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GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA’ – Sull’onere probatorio nella revocatoria contro il subacquirente – Numero unico 2000 – Pag. 79

 
 

con nota di S. JanariCorte di Cassazione – Sez. I – N. 09271/99 – 21 Gennaio 1999 – Pres. Grieco – Rel. Losavio – Savastio Tommaso Umberto, ricorrente, (Avv. L. Walter Iannella) c. Aurora Assicurazioni S.p.A., controricorrente, (Avv.ti Enrico Romanelli e Carlo Fogliano) c. Curatela del Fall.to Di Sabato Luigi, Casolaro Rosaria, intimati.

FALLIMENTO – REVOCATORIA FALLIMENTARE ED ORDINARIA – ONERE PROBATORIO DEL
CURATORE NEI CONFRONTI DEL TERZO SUBACQUIRENTE (art. 67 R.D. 16 marzo 1942 n. 267, 2901 e
2697 c.c.)

L’azione revocatoria che il curatore può esperire nei confronti del terzo subacquirente si fonda sull’art. 2901 c.c. e non
sull’art. 67 L.F., le cui condizioni sono applicabili solo nei confronti dell’acquirente. Consegue che la presunzione di
conoscenza dell’insolvenza di cui all’art. 67, 1° comma, L.F. non è applicabile nei confronti del subacquirente ed
incombe sul curatore l’onere di provarne la malafede che consiste nella consapevolezza delle circostanze che, ai sensi
della legge fallimentare, rendevano revocabile l’atto originario compiuto dal fallito. (1)

(omissis…)

3.Fondato è il primo motivo del ricorso che critica la decisione di merito per avere la sentenza impugnata – confermando
quella di primo grado – accolto, sul fondamento dell’art. 67, n.1, L.F. , la domanda del curatore proposta nei confronti
del terzo subconcessionario Savastio quando, invece, la domanda stessa doveva essere qualificata come revocatoria
ordinaria ex art. 2901 c.c. e decisa con riguardo al diverso regime della prova in ordine alla malafede del terzo, non
essendo a lui estensibile la presunzione di cui all’art. 67, primo comma, L.F. e spettando, invece, al curatore provare la
consapevolezza del terzo stesso quanto alla revocabilità del primo atto di cessione, fatta dunque applicazione del
disposto di cui all’art. 2901, ultimo comma, c.c.

La corte di merito ha, infatti, esplicitamente confermato la decisione di primo grado nel punto in cui il Tribunale aveva applicato
la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza di cui all’art. 67, primo comma, L.F., ne ha condiviso l’affermazione
secondo cui “la presunzione stabilita da tale disposizione vale anche nei confronti del subacquirente che – come nella specie – ha
acquistato a titolo oneroso dal terzo, a sua volta acquirente a titolo oneroso dal fallito” e ha giudicato, infine, che il Savastio non
avesse vinto la presunzione, limitandosi ad addurre di avere pagato un corrispettivo – pari a lire 70 milioni – adeguato
all’effettivo valore del credito ceduto.

Palese è, dunque, l’errore dei giudici di appello che hanno fatto applicazione analogica del disposto eccezionale di cui all’art.
67, primo comma, L.F. (che, contro il principio generale di cui all’art. 2967 c.c., pone a carico dell’”altra parte” – diretto avente
causa dal fallito – la prova della ignoranza dello stato di insolvenza di questo), estendendo la presunzione anche a carico del
terzo avente causa dal contraente immediato del fallito.

Sulla questione già si è espressa questa Corte con la sentenza n. 1066 del 1976 e con la più recente n. 2423 del 1996 (in
Diritto Fallimentare, pag. 518, II, 1997, Fallimento pag. 368, 1997, Giust. Civ. pag. 189, I, 1997) riconoscendo che, se
è vero che la revocatoria ordinaria e quella fallimentare presentano identità sostanziale e funzionale (come è confermato dalla
norma di collegamento di cui all’art. 2904 c.c. che opera il rinvio alle disposizioni sulla revocatoria in materia fallimentare e dalla
norma speculare di cui all’art. 66 L.F.), è pur vero che l’art. 67 L.F. non coinvolge direttamente nessun altro soggetto che non
sia il destinatario di un atto del fallito o il partecipe del negozio intervenuto con il debitore insolvente. Sicché, nel silenzio della
norma speciale in ordine alla sorte dei diritti dei subacquirenti, soccorre la disciplina generale in materia di revocatoria ordinaria
che all’art. 2901, ultimo comma, c.c. fa salvi i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede. Con la conseguenza che
al curatore è data l’azione revocatoria verso i terzi subacquirenti (sul necessario presupposto della revocabilità – inefficacia
dell’atto posto in essere dal debitore insolvente), ma le condizioni di tale azione non sono poste dall’art. 67 L.F., bensì
dall’ultimo comma dell’art. 2901 c.c.. E poiché da questa norma si ricava, con argomento a contrario, che i terzi di mala fede
subiscono l’effetto pregiudizievole della inefficacia dell’atto intervenuto tra il debitore ed il suo avente causa diretto; e poiché la
malafede del terzo consiste nella consapevolezza dei vizi di revocabilità dell’atto originario, ne discende che se quest’ultimo sia
revocato ex art. 67 L.F. la malafede deve individuarsi nella consapevolezza delle circostanze che, ai sensi della legge
fallimentare, rendevano revocabile l’atto compiuto dal fallito. Posta, dunque, la netta distinzione tra il presupposto soggettivo
della revocatoria fallimentare ex art. 67, primo comma, L.F. limitata all’atto compiuto dal debitore insolvente e quello della
revocatoria degli atti consecutivi sul fondamento dell’art.2901, ultimo comma, c.c., la presunzione dell’art.67, primo comma,
non si estende ai subacquirenti e la dimostrazione della consapevolezza da parte del terzo della revocabilità del primo atto (la
mala fede) costituisce onere probatorio del curatore secondo la regola generale dettata dall’art. 2967 c.c. (dovendo l’attore
provare tutti i requisiti pure soggettivi, della sua pretesa) cui non introduce eccezione il disposto di cui all’art. 2901 c.c.. Accolto
il primo motivo del ricorso (e rimasto assorbito il terzo relativo al regolamento delle spese del giudizio), la sentenza impugnata è,
conseguentemente, sul punto cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari che riesaminerà il merito della
controversia adeguandosi al principio qui sopra enunciato (nel senso, cioè, che grava sul curatore l’onere della prova in ordine
alla “malafede” del terzo subacquirente dall’immediato avente causa del debitore insolvente, consistendo la malafede nella
consapevolezza dei vizi di revocabilità ex art. 67 L.F. dell’atto originario).

Nota di Saverio Janari

(1) La sentenza in esame conferma la già consolidata giurisprudenza della Suprema Corte in tema dell’onere, posto a carico del
curatore, della prova circa la conoscenza dello stato di insolvenza. La prova dovrà necessariamente -come in giurisprudenza già
sostenuto (vedasi Cass. n. 11060/98 e n. 7757/97)-, consistere non nella semplice conoscibilità, ma nella concreta
consapevolezza dell’insolvenza del debitore. Sul punto anche la dottrina, vedasi Guglielmucci, Effetti sugli atti pregiudizievoli
per i creditori in D. fall., coordinato da Lo Cascio, Milano,1996, 641., e Candiotto La conoscenza dello stato di insolvenza,
Milano, 1995, risulta essere patricamente univoca.

La sentenza in oggetto, esaminando il caso, particolare, in cui si verifichi una doppia cessione, afferma che grava sul curatore
provare la consapevolezza del terzo acquirente con riferimento alla revocabilità del primo atto di cessione.

Tale onere probatorio a carico del curatore, è riconducibile al generale disposto dell’art. 2697 c.c. per cui grava sull’attore la
prova in ordine all’esistenza, nella fattispecie, di tutti i requisiti della sua pretesa. La Suprema Corte affermando che, nel caso di
una doppia cessione, con riguardo ai diritti dei terzi subacquirenti, nel silenzio della norma dell’art. 67 L.F., si applica
automaticamente la norma generale dell’art. 2901 c.c. (sono salvi i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona
fede), ne deduce che i terzi in malafede, invece, subiscono il pregiudizio dell’inefficacia dell’atto intervenuto fra il debitore ed il
suo avente causa diretto. La cosiddetta malafede del terzo subacquirente consisterà nella consapevolezza dei vizi di revocabilità
dell’atto originario. Se, infatti, l’atto originario viene revocato a norma dell’art. 67, L.F., la malafede del terzo si deve
necessariamente inquadrare nella consapevolezza, e non nella potenziale conoscibilità, di tutte quelle circostanze che rendono
revocabile, secondo la legge fallimentare, l’atto compiuto dal fallito.

Concordemente giurisprudenza e dottrina sostengono che tale prova dell’effettiva conoscenza da parte del terzo dello stato di
insolvenza è condizione indefettibile per la revoca di tutti gli atti previsti dal secondo comma dell’art.67, L.F.. Nella parte motiva
della decisione, la Suprema Corte ribadisce il principio, ormai consolidato in giurisprudenza (Cass. n. 5742/93 in Fallimento,
pag.1138, 1993 e n. 8234//87in Fallimento pag. 196, 1988 ed in diritto Fallimentare pag. 213, II, 1988), che la prova
gravante sul curatore può essere data anche mediante la dimostrazione dell’esistenza di circostanze che siano in grado di
determinare la conoscenza dello stato di insolvenza in un soggetto di normale prudenza ed avvedutezza. Oltre a confermare
l’orientamento vigente in dottrina e giurisprudenza in ordine all’onere gravante sul curatore, la sentenza esaminata offre lo spunto
per raffrontare e porre in relazione le due azioni revocatorie, fallimentare ed ordinaria. Sul punto le due azioni, come affermato
nella sentenza, pur presentando identità sostanziale e funzionale, si pongono in un rapporto di speciale, quella fallimentare, a
generale, l’ordinaria. La Suprema Corte afferma che, con riguardo ai diritti dei terzi subacquirenti, nel silenzio della norma
speciale, si applica automaticamente la norma generale dell’art. 2901 c.c. (sono salvi i diritti acquistati a titolo oneroso dai
terzi di buona fede).

Il presupposto di tale revocatoria verso questi ultimi si fonda sulla revocabilità ed inefficacia del primo atto di cessione del
debitore insolvente e sulla conoscenza degli estremi della revocabilità del primo atto in capo al subacquirente.

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