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IL PROCESSO A CAGLIOSTRO

 
 

IL PROCESSO A CAGLIOSTRO - alchimista, mago, astrologo
Nell’anno del Signore 1743, il giorno 2 giugno, nasceva a Palermo, da Pietro Balsamo e Felicita Bracconeri, Giuseppe Balsamo, che sarebbe in seguito diventato famoso come Conte di Cagliostro, uno dei personaggi più inquietanti e affascinanti della storia e che condusse veramente una “vita spericolata”.

Giovanissimo entrò nel convento Fatebenefratelli di Caltagirone dove apprese le tecniche della farmacopea, ma insofferente dei rigori ecclesiastici, fuggì tornando a Palermo appassionandosi di occultismo, magie e astrologia ed ingegnandosi in una serie di truffe, la prima delle quali ai danni di uno zio. Prese quindi a viaggiare approdando anche a Roma. Qui conobbe Lorenza Feliciani, che successivamente venne chiamata Serafina: era una giovane di rara bellezza e spregiudicatezza, tanto da frequentare la “Napoletana”, una casa di prostituzione clandestina sita in Vicolo delle Grotte, a due passi da P.zza Capodiferro dove ha attualmente sede il Consiglio di Stato. Giuseppe Balsamo la sposò il 20 aprile 1768 nella Chiesa di San Salvatore in Campo che si erge nell’omonima piazza romana, sempre nella zona di Campo de’ Fiori e la portò con sé in lunghe peregrinazioni per il mondo, alla ricerca di sempre nuove occasioni di ricchezza, di protettori ed estimatori, suoi o della moglie, o della salvezza da inseguimenti e persecuzioni.

Alle volte Lorenza si stancava di tanta precarietà e fu così che a Parigi, nel 1773, denunciò per la prima volta Giuseppe al fine di separarsene, su consiglio dell’amante, l’avvocato Duplessis, ma i coniugi fecero presto la pace, riprendendo a viaggiare in lungo e in largo per il mondo.

Dopo l’Europa e l’Africa del Nord, ritroviamo Giuseppe e Serafina a Napoli, provenienti da Malta, assieme al Cavaliere d’Aquino, Viceré di Sicilia e Gran Mastro della Massoneria del Regno di Napoli. Qui si facevano chiamare Marchesi Pellegrini e raggiunsero notevole agiatezza e considerazione provvedendo, lui, ad intrattenere la Corte su argomenti di fisica, chimica, anatomia, botanica e scienze occulte, lei…ad intrattenere la Corte.

Ma anche Napoli dovette essere improvvisamente lasciata per Marsiglia, dove il Marchese Pellegrini dispensava alle dame una prodigiosa acqua di giovinezza.

Dopo un breve soggiorno a Cadice nel 1776, troviamo, muniti di ricchi abiti e gioielli, il Conte e la Contessa di Cagliostro a Londra, in compagnia di un chierico italiano di nome Aurelio Vitellini, che fungeva loro da interprete. Fu in questa città che Giuseppe Balsamo subì il primo importante processo della sua vita. Tutto nacque dalla sua capacità di indovinare, sulla scorta di un calcolo astrologico, i numeri della lotteria di Londra facendo guadagnare parecchi soldi a un tale Scott, alla sua amica Mrs. Fry nonché allo stesso Vitellini. I tre volevano quindi entrare in possesso del libretto su cui Cagliostro conservava le formule astrologiche divinatorie cosicché, non riuscendo ad ottenerlo con le buone, cercarono di ottenerlo attirando Serafina in un tranello. Mrs. Fry offri alla Contessa di Cagliostro una tabacchiera d’oro nel cui doppio fondo aveva messo una collana di brillanti; quindi denunciò Cagliostro della sparizione del gioiello e quando lui, per difendersi, costituì una cauzione di 1000 sterline includendovi anche la tabacchiera d’oro truccata, venne alfine costretto a restituire non solo questa, ma anche la collana ed a pagare tutte le spese finendo sul lastrico.

Ma solo un anno dopo, nel 1778, i Conti di Cagliostro erano ricchi di nuovo, indovinando i numeri della lotteria di Bruxelles cosicché i viaggi poterono riprendere fino a farli approdare alla Corte di Caterina di Russia da dove vennero allontanati, pare, per un conflitto professionale col medico della Zarina: Cagliostro, infatti, guarì un malato che era stato dato per inguaribile.

La capacità di guaritore conquistò a Cagliostro la stima dei coniugi Sarasin, ai quali guarì la figlia a Basilea nel 1781, e che divennero così suoi grandi estimatori.

Dopo altre peregrinazioni per l’Europa, il Cardinale di Rohan convocò i Conti di Cagliostro a Parigi: era la fine del gennaio 1785 e li mise subito a parte di un’abile operazione che gli avrebbe fatto conquistare grande prestigio alla Corte di Versailles, con positivi riflessi anche per i suoi protetti. Il Cardinale rivelò, infatti, di aver appreso dalla Contessa de la Motte che la Regina desiderava acquistare un collier di brillanti che costava una straordinaria somma cosicché doveva procedere senza informarne il Re e la scelta dell’intermediario era caduta su di lui. Il Cardinale spiegò anche che, appena il giorno precedente l’arrivo dei Conti di Cagliostro a Parigi, aveva raggiunto con i gioiellieri della Corona, i Sigg. Bohemer e Bassenge, l’accordo per il pagamento del prezzo in quattro rate di pari importo con contratto sottoscritto personalmente dalla Regina, cosicché egli stesso aveva portato la collana alla Contessa de la Motte scambiandola, appunto, con l’impegno di Maria Antonietta.

A Cagliostro il racconto apparve subito sospetto e anche questa volta indovinò, perché ben presto la firma della Regina risultò falsa, come anche il suo desiderio di avere la collana.

Il 15 agosto 1785 il Cardinale di Rohan fu rinchiuso alla Bastiglia; il 20 agosto fu arrestata la Contessa de la Motte la quale accusò Cagliostro di essersi appropriato della collana; il 23 agosto vennero arrestati anche i Conti di Cagliostro: iniziava così il famoso “processo della collana” da cui Alessandro Dumas padre (1802-1870) avrebbe tratto due dei suoi circa trecento romanzi:“Giuseppe Balsamo” e “La collana della Regina “.

Cagliostro venne assolto con voto unanime del Parlamento; il Cardinale di Rohan venne assolto a maggioranza; la Contessa de la Motte venne invece condannata al carcere a vita e marchiata con la “V”, iniziale di “voleuse”, ladra.

Nonostante l’assoluzione, però, era diffusa l’impressione che fosse stato Cagliostro ad organizzare tutto l’imbroglio e le dicerie si rinfocolarono quando in Inghilterra vennero pubblicate le memorie della Contessa de la Motte che, poco dopo la condanna, era riuscita a fuggire di prigione e che continuava ad accusare Cagliostro.

Sull’argomento si accendevano le discussioni degli innocentisti e dei colpevolisti, e tanto clamore dette forse alla testa a Cagliostro che, una volta uscito dalla Bastiglia, si affacciava dalle finestre della sua casa all’Hotel de Savigny benedicendo la folla dei suoi sostenitori che stazionava notte e giorno.

Il Re dovette intervenire ordinando l’allontanamento di Cagliostro, da Parigi, entro otto giorni e, dal reame, entro tre settimane. Cagliostro riparò in Inghilterra, ma insistette nelle cause intentate contro chi aveva disposto la perquisizione della sua casa di Parigi il precedente 23 agosto (cause che perse) ed indirizzò una “lettera al popolo francese” che gli inimicò definitivamente la Corte di Francia che, probabilmente, era scritta dai suoi avvocati d’Eprèmesnil e Thilorier, i quali perseguivano l’intento di veder abolite le “lettres de cachet’ con le quali chiunque poteva essere arrestato per ordine del Re.

Serafina, che nel carcere della Bastiglia aveva imparato a scrivere, consigliò allora di tornare a Roma e l’idea piacque a Cagliostro che, forse troppo tardi, aveva capito che era tempo di far calmare le acque.

I Conti di Cagliostro arrivarono nella Capitale il 27 maggio 1789 e presero alloggio all’albergo “La Scalinata” in P.zza di Spagna, ma dopo qualche mese, per mancanza di fondi, si trasferirono alla “Casa Conti”, vicino a P.zza Farnese, non distante dai genitori di Serafina. Questa, ormai abituata alla bella vita ed impaziente di riprenderla, tentò ripetutamente di liberarsi del marito il quale, a sua volta, pensò di farla sorvegliare dal suo segretario, il Frate Giuseppe Borri, che, però, venne sedotto lasciandola nuovamente priva di controllo.

L’idea risolutiva che ebbe Serafina fu allora quella di denunciare il marito al Sant’Uffizio per stregoneria e truffa. Il 27 dicembre 1789 il Conte di Cagliostro veniva rinchiuso a Castel Sant’Angelo, ma anche la moglie venne ristretta nel Convento di Santa Apollonia a Trastevere.

Prima di pervenire agli interrogatori, la fase del Processo Informativo venne curata moltissimo e fu la prima volta che poteri tanto ampi vennero accordati nella fase istruttoria, ma fu anche l’ultima perché, con il processo a Cagliostro, si conclusero i giudizi della Santa Inquisizione.

All’Avvocato Fiscale Mons. Berardi, venne affidato il compito di completare la denuncia di Serafina e curare la parte “massonica” del processo; a Mons. Barberi venne affidato il compito di individuare i testimoni.

Furono addebitati a Cagliostro 103 capi di imputazione suddivisi in tre parti:

1) Proposizioni riguardanti la Massoneria:

2) Proposizioni eretiche in materia di fede e di Dio;

3) Delitti comuni.

Concluso il Processo Informativo, Cagliostro venne sottoposto a 43 interrogatori ed a perizia medico-legale per accertare che fosse sano di mente ed evitare così il successivo annullamento del processo: il tutto in assenza dell’avvocato difensore.

Venne redatto l’atto di accusa che permise al Papa Pio VI (Giovanni Angelo Braschi, 1775-1799) di comporre come segue la Santa Congregazione giudicante:

  • Il Segretario di Stato Card. De Zelada
  • Il Card. Antonelli, Prefetto di Propaganda
  • Il Card. Pallotta, Prefetto del Concilio
  • Il Card. Campanelli Prodatario
  • L’Avv. Mons. Libert della Santa Universale Inquisizione
  • Rinuccini, Governatore di Roma
  • Barberi, Avv. con funzioni di Segretario
  • Rovelli, Uditore santissimo
  • Frate Contarini, Consultore del Sant’Uffizio
  • Vincenzo Pani, Commissario della Santa Inquisizione
  • Abate Lelli, Notaio degli interrogatori
  • Abate Cavazzi, Archivista del Sant’uffizio.

La difesa della Chiesa fu affidata a Mons. Domenico Libert.

Avvocati difensori, con i quali poté parlare solo dopo dieci mesi e mezzo di isolamento, furono l’Avv. Mons. Bernardini, difensore d’ufficio, e Mons. Costantini, di fiducia dell’imputato, che lo scelse perché noto come avvocato dei poveri (per quella difesa la parcella pagata dalla Camera Apostolica fu di 300 scudi).

Interessante il testo del:

GIURAMENTO DI SEGRETEZZA DEGLI AVVOCATI DI DIFESA E DI OFFESA DINANZI ALLA SACRA COMMISSIONE GIUDICANTE.

“Io avvocato concistoriale chiamato innanzi al Padre Commissario Generale della Santa e romana Inquisizione dopo avere toccato con le mani il sacrosanto Vangelo di Dio, postomi dinanzi, giuro e prometto di accettare il patrocinio affidatomi dal nostro devotissimo Papa Pio VI° a favore di Giuseppe Balsamo inquisito e carcerato per i motivi di cui è detto negli atti del Sant’Uffizio, di mantenere il segreto con fedeltà e di esercitare la mia opera con sincerità e buona fede al solo scopo di far ammettere le sue colpe e di farlo rinsavire benché io riconosca di essere ingiusta la difesa del denunziato”.

Il processo istruttorio e quello dibattimentale durarono fino al 7 aprile 1791.

Alcuni estratti degli interrogatori e delle arringhe di difesa e di accusa, illustrano ampiamente i risvolti della personalità di Cagliostro e la realtà della giustizia del momento.

 

ESTRATTI DELL’INTERROGATORIO

ACCUSA -…Sua Signoria il Presidente di questa Corte vi ammonisce di dire la verità su quanto già deposto da vostro suocero Feliciani riguardo alle processioni che si effettuano nel periodo delle missioni. Coerente con la vostra vita scellerata avete risposto che sono solo minchionate che si dicono e si fanno solo a Roma.

CAGLIOSTRO -Non sono uso rispondere in questa maniera scurrile……..e poi per un vero cristiano non c’è bisogno né di processioni né di penitenze.

A -…La denunciante Serafina afferma e noi le crediamo che le avete risposto di non voler tenere in camera da letto un quadro rappresentante Gesù Nazareno dicendo che era una buffonata.

C – L’ho fatto togliere dalla camera da letto perché l’eccessiva libidine di Serafina e i modi indecenti con i quali mi obbligava agli atti di matrimonio mi persuasero a non tenere simili immagini in camera da letto. Ho molto rispetto di Dio per tenerlo in camera insieme al vaso degli escrementi.

A -…Sua Signoria pretende che nelle risposte abbiate cattiva intenzione. …Voi mancate dei punti principali della fede perché la vostra vita è piena di errori. A riprova di ciò pretendiamo di conoscere da voi i nomi dei peccati capitali.

C – Visto che lo volete, ascoltateli: avarizia, lussuria, gola, invidia, accidia. Vi bastano?

A – Sua Signoria dichiara la vostra asinità…avete nominato solo cinque dei sette vizi capitali.

C – Perdonatemi di non aver nominato l’orgoglio e la collera,…di proposito non ho voluto pronunziarli per vostro rispetto e timore di offendervi.

A – L’arroganza che dimostrate dimostra la pericolosità della vostra anima.

C – Castigatemi pure, fate quello che volete del mio corpo, a me basta salvare l’anima. Io indirizzo le mie preghiere a Dio, perché credo che sia venuto per redimerci, e se poi non è vero, per me è lo stesso perché indirizzo ancora a lui le mie preghiere. Potete redarguirmi, ammonirmi come vi pare, resterò sempre pertinace alle mie affermazioni di innocenza, che sono la sola verità. Voi non mi piegherete mai, sono e rimango l’irriducibile.

A – Il Tribunale pretende di passare subito ai rimedi de jure et de facto per fargli ammettere quello che si vuole che ammetta?

 

Dopo le “persuasive” di Padre Contarini, Cagliostro ammise le colpe e ritrattò le sue affermazioni.

 

ARRINGA DI MONS. BERNARDINI A DIFESA DI CAGLIOSTRO

 

La difesa di Mons. Bernardini affrontò per primi i delitti religiosi e, trattando della massoneria, riferì che si trattava ormai della cosa più divulgata e più pubblica del mondo, essendo finito il tempo in cui il segreto ed il mistero facevano temere che la massoneria cospirasse contro la religione. Venendo poi alle accuse di inosservanza e disprezzo dei precetti della Chiesa, alle proposizioni contro il clero, alle bestemmie e ai falsi dogmi, Mons. Bernardini contestò la credibilità di Serafina, “…donna, amante, prostituta in quasi tutte le città d’Europa…” ed affermò che Cagliostro, nei suoi venticinque anni di viaggi, non aveva mai subito addebiti per comportamenti contrari alla religione, neppure in Spagna e Portogallo, Paesi di inquisizione vigilante. Ricordò ancora che, giunto a Roma, all’albergo “La Scalinata”, non aveva dato alcuno scandalo e che se solamente a P.za Farnese, presso i parenti della moglie, erano emerse le accuse, vi era la prova della congiura nei suoi confronti più che quella della colpevolezza.

Passando poi alle imputazioni per reati comuni, per i quali nel processo a Cagliostro era stata estesa in via eccezionale la giurisdizione del Tribunale del Sant’Uffizio, Mons. Bernardini si scagliò contro Serafina con inaudita violenza verbale, ricordando al Tribunale le innumerevoli prostituzioni da quelle emerse nel processo della collana a Parigi, ai rapporti con il Marchese Alliata a Roma, rifiutando come un’impostura l’ipotesi che a tanta turpitudine fosse partecipe Cagliostro. Egli affermò che Serafina era una prostituta della specie più volgare, tanto da aver concupito uno dei frati che dovevano assisterla da quando, ormai in Roma, aveva deciso di sottomettersi a Dio Padre Onnipotente ammettendo, più che le sue, le colpe di Cagliostro.

 

ARRINGA DI MONS. LIBERT – PUBBLICA ACCUSA

 

Mons. Libert affronta per prima la questione delle massonerie riferendosi alle sanzioni di cui alle Costituzioni apostoliche di Clemente XII e Benedetto XIV ed affermando che Cagliostro aveva fatto proselitismo iscrivendovi anche Mons. Berardi e suo cognato Antonini, per ciò stesso meritando la pena di morte secondo le disposizioni di legge (in particolare il Bando Firrao).

L’arringa dell’accusa prosegue affermando che la massoneria di rito egiziano propugnata da Cagliostro lo rendeva eretico pertinace, e, quindi, “formale”, anche nell’ipotesi in cui egli avesse creduto che rientrassero nel cattolicesimo le sue proposizioni massoniche, essendosi scagliato contro i rispettabili teologi che avevano censurato il suo sistema. Per tale qualità di eretico, quindi, la pena non poteva essere che quella capitale.

Quanto alle accuse mosse dalla difesa alle virtù di Serafina per screditarla agli occhi del Tribunale, l’Accusa affermò che anche dalle persone più abiette può aversi la verità in giudizio con la sola differenza che i testimoni onesti non hanno bisogno di altro che la loro reputazione per essere creduti, mentre gli altri devono offrire elementi di riscontro alle loro affermazioni.

Al fine di offrire riscontri alle confessioni di Serafina, l’Accusa ricordò che Cagliostro si era scagliata contro di lei solo per il carattere calunnioso della delazione, non perché vi fossero mire sul suo patrimonio cosicché veniva meno il movente dell’avidità.

Si passò poi ad avvalorare le testimonianze rese dal padre di Serafina, dalla cameriera Francesca, dal cognato Antamiù, dal parrucchiere e dalla famiglia Conti per sostenere l’accusa di miscredente ed eretico.

Sul capo d’accusa concernente i delitti comuni, Mons. Libert tornò ad esaltare la testimonianza di Serafina da cui risultava che Cagliostro era sempre stato un truffatore, un impostore immerso in ogni sorta di delitti sin da quando, bambino, era fuggito spesso dal seminario dove doveva istruirsi, abbandonando successivamente l’abito religioso, a riprova della sua miscredenza, dandosi poi ai primi furti ai danni dei parenti, dedicandosi all’attività di falsario e di lenone e dovendo così fuggire da Palermo. L’Accusa riferiva altresì di una carcerazione di Cagliostro a Roma per rissa e della prostituzione della moglie che egli aveva favorito durante tutti i suoi successivi viaggi nel corso dei quali aveva assunto varie identità, ora serie, ora dolci, ora minacciose, qui imponendo, là attentando, poi atterrendo, riuscendo così ad accumulare ricchezze.

Da quei comportamenti, proseguì Mons. Libert, Cagliostro aveva raccolto ovunque odio, venendo espulso dalla Francia e fuggendo dall’Inghilterra. Cacciato dal Re di Sardegna, era approdato a Roma dove la Chiesa, che rappresenta il mondo intero, con la Santa Inquisizione aveva smentito l’impostura svelando quale criminale fosse Cagliostro che meritava di essere estirpato per sempre.

 

Seguì la replica di Mons. Costantini a Mons. Libert. La seconda difesa volle spiegare che l’accusa di pertinacia, da cui derivava quella di “eretico formale”, poteva concepirsi solo percependo l’errore come contrario alla religione cattolica mentre Cagliostro, avendo concepito il suo sistema massonico egiziano nella convinzione che fosse aderente agli insegnamenti di Santa Romana Chiesa, avrebbe, al più, vissuto ostinatamente in un errore involontario.

Mons. Costantini insistette ancora sul carattere calunnioso della testimonianza di Serafina e degli altri testimoni contestando punto per punto le affermazioni di Mons. Libert anche riguardo al capo dei delitti comuni.

 

Da ultimo seguì una brevissima replica di Mons. Libert che insistette per la pena di morte senza speranza di grazia.

 

 

Lunedì 21 marzo 1791 la sentenza fu quella di morte, commutata, per grazia del Santo Padre Pio VI°, nel carcere a vita nella fortezza di San Leo, in Romagna, dove Balsamo morì il 28 agosto 1795.

Lorenza-Serafina Feliciani fu condannata a terminare i suoi giorni nel durissimo Convento di Santa   Apollonia in Trastevere (lo stesso dove due secoli e mezzo prima era stata rinchiusa la Fornarina, amante di Raffaello): aveva 38 anni e non si seppe più nulla di lei.

C’è chi sostiene che Cagliostro non morì a San Leo, ma fu fatto evadere dalla Fortezza da un carceriere che si chiamava Gerolamo Venturini, detto il “Rosso”.

Comunque siano andate le cose, il suo nome resta avvolto nel mistero, dalla nascita fino alla sua morte….E a chi gli chiedeva del suo nome e della sua condizione, usava rispondere: “EGO SUM QUI SUM”.

 

 

PASQUINATE SUL PAPA SOTTO IL QUALE SI SVOLSE IL PROCESSO A CAGLIOSTRO

 

 

Pio VI° (Giovanni Angelo Braschi, 1775 – 1799)

Tomba nella navata destra delle Vecchie Grotte vaticane

Secondo i romani, il numero 6 ha sempre portato disgrazia alla città. Quindi, all’elezione del Papa:

Il sesto all’infelice Roma fu sempre infesto,

ora il colpo di grazia glielo darà Pio Sesto.

 

Siccome non volle piegarsi alle pretese di Napoleone, e morì in esilio, Pasquino scrisse:

Per conservar la fede

Un Pio perdé la sede.

 

 

 

Nota: pubblicato su “La rivista dei Curatori Fallimentari”numero unico 2000

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