PRETURA DI ROMA – Sez. V – Sent. 30 ottobre 1986 – Pret. Tarallo – Ambasciata Rep. Zambia (Avv. Stato) c. Pastore (Avv. R. J. Vannini). 

Competenza e giurisdizione – Giurisdizione su Stato straniero – Esenzione dalla giurisdizione dello Stato straniero – Norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta – Esclusione.

Esecuzione forzata – Esecuzione su beni di Stato straniero – Ammissibilità – Limiti.

Esecuzione forzata – Pignoramento – Pignoramento di somme depositate da ambasciata di Stato straniero presso istituto di credito italiano – Legittimità del pignoramento.

Esecuzione forzata – Esecuzione nei confronti dell’Ambasciata dello Zambia – Mancanza di dichiarazione di reciprocità – Preventiva autorizzazione all’esecuzione da parte del Ministero di Grazia e Giustizia – Necessità – Esclusione.

 

Non è norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta che uno Stato sia sempre e comunque esente dalla giurisdizione di un altro Stato (1).

Il nostro ordinamento, con la l. n. 1263 del 15 luglio 1926, ha riconosciuto in via di principio la possibilità di esecuzione forzata su beni di Stato estero; in base al principio del  ne impediatur legatio, è tuttavia esclusa la possibilità di esecuzione forzata su beni destinati all’esercizio della sovranità dello Stato (2).

Il deposito di somme di denaro presso un istituto di credito da parte di un’ambasciata rende le stesse oggetto di un mero rapporto di diritto privato da cui non traspare alcuna esplicazione di sovranità; tali somme sono dunque assoggettabili a pignoramento (3).

In mancanza di una dichiarazione di reciprocità tra l’Italia e lo Zambia, l’azione esecutiva non è condizionata alla preventiva autorizzazione del Ministro di Grazia e Giustizia (4).

 

La sentenza così motiva:

 

“Svolgimento del processo – Con ricorso deposita il 4 aprile 1986 l’Ambasciata della Repubblica dello Zambia proponeva opposizione avversala procedura esecutiva n. 431/86 contro di essa instaurata dal Pastore C. (in forza di sentenza di condanna pronunciata dal Pretore del lavoro) con pignoramento presso il terzo American Service Bank. L’opponente, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, eccepiva l’impignorabilità delle somme assoggettate ad esecuzione, deducendo la loro immediata destinazione al funzionamento della rappresentanza diplomatica.

“All’udienza fissata per la comparizione delle parti si costituiva il creditore procedente rilevando, in rito, il difetto di rappresentanza processuale della ricorrente e contestando, nel merito, le avverse affermazioni.

“Con ordinanza riservata del 5 giugno 1986 era respinta l’istanza di sospensione dell’opposta procedura (sì che, in sede esecutiva, veniva emessa ordinanza di assegnazione) e all’udienza del 30 settembre 1986, sulle conclusioni sopra riportate, è stato pronunciato il dispositivo.

 “Motivi della decisione – Preliminarmente si osserva che la questione pregiudiziale sollevata dal Pastore sulla rappresentanza processuale dell’opponente Ambasciata non appare coltivata nelle successive difese.

“Si può pertanto solo brevemente ribadire quanto rilevato nell’ordinanza riservata citata in narrativa, e cioè  che per mera materiale omissione, poi sanata, non risultava in primis agli atti il provvedimento presidenziale di autorizzazione all’assunzione, da parte dell’Avvocatura dello Stato, del patrocinio dell’Ambasciata dello Zambia.

“Nel merito, invece, occorre – oltre che confermare – più diffusamente trattare i motivi che hanno determinato il rigetto dell’istanza di sospensione dell’esecuzione e che sono a fondamento del pronunziato dispositivo mediante il quale è stata respinta l’opposizione.

“A tale proposito, riassumiamo innanzitutto le affermazioni in base alle quali la ricorrente Ambasciata deduce la nullità del pignoramento: 1) esiste nel diritto internazionale consuetudinario il principio – comunemente riassunto nel brocardo ne impediatur legatio – secondo il quale deve essere esclusa qualsiasi turbativa al libero espletamento della missione diplomatica; 2) l’ordinamento italiano si è ad esso adeguato prima della Costituzione, con la Costituzione e con le leggi successive. In particolare l’art. 10 Cost. stabilisce che l’ordinamento giuridico italiano “si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”; 3) a tanto consegue che, in ossequio al citato principio, è da escludere la giurisdizione dello Stato italiano nei confronti di quello estero e che, in particolare, non si possono espropriare i beni strettamente indispensabili al funzionamento della missione diplomatica; 4) il principio non è riconducibile a quello della extraterritorialità – inviolabilità dei locali della missione – perché una siffatta “riduzione” renderebbe pleonastiche le disposizioni sull’intangibilità dei beni; 5) di conseguenza anche il denaro non può essere espropriato – pur se depositato presso terzi – e tanto in specie nel caso in esame, essendo il conto corrente bancario espressamente intestato all’Ambasciata e non genericamente alla Repubblica dello Zambia; 6) a nulla rileva la natura del credito potendo forse fare eccezione alla citata regola solo le obbligazioni nascenti da attività commerciali o industriali dello Stato estero. Orbene, così esposta la tesi dell’opponente, passiamo a trattare ognuna di queste affermazioni.

“Ci sembra però opportuno, se pure brevemente, osservare che il diritto internazionale è in continua evoluzione ed è costituito sempre meno dalle norme non scritte, dai principi consuetudinari, dalle c.d. promesse internazionali unilaterali, e sempre più dagli accordi, dai trattati normativi e negoziali, dalle garanzie e dalla codificazione scritta che interviene a sancire regole ben precise di comportamento fra due o più Stati.

“Per quanto riguarda l’Italia, è vero che l’art. 10 Cost. stabilisce che l’ordinamento debba conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, ma è altresì  vero che non parla di adeguamento automatico. La Repubblica, cioè, riconoscendosi membro della comunità internazionale, esprime in questa norma la linea di politica estera che l’Italia vuole seguire e dispone che l’ordinamento debba conformarsi a determinate norme internazionali, se ed in quanto generalmente riconosciute: pone cioè un comando al legislatore perché i principi informatori del suo operato siano aderenti ad esse.

“Né è  poi da dimenticare che il successivo art. 11 stabilisce che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessaria ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

“Per quel che riguarda il diritto positivo in relazione ai citati principi, ci sembra che (anche prima, ma soprattutto) dall’avvenuto della Costituzione l’Italia sia sempre e costantemente attestata sulla linea della reciprocità e dei trattati iscritti.

“Tanto osservato in generale, passiamo al problema particolare delle immunità: a tale riguardo, non è norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta che uno Stato sia sempre e comunque esente dalla giurisdizione di un altro Stato. Non esiste cioè, in campo internazionale un riconoscimento generale della teoria dell’immunità assoluta (dottrina angloamericana), in quanto viene anche sostenuta quella dell’immunità ristretta (dottrina italo-belga).

“Per ciò che concerne il nostro ordinamento, la l. 15 luglio 1926, n. 1263 stabilisce che “Non si può procedere al sequestro o pignoramento ed in genere ad atti esecutivi su beni mobili od immobili, navi, crediti ed ogni altra cosa spettante ad uno Stato estero, senza l’autorizzazione del Ministro per la Giustizia. Le disposizioni suddette si applicano soltanto a quegli Stati che ammettono la reciprocità, la quale deve essere dichiarata con decreto del Ministro”.

“Appare dunque evidente che in Italia:

“1) è riconosciuta in via di principio la possibilità di esecuzione forzata su beni di Stato  estero,

“2) nei casi in cui essa è possibile, l’azione è condizionata all’autorizzazione del Ministro se altrettanto è previsto nello Stato estero per i beni italiani ivi situati.

“Sulla problematica in questione, quindi, il nostro ordinamento ha recepito il principio dell’immunità ristretta e quello della reciprocità.

“A tale ultimo proposito è bene evidenziare subito che non esiste dichiarazione di reciprocità tra l’Italia e lo Zambia, per cui è da escludere che l’azione esecutiva del Pastore fosse condizionata alla preventiva autorizzazione del Ministro di Grazia e Giustizia: nulla  risulta agli atti e nulla al riguardo  ha potuto rilevare la difesa dell’Ambasciata nonostante che il problema sia stato posto dal Pastore fin dalla sua costituzione in giudizio.

“La legge in questione, poi, anche se anteriore all’entrata in vigore della Costituzione, è stata vagliata e ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale con sent. n. 135 del 13 luglio 1963 (salvo che per la parte finale che negava la possibilità di ricorso contro il decreto del Ministro e che qui non interessa) in relazione a più articoli della Costituzione fra  i quali l’art. 10.

“In particolare, infatti, la Corte ha dichiarato che l’art. 10 “non è violato dappoichè nella legislazione e nella giurisprudenza e dottrina dei vari Paesi non vi è concordanza di indirizzi e sistemi relativamente all’esecuzione dai procedimenti conservativi e di esecuzione su beni di Stati esteri che non sono destinati a funzioni attinenti all’esercizio della sovranità”.

“Affermazione, questa, che conferma quanto prima abbiamo detto e cioè che l’immunità assoluta (che vieterebbe l’esecuzione su qualsiasi bene, anche non destinato a funzioni di sovranità, dello Stato estero) non è norma internazionale generalmente riconosciuta  “… non vi è concordanza di indirizzi…”, sì che l. n. 1263 del 1926 (che ammette la possibilità di esecuzione su beni dello Stato estero diversi da quelli destinati a funzioni di sovranità, rifacendosi quindi alla teoria dell’immunità ristretta) non viola l’art. 10 Cost. il quale contempla solo le norme riconosciute dalla generalità dei membri della comunità internazionale.

“Anche la difesa dell’opponente pone l’accento su questa pronuncia per far rilevare che, con essa, la Corte ha escluso che in Italia esista la possibilità di esecuzione forzata su beni destinati all’esercizio della sovranità dello Stato estero. E, a tal proposito, non abbiamo nulla da osservare in contrario: è infatti ben lungi dalle nostre intenzioni negare che esistano il principio della intangibilità di certi beni e quello del ne impediatur legatio: quelle che invece contestiamo (e qui siamo alla questione fondamentale dell’opposizione) sono le conseguenze che ne vorrebbe far derivare l’Ambasciata nel caso di specie, e cioè che oggetto dell’immunità siano anche le somme di denaro depositate presso una banca.

“Premesso che l’ipotesi esula dal regime stabilito nella Convenzione di Vienna (concernente le immunità che fanno capo alla persona dell’agente diplomatico), osserviamo che neanche può rientrare in quello delle immunità derivanti dalla extraterritorialità, condizione giuridica riferibile unicamente ai luoghi ove vengono esercitate le attività diplomatiche di uno Stato.

“Nel caso di specie, invece, il pignoramento è stato eseguito su danaro depositato in banca (quindi fuori dei locali della missione) su conto intestato all’Ambasciata (quindi non alla persona dell’Ambasciatore).

“L’intestazione del conto all’Ambasciata e non alla Repubblica dello Zambia, poi, è circostanza che secondo l’opponente dimostrerebbe l’immediata destinazione di quanto su di esso depositato al funzionamento della missione diplomatica.

“Di contro ci sembra di dover osservare in primo luogo che l’Ambasciata altro non è che la rappresentanza dello Stato estero, in secondo luogo che in base al titolo è proprio essa che risulta l’obbligata, ed in terzo luogo che l’intestazione del conto non significa, di per sé sola, che le somme su di esso depositate siano strettamente destinate a funzioni attinenti all’esercizio della sovranità dello Stato estero, bensì soltanto e semplicemente che si tratta di denaro a disposizione dell’Ambasciata.

“Il deposito di somme presso un istituto di credito, infatti, rende le stesse oggetto di un mero rapporto di diritto privato la cui titolarità, nell’ipotesi di specie, compete all’Ente straniero quale portatore di una comune capacità giuridica: non traspare invero da esso alcuna esplicazione di sovranità, salvo che la si voglia ritenere esistente per definizione, il che è praticamente quanto sostiene l’opponente e che a noi, invece, appare un’astratta petizione di principio.

“Né sembra fuor di luogo, a questo punto, ricordare come ormai vengano di norma pignorate ed assegnate somme di danaro che gli enti pubblici italiani hanno in deposito presso istituti bancari (anche quando funzionanti da Tesorerie): ciò sia in ossequio al principio secondo cui tali somme devono servire a soddisfare non solo i compiti istituzionali dell’Ente ma anche gli obblighi ad essi facenti capo per provvedimenti giurisdizionali, sia per l’evidente difficoltà di dimostrare la destinazione dei depositi ad una specifica esigenza dell’Ente medesimo.

“Eccezioni a questo orientamento – adottato anche dalla Cassazione – si hanno solo quando vengano pignorate somme non genericamente a disposizione dell’Ente, ma esistenti su speciali fondi destinati a soddisfare soltanto determinate voci di spesa.

“Quello che infatti rileva in tali ipotesi, e che è la caratteristica principale dell’opposta esecuzione, è che oggetto del pignoramento siano crediti, vale a dire somme di danaro. Questo è il bene fungibile per definizione, quello che la legge indica come da preferire nel pignoramento, quello rispetto al quale i limiti o le esclusioni di espropriabilità  sono tassativamente indicati, quello che difficilmente può dimostrarsi funzionalmente destinato ad una specifica esigenza.

“Il nostro ordinamento ammette l’espropriazione dei crediti del privato, dell’ente pubblico e, in virtù della legge già citata, dello Stato estero: la non assoggettabilità del caso in esame a questa regola andava dimostrata in concreto e non con il semplice assunto secondo cui “i beni di pertinenza dell’Ambasciata sono per definizione caratterizzati dalla loro immediata destinazione o al funzionamento della rappresentanza”.

“Le missioni diplomatiche non hanno solo compiti che costitutiscono esplicazioni internazionali della sovranità dello Stato estero, né i mezzi a loro disposizione possono essere tutti ritenuti strettamente inerenti a compiti di tal genere.

“Il “per definizione” appare un accoglimento di quelle teorie che invece, a nostro giudizio, non sono recepite nell’ordinamento italiano.

 

 

“P.Q.M. l’opposizione viene respinta. La particolarità della questione giuridica e l’esistenza di scarsi precedenti, peraltro neanche troppo simili (come i casi trattati nelle sentenze citate dall’opposto) inducono a compensare integralmente le spese”.

 

(1)   Sulla pignorabilità dei beni dello Stato estero.

 

L’annotata sentenza spicca nella materia, assai poco trattata in giurisprudenza, per esser la prima (a quanto risulta) a consentire l’espropriazione dei beni di uno Stato estero senza autorizzazione del Ministro di Grazia e Giustizia a causa della mancanza del decreto di reciprocità.

La materia è legislativamente disciplinata dal R.D.L. 30 agosto 1925, n. 1621 (articolo  unico convertito con modificazioni nella l. 15 luglio 1926, n. 1263 pubblicata nella G.U. 25 settembre 1925, n.223) il quale dispone che: “Non  si può procedere al sequestro o pignoramento ed in genere ad atti esecutivi su beni mobili o immobili, navi, credito, titoli, valori, e ogni altra cosa spettante ad uno Stato estero, senza l’autorizzazione del Ministro per la giustizia. 2) Le procedure in corso non possono essere proseguite senza la detta autorizzazione. 3) Le disposizioni suddette si applicano soltanto a quegli Stati, che ammettono la reciprocità, la quale deve essere dichiarata con decreto del Ministro. 4) Contro il detto decreto e contro quello che rifiuti l’autorizzazione non è ammesso ricorso né in via giudiziaria, né in via amministrativa”.

L’ultimo comma è stato dichiarato incostituzionale dalla citata sentenza C. Cost. 4-13 luglio 1963, n. 135 in riferimento all’art. 113 Cost. con la conseguenza che è ora ammessa l’impugnazione sia in sede giudiziaria che amministrativa tanto avverso i decreti ministeriali che dichiarano la reciprocità con altro Stato, quanto avverso quelli che rifiutano l’autorizzazione a procedere esecutivamente.

L’esistenza della reciprocità  è stata finora dichiara con riferimento ai seguenti Stati: Jugoslavia (D.M. 9 gennaio 1953, pubblicato nella G.U. 10 gennaio 1953, n. 70 D.M. 1 marzo 1965, in G.U. 5 marzo 1965, n. 57); in Gran Bretagna ( D.M. 30 giugno 1958, in G.U. 4 luglio 1958, n. 159); Arabia Saudita (D.M. 6 agosto 1958, in G.U. 11 agosto 1958, n. 193); Argentina (D.M. 18 maggio 1960, in G:U. 18 maggio  1960, n. 121); Ungheria (D.M. 18 maggio 1962, in G.U. 22 maggio 1962, n. 129 e D.M. 4 marzo 1953, in  G.U. 6 marzo 1963, n. 63).

In giurisprudenza, successivamente al 1963, si rinvengono e seguenti casi.

-         Cass. 30 settembre 1968, n. 3029 secondo cui: “Il giudice ordinario è carente di giurisdizione a procedere all’esecuzione forzata su beni di uno Stato estero, qualora il Ministro della Giustizia non abbia concesso l’autorizzazione prevista dal R.D.L. n. 1621 del 1925 e il ricorso avverso il provvedimento ministeriale di diniego sia stato respinto dal Consiglio di Stato”. (leggesi in Foro It., 1969, I, 962; Foro pad., 1969, I, 9 e 757, con note di Ferri; Rass. Avv. Stato, 1969, I, 938; Giust. civ., 1969, I, 1149).

-         T.A.R. Liguria 15 ottobre 1981, n. 35 secondo cui: “ Non è richiesta l’autorizzazione del Ministero di Grazia e Giustizia, ai sensi del R.D.L. 30 agosto 1925, n. 1621, per disporre l’occupazione d’urgenza di un’area di proprietà del sovrano militare ordine di Malta, in quanto la c.d. “ immunità giurisdizionale”, nei confronti degli Stati e degli enti sovrani (tra i quali è compreso anche il suddetto ordine), si riferisce ai soli negozi compiuti nell’esercizio di attività preordinate all’attuazione di finalità pubblicistiche e non anche a quelle meramente privatistiche, come avviene nel caso in cui l’ente difende la proprietà di un bene”. ( leggesi in Trib. amm. reg., 1981, I, 3640).

-         Trib. Catania 17 novembre 1983 secondo cui: “La sentenza di fallimento introduce un processo esecutivo concorsuale che, come tale, non può essere promosso nei confronti dei beni di spettanza di uno Stato estero senza l’autorizzazione del Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 1, l. 15 luglio 1926, n. 1263”. (leggesi in Dir. fall., 1984, II, 915).

In dottrina si sono specificamente occupati della materia: Amorth A., Difetto assoluto di giurisdizione e autorizzazione ministeriale per l’esperibilità di azioni esecutive nei confronti  di Stati esteri, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1970, 27; Gaja G. L’esecuzione su beni di Stati esteri: l’Italia paga per tutti?, in  Riv. dir. internaz. priv e proc., 1985, 1).

Meritano peraltro di essere ricordati due provvedimenti di sequestro conservativo emessi dalla magistratura italiana nei confronti dello Stato libico e che hanno sollevato la curiosità anche della stampa e della televisione; si tratta del provvedimento di sequestro conservativo reso dal Presidente del Tribunale di Milano in data 24 lulglio 1986 (nel procedimento rubricato presso quel Tribunale al  n. Pres. 731/86 CO-FA S.r.l. c. Stato Libico) e di quello analogo reso dal Presidente del Tribunale di Piacenza in data 10 luglio 1986 (C.F. S.p.A. c. Stato Libico).

I giudizi di convalida dei rispettivi sequestri e di merito non risultano ancora giunti a sentenza, ma è sintomatico che, anche in quelle sedi, i provvedimenti cautelativi siano stati adottati in difetto dell’autorizzazione ministeriale come si apprende dalle difese dello Stato Libico spiegate nel procedimento incidentale ex art. 683 c.p.c. non ancora pubblicate.

 

                                                                                                  Avv. Maurizio Calò