VENDITE IMMOBILIARI: CON INCANTO O SENZA?

 

                                               di Maurizio Calò

 

 

A seguito della recente abolizione delle preture, i giudici ordinari di prima istanza sono attualmente

1.        il giudice di pace, per gli affari di minore importanza,

2.        il tribunale,

ma solo al secondo sono affidate sia le esecuzioni individuali che quelle concorsuali.

I tribunali dei centri più importanti  sono divisi in sezioni individuate da numeri (la prima, la quinta, ecc.) e tra queste vi sono le sezioni delle esecuzioni individuali  e la sezione fallimentare.

·         Le sezioni delle esecuzioni individuali sono sempre due: quella delle esecuzioni mobiliari e quella delle esecuzioni immobiliari, che si distinguono per la natura dei beni sottoposti a pignoramento.

·         Presso la sezione fallimentare, invece, non vi sono distinzioni perché ciò che viene assoggettato ad esecuzione è l’intero patrimonio del debitore dichiarato fallito. In questo caso si parla di esecuzione concorsuale: il fallimento apre, infatti, il concorrere di tutti i creditori su tutti i beni dell’imprenditore dichiarato insolvente.

Pertanto, i beni immobili, come le case e i terreni, possono essere venduti, all’interno dei tribunali, solo presso la sezione delle esecuzioni immobiliari e presso la sezione fallimentare.

 

La vendita dei beni immobili

A differenza dei beni mobili, per i quali la forma della vendita può essere di vario tipo, per i beni immobili la vendita può avvenire, tanto nell’esecuzione individuale quanto in quella fallimentare, unicamente in due modi

·         la vendita con incanto 

·         la vendita senza incanto.

Poiché la legge fallimentare (Regio decreto 16 marzo 1942 n. 267, cosiddetta Legge Fallimentare – L.F.) fa riferimento alle modalità di vendita previste dal coevo codice di rito, si può dire che la disciplina dei due tipi di vendita è fissata esclusivamente negli artt. 555 e seguenti del codice di procedura civile (c.p.c.).

Tanto la vendita senza incanto (artt. 570 e segg. c.p.c.) che quella con incanto (artt. 576 e segg. c.p.c.) prevedono una gara aperta al pubblico di tutti i potenziali interessati, con esclusione del solo debitore.

Occorre chiarire, però, un punto: presso i  tribunali della Repubblica i beni immobili possono essere venduti solamente a seguito di una competizione tra coloro che presentano la domanda di partecipazione e non esiste, in nessun caso, la possibilità di una vendita a trattativa privata.

L’ordine in cui il codice di rito disciplina i due tipi di vendita, permette di affermare che, nell’esecuzione individuale, dovrebbe essere preferita la vendita senza incanto mentre, nell’esecuzione fallimentare, l’art. 108 L.F. stabilisce che la vendita debba avvenire con incanto, riservando quella senza incanto solamente ai casi in cui possa apparire più vantaggiosa e con il consenso dei creditori che hanno sull’immobile un diritto di prelazione.

La sostanziale differenza tra la vendita con incanto e quella senza incanto, consiste nel metodo di formazione del prezzo più elevato.

 

 

La vendita senza incanto

Nella vendita senza incanto (art. 570 c.p.c.), l’avviso di vendita indica il valore dell’immobile determinato a seguito della perizia di stima affidata ad un esperto secondo le previsioni dell’art. 568 c.p.c. ed ognuno, tranne il debitore, è ammesso a depositare in cancelleria un’offerta con indicazione del prezzo, del tempo e del modo del pagamento oltre ad ogni altro elemento utile alla valutazione dell’offerta stessa (art. 571 c.p.c.).

Sull’offerta il giudice sente il debitore e i creditori intervenuti, o comunque aventi diritti di prelazione e, qualora non superi di almeno un quarto il valore stimato dell’immobile, è sufficiente il dissenso di un solo creditore intervenuto per impedire l’aggiudicazione (art. 572 c.p.c.).

Nel caso di più offerte, il giudice può indire una gara prendendo a base l’offerta più alta e se la gara non può avere luogo per mancata adesione degli offerenti, si aprono, per il giudice, due alternative: aggiudicare all’offerta più alta oppure aprire l’incanto (art. 573 c.p.c.).

Se aggiudica all’offerta più alta, il giudice emette un decreto con il quale fissa le modalità e i tempi di versamento del prezzo e una volta rispettate queste condizioni, emette il decreto di trasferimento della proprietà dell’immobile (art. 574 c.p.c.).

 

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Per comprendere meglio questo meccanismo giudiziario si può fare un esempio:

l’avviso di vendita segnala che un certo immobile pignorato è stato stimato dall’esperto nominato dal tribunale 1.000 lire, e che si procederà  alla vendita senza incanto raccogliendo offerte entro una certa data, poniamo il 15 gennaio.

Ogni interessato potrà, entro questa data, depositare i cancelleria una proposta di acquisto nella quale indicherà che è disposto a versare, per esempio,  1.200 lire in due rate a distanza di sei mesi l’una dall’altra, oppure 1.100 lire in un’unica soluzione. Insomma: l’offerta senza incanto lascia ampia libertà agli offerenti di formulare proposte di acquisto secondo le loro convenienze e sarà poi il giudice, sentite le parti interessate, a valutare quale sarà la più vantaggiosa, rispetto alle altre, con facoltà di metterle anche in gara tra loro o di passare alla più tradizionale vendita all’asta.

 

Vendita con incanto

Nella vendita con incanto, invece, l’avviso indica, oltre agli altri elementi per la partecipazione, il prezzo base e la misura minima dell’aumento da apportarsi alle offerte (art. 576 c.p.c.) cosicché, nell’udienza fissata, tutti gli interessati si presentano dinanzi al giudice venendo ammessi a dichiarare i rialzi che ciascuno propone rispetto a quelli dichiarati dagli altri concorrenti.

Le offerte non sono efficaci se non superano l’offerta precedente nella misura indicata nell’avviso di vendita.

 

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Quindi, se nell’avviso d’asta il prezzo base viene indicato in 1.000 lire, con rialzi non inferiori a cinquanta lire, ogni concorrente potrà rilanciare, sul prezzo offerto dagli altri interessati, non meno di 50 lire. Nulla impedisce, però, di offrire un rialzo superiore a 50 lire.

Pertanto, se Tizio all’apertura dell’asta offre 1.050 lire, Caio potrà subito offrire 1.300 lire, ma non potrà validamente offrire 1.070 lire perché l’avviso d’asta ha stabilito che i rialzi minimi dovranno essere non inferiori a 50 lire. Al più, se Caio non vuole subito esaurire  le sue disponibilità, potrà efficacemente offrire 1.100 lire e, se Tizio rilancerà 1.150 lire, Caio potrà a sua volta offrire 1.200 lire e così via con aumenti non inferiori a 50 lire.

 

La gara termina quando siano trascorsi tre minuti dall’ultima offerta senza che ne segua un’altra maggiore (art. 571 c.p.c.) venendo così identificato l’aggiudicatario provvisorio. Questi verrà ritenuto “definitivo” qualora entro i dieci giorni successivi a quello dell’asta non pervengano in cancelleria offerte superiori di almeno un sesto al prezzo formatosi al termine della gara (art. 584 c.p.c.). Se una simile offerta non perverrà, il giudice procederà all’emissione del decreto di trasferimento (art. 586 c.p.c.), altrimenti riaprirà la gara sino ad individuare l’aggiudicatario definitivo.

 

Dal raffronto dei due metodi per l’individuazione del prezzo maggiore, appare evidente come la vendita all’asta costituisca un meccanismo più rigido rispetto alla vendita senza incanto, ma forse per questo anche più garantista. Infatti la vendita con incanto è quella che, nel tempo, è divenuta la più usuale.

E’ vero che, in tempi recentissimi, alcuni tribunali, soprattutto quelli di Monza e di Bologna, hanno riscoperto i vantaggi della vendita senza incanto e la stanno utilizzando con risultati di crescente soddisfazione, riproponendola all’attenzione dei giuristi come lo strumento più idoneo a realizzare le aspettative  dei creditori. E’ quindi prevedibile che, tra breve, la vendita senza incanto venga ad affermarsi come il principale strumento dell’esecuzione immobiliare individuale.

Nel fallimento, invece, è la legge (art. 108 L.F.) a preferire espressamente la vendita con incanto, salvo motivare i maggiori vantaggi di una vendita senza incanto che costituisce, comunque, l’eccezione alla regola fissata dalla legge.