio 1998 n. 274, rappresenta un momento importante per una attenta riflessione e la individuazione delle soluzioni più razionali, nella prospettiva di un bilanciamento dei vari interessi oltre che di una riaffermazione sostanziale del principio della par condicio, pesantemente messo in discussione, come visto, dai mutamenti cui si è fatto cenno.

d•i • c•a•r•l•o • P•i•c•c•i•n•i•n•n•i
 

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