Giurisprudenza di legittimità
 con nota di Francesco Macario [*]
CORTE DI CASSAZIONE  - Sezione I civile - sentenza 14 novembre 1996, n. 9997 - Pres. Sgroi - Est. Salmè - P.M. Martone (concl. conf.) - Sopafactor (avv. Truffi, Antonucci) c. Fall. Olivero Domenico s.r.l. (avv. Benessia, Romanelli). Conferma App. Torino 23 giugno 1993.

CESSIONE DEI CREDITI - FACTORING - CREDITI FUTURI - FALLIMENTO DEL CEDENTE - INOPPONIBILITÀ (Art. 1265, 2914  Cod. Civ.).

Per poter opporre al fallimento la cessione di crediti futuri è necessario non solo che i crediti, sorti dopo il perfezionamento della cessione siano comunque anteriori al fallimento, ma che prima di tale data siano divenuti esigibili e che siano stati singolarmente notificati o accettati dal debitore con atto avente data certa. [*]

(omissis)
Motivi della decisione 
1] Con l’unico mezzo la società ricorrente, deducendo sia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1265, 2704 e 2914  n. 2 cod. civ. e dell’art. 45 L.F., sia omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza della corte d’appello di Torino sotto diversi profili. In primo luogo, la ricorrente critica l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui, ai fini dell’opponibilità della cessione di crediti futuri al fallimento, non sarebbe stata sufficiente l’accettazione del contratto di cessione, ma sarebbe stata necessaria l’accettazione della cessione dei singoli crediti, via via che venivano ad esistenza. Tale opponibilità, prevista dall’art. 2914 n. 2 cod. civ., applicabile anche al fallimento, richiede infatti soltanto il verificarsi di due presupposti: l’accettazione o la notifica del contratto di cessione e il sorgere dei crediti ceduti in data anteriore alla dichiarazione di fallimento. La circostanza che l’effetto traslativo della cessione di crediti futuri si verifichi al momento in cui i crediti vengono ad esistenza, non comporta che debba essere anche notificato o accettato il verificarsi di tale effetto traslativo. Nella specie, l’approvazione della cessione dei crediti che sarebbero nati dal contratto tra la Olivero e la Grassetto era stata accolta con lettera del 27 novembre 1987, con la quale la società debitrice ceduta aveva comunicato alla cessionaria Sopafactor di accettare la cessione. Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata la lettera aveva data certa perché il timbro postale era stato apposto sul foglio che formava corpo unico con la scrittura di accettazione. 
In secondo luogo la ricorrente censura l’affermazione secondo la quale la lettera in data 27 aprile 1989, di Grassetto a Sopafactor, non poteva costituire accettazione della cessione dei crediti sorti anteriormente, per l’estraneità del contenuto della lettera stessa al contratto di cessione, solo genericamente richiamato nell’oggetto della missiva. 
Con il terzo profilo si critica il rigetto della domanda proposta nei confronti della Grassetto, relativamente alle somme dovute come saldo, affermando che erroneamente la corte territoriale aveva ritenuto che era stata proposta azione di condanna, mentre era stata proposta azione di accertamento. L’errore sarebbe derivato dall’avere la corte confusa la domanda di Sopafactor con quella del fallimento, errore confermato dalla utilizzazione degli stessi argomenti con i quali il tribunale aveva respinto quest’ultima domanda.
2] Il ricorso è infondato.
È principio pacifico che l’art. 2914, n. 2 cod. civ., che prevede l’inefficacia nei confronti del creditore pignorante e di quelli intervenuti nell’esecuzione delle cessioni di credito notificate al debitore o da lui accettate successivamente al pignoramento, opera anche in ipotesi di fallimento del cedente (sent. 9650/90 [1], 1413/96 [2]). È del pari orientamento costante di questa Corte che, nonostante la citata disposizione non preveda espressamente la notificazione o l’accettazione con atto avente data certa, tale requisito debba sussistere, quanto meno in applicazione analogica dell’art. 1265 cod. civ. (sent. 3657/84[3], 1355/85 [4], 2608/87 [5]). Ora il problema posto dalla presente controversia, una volta accertato che la ricorrente non ha impugnato l’affermazione della sentenza circa la mancanza di data certa della comunicazione della cessione, è quello di verificare se, in caso di cessione di crediti futuri, per l’opponibilità al fallimento sia sufficiente l’accettazione o la notifica, avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, della cessione, o non sia anche necessaria una accettazione o notifica, sempre avente data certa, di ciascun credito, successivamente al suo sorgere.
Il problema impostato non ha ovviamente nulla a che fare con quello della validità della cessione dei crediti futuri tra le parti, ormai ammessa pacificamente nella giurisprudenza di questa Corte (a partire dalle sent. 1277/62[6], 184/66[7], 1209/66[8] alle più recenti 3099/95[9], 8497/94[10], 11516/93[11], 4040/90[12]) e oggetto di esplicita disciplina legislativa (art. 3, legge n. 52 del 1991), né con quello della individuazione del momento in cui si determina l’effetto traslativo, essendo altrettanto pacifico che tale effetto si produce soltanto quando il credito viene effettivamente ad esistenza e che pertanto la cessione di cui si discute, a differenza di quella di crediti già esistenti, ha effetti meramente obbligatori. 
La questione che si pone è invece quella della opponibilità della cessione di crediti futuri rispetto ai terzi, questione che la sentenza impugnata ha risolto nel senso della insufficienza della notifica e della accettazione del solo contratto di cessione. Tale conclusione deve essere sostanzialmente condivisa, tenendo presente che nella specie, come risulta dal ricorso (…), la cessione dei crediti futuri si inseriva in un’operazione di factoring, perfezionatasi attraverso la sottoscrizione di un “contratto-quadro”, in attuazione del quale la Olivero aveva proceduto alla “segnalazione” del debitore ceduto e a ulteriori cessioni. 
Non è certamente decisiva per la soluzione del problema la lettera dell’art. 1265 cod. civ., che prevede la notifica o l’accettazione della “cessione”, perché è evidente che il legislatore non ha tenuto presente la fattispecie della cessione di crediti futuri (oggetto di elaborazioni giurisprudenziali e dottrinarie di epoca successiva alla elaborazione del codice) ad effetti meramente obbligatori, ma la cessione di crediti già esistenti, cha ha immediata efficacia traslativa, onde notifica e accettazione della cessione coincidono con la trasmissione o l’acquisizione della conoscenza del credito. Occorre piuttosto tenere presente la ratio dell’art. 1265 (e dell’art. 2914, n. 2), che, nel disciplinare l’opponibilità della cessione, al fine di risolvere i conflitti tra i terzi, richiede il requisito della certezza della data della notifica e dell’accettazione, per contemperare le esigenze di facile circolazione dei crediti con quella di tutela dei terzi. Entrambe le esigenze sarebbero del tutto frustrate se fosse seguita la tesi della ricorrente che difatti è costretta ad ammettere che, per accertare quali crediti siano venuti ad esistenza prima del pignoramento (o del fallimento), occorrerebbe affidarsi alla dichiarazione del debitore ceduto o alle scritture contabili del fallito, e, in caso di contestazione, all’accertamento giudiziario. Deve in conclusione ritenersi che per poter opporre al fallimento la cessione di crediti futuri, sia necessario non solo che i crediti, sorti dopo il perfezionamento della cessione, siano comunque anteriori al fallimento, ma che prima di tale data siano divenuti esigibili (sent. 11516/93[13]; il che, per altro verso, richiama l’esigenza di una loro specifica notifica o accettazione ex art. 1264 cod. civ.) ed anche che siano stati singolarmente notificati o accettati dal debitore con atto avente data certa.
Né la tesi accolta può essere accusata di eccessivo formalismo, sol che si pensi che nella pratica contrattuale del factoring, nel cui ambito si inquadra la presente fattispecie, è largamente diffusa la pattuizione che obbliga il cedente a trasmettere al (factor) cessionario le copie delle singole fatture o degli altri documenti probatori dei crediti, a mano a mano che sorgono, con la prova della avvenuta specifica comunicazione al debitore della avvenuta cessione del credito di cui si tratta e quindi della esclusiva legittimazione del (factor) cessionario a ricevere il pagamento. (omissis)

Fallimento ed opponibilità della cessione di crediti futuri
di F. Macario
[* - torna su alla massima] La massima, ripresa testualmente dal decisum, si segnala per la novità della questione sottoposta all’esame della Cassazione, benché la fattispecie sembri rientrare in una prassi negoziale piuttosto diffusa. Dalla sentenza risulta, infatti, che la cessione dei crediti futuri si inseriva in un’operazione di factoring, perfezionatasi con la sottoscrizione di un “contratto-quadro - si riporta l’espressione della Corte - in attuazione del quale la Olivero (si legga: la società cedente poi fallita) aveva proceduto alla segnalazione del debitore ceduto e a ulteriori cessioni”. La linearità della vicenda - si direbbe, il suo carattere quasi standard, se si prescinde da qualche trascurabile specificità del caso - non trova, tuttavia, riscontro nella ratio decidendi, poiché la convinzione dell’insufficienza della notifica e/o dell’accettazione avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento “del solo contratto di cessione” - è il completamento implicito della massima riprodotta-, ai fini dell’opponibilità al fallimento del diritto del cessionario sui crediti futuri, viene raggiunta dalla Suprema Corte sulla scorta di riferimenti ad assunti teorici, oltre che ad orientamenti giurisprudenziali, che inducono a sollevare qualche perplessità in ordine alla congruenza con il caso di specie. 
Sfrondata preliminarmente la vicenda dai dubbi circa la validità dell’operazione posta in essere dalle parti, grazie al placet conferito dalla Cassazione alla cessione dei crediti futuri - in realtà, già oltre un trentennio addietro[1] e confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità più recente [2] -, la Corte ha cura di precisare che il problema dell’opponibilità non va confuso con “quello della individuazione del momento in cui si determina l’effetto traslativo - così testualmente la decisione -, essendo altrettanto pacifico che tale effetto si produce soltanto quando il credito viene effettivamente ad esistenza”, con la conseguenza, si aggiunge, che la cessione avrebbe effetti meramente obbligatori. Nondimeno, la Cassazione sembra far discendere l’inopponibilità della cessione (quanto ai crediti inesigibili alla data della dichiarazione di fallimento) dall’efficacia obbligatoria della cessione. In altri termini, si ritiene che il curatore possa disconoscere l’efficacia dell’atto di disposizione compiuto dal cedente anteriormente alla dichiarazione di fallimento, adducendo l’inattuazione dell’effetto traslativo relativamente a singoli crediti oggetto della cessione globale e così evitando, di fatto, il ricorso all’azione revocatoria. 
A parte ogni altra considerazione sulla congruità di una soluzione giuridica che finisce per creare una vistosa ed ingiustificata zona franca nel sistema della tutela avverso gli atti in frode ai creditori (sistema impostato sulla centralità dell’azione revocatoria nella disciplina dell’inefficacia degli atti di disposizione ex art. 67 L.F.), la decisione in esame appare influenzata da un’aprioristica assimilazione dei concetti di esistenza e di esigibilità del credito oggetto di cessione. Al contempo, nella sentenza viene in gioco una concezione dell’atto di disposizione del diritto che va necessariamente a confluire, quasi confondendosi, nell’effetto traslativo del contratto; sicché, non verificandosi quest’ultimo, anche gli effetti dell’atto di disposizione non si produrrebbero (determinandosi la situazione che si definisce di inopponibilità). Infine, la ricostruzione della vicenda in termini di efficacia meramente obbligatoria della cessione, secondo un modello giurisprudenziale standardizzato e riprodotto nelle massime [3], sembrerebbe implicare la permanenza della titolarità del diritto oggetto dell’atto di disposizione in capo al cedente, ovvero il ‘transito’ della titolarità attraverso il cedente prima che l’acquisto si consolidi sul cessionario, nonostante quest’ultimo abbia il titolo formale (cioè il contratto di cessione) che gli consente di far valere la sua posizione soggettiva di creditore nei confronti sia del debitore, sia dei terzi.
Le perplessità sulla ratio decidendi, succintamente espressa con il riferimento agli artt. 1265 e 2914, n. 2 cod. civ., nascono dalla considerazione della piena (ed indiscussa) legittimità ed operatività nel nostro ordinamento di tutte le forme attraverso le quali si manifestano i contratti sui beni futuri [4] e dalla constatazione che, in un’economia in cui, ormai da tempo, il trasferimento della ricchezza si fonda sul “primato del credito”[5], gli atti di disposizione sul patrimonio futuro non possono essere assoggettati a soluzioni interpretative esclusivamente formali (per non dire formalistiche), inidonee ed anzi di ostacolo alla costruzione della nuova sistematica delle regole sulla circolazione dei diritti. 
Si comprende allora come la tralaticia affermazione dell’efficacia meramente obbligatoria della cessione dei crediti futuri [6] non contribuisca molto a risolvere i problemi dell’opponibilità della cessione al fallimento del cedente, se solo si considera che, in generale, la normativa sugli effetti (reali/obbligatori) del contratto traslativo [7] ha per oggetto in primo luogo il regime del rischio (ciò è chiarissimo se si considera la norma sui contratti ad effetti reali ex art. 1376 cod. civ.), ovvero la regolamentazione del rapporto fra le parti (come accade nei diversi casi di vendita obbligatoria: di cose generiche, di cosa altrui, di cosa futura sino all’ipotesi estrema in cui rileva anche l’attività di costruzione del venditore) e non la disciplina dell’opponibilità dell’acquisto nei confronti dei terzi aventi causa del venditore. Ne consegue che l’opponibilità al fallimento del cedente della cessione non può essere esaminata guardando soltanto al momento in cui si producono gli effetti traslativi della cessione fra le parti del contratto. Da un altro punto di vista, si potrebbe ritenere che se in sede fallimentare si rilevano decisivamente la mancata esecuzione del contratto, ovvero la sua pendenza al momento della dichiarazione di fallimento, è tutto da dimostrare che l’alienazione di diritti futuri (fra i quali, evidentemente, anche i crediti), rientri fra i contratti ineseguiti, al fine di consentire al curatore di decidere se rimanere vincolato o sciogliersi dal vincolo (obbligatorio) instaurato dalla cessione. L’automatismo dell’effetto traslativo che si determina con la venuta ad esistenza del bene, ovvero - per seguire le affermazioni della giurisprudenza in materia di cessione dei crediti - con il sorgere del diritto (nel caso in esame, l’esigibilità del credito) dovrebbe escludere che il contratto di cessione possa essere assimilato ai contratti in corso di esecuzione, dal momento che il cedente ha, in realtà, ben poco da aggiungere all’atto di disposizione già posto in essere con la cessione in ordine al trasferimento del diritto. 
Né il tentativo di ricostruire in termini unitari l’operazione di factoring riconducendola ad un “contratto-quadro”[8], nel quale si inserirebbero le singole cessioni man mano che i crediti divengono esigibili, può giungere a sovvertire l’automaticità dell’acquisto della titolarità dei crediti futuri da parte del cessionario, poiché si finirebbe, in caso contrario, per proporre implicitamente un modello giuridico in cui l’attività delle parti successiva all’atto di disposizione si sostanzia in una nuova negoziazione sul diritto già oggetto della cessione ogni volta che i singoli crediti divengono esigibili (e quindi può procedersi concretamente all’accettazione o alla notifica con atto avente data certa). È evidente che, procedendo rigorosamente su questa linea, si potrebbe svuotare di consistenza la proclamata ammissibilità e liceità della cessione dei crediti futuri, cui la Cassazione ha assimilato (proprio per ammetterne la validità in via analogica) la cessione dei crediti anche soltanto “sperati” (riconoscendosi, tuttavia, che, in quest’ultimo caso, la situazione obbligatoria non poteva dirsi attuale, ma eventuale) [9]. Se l’acquisto del cessionario è certamente a titolo derivativo ed è ricollegabile all’atto di disposizione del cedente, non si può negare che quest’ultimo abbia esaurito con l’atto di cessione le sue facoltà di disposizione del diritto, di modo che il trasferimento si configura come conseguenza automatica della maturazione del credito (che la giurisprudenza insiste nel definire “venuta ad esistenza”, quasi a voler mantenere una sorta di simmetria concettuale fra la materialità dell’esistenza del bene, ovvero della “cosa futura”, ex art. 1478 cod. civ. e l’esigibilità del credito ceduto anteriormente alla sua maturazione). La cessione si esaurisce dunque nell’atto originario, senza che sia affatto necessario ipotizzare un artificioso passaggio della titolarità del credito attraverso il cedente, prima che il cessionario possa dirsi titolare (e disporre, quindi, legittimamente del diritto). 
Non vale a modificare la sostanza del ragionamento l’incertezza sulla qualificazione della situazione giuridica del cessionario, astrattamente ricostruibile in termini di aspettativa (cui comunque accederebbero diritti e poteri di disposizione), ovvero facendo ricorso al concetto di formazione successiva della fattispecie (traslativa) o ancora in chiave di diritto sospensivamente condizionato[10]. In realtà, se si vuole cercare di esaminare il problema dell’opponibilità della cessione dei crediti futuri in una prospettiva sistematica, più che alle astrazioni delle categorie giuridiche, è necessario far ricorso alle norme positive e, in primo luogo, alla disciplina della cessione dei crediti d’impresa, che, insieme ad altre disposizioni codicistiche, possono aiutare a ricomporre un quadro in un certo senso omogeneo degli effetti degli atti dispositivi dei diritti di credito a scadere. Può convenirsi allora su quanto afferma, per la verità in termini piuttosto apodittici, la sentenza in ordine alla mancata previsione dell’ipotesi relativa ai crediti futuri negli artt. 1260 segg. cod. civ. per non avere (forse) il legislatore del 1942 avuto presente la fattispecie, ma non si può accogliere la commistione che la sentenza stessa propone fra la prassi della trasmissione delle copie delle singole fatture (o altri documenti probatori dei crediti) e l’efficacia (in termini di opponibilità al fallimento) delle cessioni soltanto se la notifica o l’accettazione ha per oggetto i singoli crediti e avviene soltanto dopo che questi siano divenuti esigibili. È ovvio, infatti, che le esigenze della prassi commerciale, relativamente alla trasmissione dei documenti relativi ai singoli crediti, non possono incidere sul regime della circolazione del diritto e sull’individuazione della cessione, quale momento in cui si realizza la facoltà di disposizione del cedente. 
In tal senso, a parte la constatazione che, in termini generali, la legge 21 febbraio 1991, n. 52 ha, fra le sue finalità primarie, quella di adeguare la disciplina della cessione dei crediti alle tecniche contrattuali da tempo in uso per il trasferimento dei diritti relativi a crediti globalmente intesi (e quindi anche futuri), si deve notare che l’art. 7 della stessa legge prevede espressamente che il curatore possa recedere dalle cessioni stipulate dal cedente, limitatamente ai crediti non ancora sorti alla data della dichiarazione di fallimento. Da cui si desume che, in mancanza del recesso, la cessione è pienamente opponibile. Ed un ulteriore dato normativo significativo può essere rinvenuto nell’art. 2918 cod. civ., secondo il quale la cessione di pigioni e fitti non ancora scaduti per un periodo eccedente i tre anni non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante, se non sono trascritti anteriormente al pignoramento. La norma, già applicata dalla giurisprudenza alla materia fallimentare [11], impone il rispetto del requisito più tipico per l’opponibilità degli atti di disposizione, cioè la trascrizione anteriore al pignoramento e in un certo senso conferma che, una volta stabilito un limite temporale a tutela dei creditori, l’ordinamento non impedisce al cessionario di far valere, nei confronti del fallimento, il diritto che si può assumere come definitivamente acquistato dal patrimonio del cedente. 
Il discorso dovrebbe svolgersi, dunque, soltanto sull’efficacia dell’atto di cessione, ovvero sulla “cessione”, che, in quanto opponibile ai terzi ai sensi dell’art. 1265 cod. civ., può essere impugnata dal curatore se ricorrono gli elementi dell’azione revocatoria (secondo la disciplina ordinaria, ovvero secondo le disposizioni speciali della L. 55/1991). Il pregiudizio da superare sembra perciò relativo essenzialmente all’identificazione dell’esigibilità del credito con la sua esistenza. Ma come hanno notato sia la dottrina [12], sia la giurisprudenza [13], l’inesigibilità (che può dipendere da diversi fattori, fra i quali anche la semplice scadenza dei crediti secondo un piano previsto dalle parti del rapporto sostanziale sottostante) è cosa diversa dall’inesistenza del credito e certo non comporta il disinteresse dell’ordinamento per la posizione soggettiva del titolare (come dimostra la previsione esplicita dell’ammissibilità dell’azione revocatoria ordinaria, anche se il credito è sottoposto a condizione o termine, ex art. 2901 cod. civ.). 
Infine, per chi preferisca adottare una prospettiva di taglio più teorico-sistematico, la sentenza riportata indurrebbe a riflettere sulla necessità di tenere ben distinti i concetti di oggetto dell’atto (di disposizione), oggetto del rapporto (fra le parti del contratto, cedente e cessionario) e oggetto del diritto (di proprietà o garanzia). Sotto il primo profilo, la considerazione del credito quale oggetto dell’atto di cessione può aiutare a risolvere i problemi della validità del contratto (secondo le note regole generali sulla determinabilità dell’oggetto, ovvero della liceità in linea generale della negoziazione avente ad oggetto le “cose future”[14]; ma, in questa luce, l’oggetto della cessione può rilevare ai fini dell’efficacia o inefficacia dell’atto di disposizione ex art. 67 L.F. [15]. Sotto il secondo profilo, invece, rilevano le caratteristiche intrinseche del credito oggetto della cessione ed è necessaria perciò la sua concreta individuazione (il che presuppone la singolarità del credito all’interno del rapporto fra le parti del contratto), ai fini, ad esempio, dell’applicazione del regime delle eccezioni, ovvero delle garanzie circa la solvibilità del debitore. Infine, la considerazione del credito ceduto che si è voluto definire come “oggetto del diritto” (nel senso, sia della titolarità del credito, sia del diritto reale di garanzia e quindi dell’efficacia della causa di prelazione) evoca i conflitti fra più aventi causa dallo stesso cedente (e, quindi, il regime delle notificazioni o comunque delle forme di pubblicità degli atti di disposizione), ma v’è motivo di sollevare qualche dubbio sulla ricomprensione del curatore fra i terzi titolari di diritti in conflitto con i precedenti aventi causa dal cedente. La necessità di fare chiarezza fra i diversi ordini di problemi è evidente, al fine di non seguire la ratio della disciplina dettata per la soluzione di un certo tipo di conflitto nella decisione di una controversia del tutto diversa. 
Non sono, pertanto, chiamate in causa solo le nuove caratteristiche della circolazione della ricchezza mobiliare, che impongono la revisione di taluni pregiudizi di carattere prettamente teorico, ma la stessa sistematica dell’ordinamento che, modificandosi con la regolamentazione di fattispecie ignote al legislatore del codice civile, induce a ricercare, per i conflitti in materia di trasferimento dei crediti, ed in particolare dei crediti futuri, soluzioni giuridiche consone agli interessi concretamente in gioco.


Note della sentanza

[1] In Foro it., Rep. 1991, voce “Concordato preventivo”  n. 111; -torna al testo della sentenza

[2] id. -torna al testo della sentenza

[3] id., Rep. 1985, voce “Fallimento”, n. 272; -torna al testo della sentenza

[4] id., n. 276; -torna al testo della sentenza

[5] id., Rep. 1987, voce “Esecuzione per obbligazioni pecuniarie”, n. 19-24; -torna al testo della sentenza

[6] id., Rep. 1962 voce “Fallimento”, n. 384 -torna al testo della sentenza

[7] id., 1966, I, 1307; -torna al testo della sentenza

[8] id., Rep. 1966, voce “Cessione di crediti”, n. 1; -torna al testo della sentenza

[9] id., Rep. 1995, voce cit., n. 9;-torna al teso della sentenza

[10] id., n. 11; -torna al teso della sentenza

[11] id., 1994, I, 3126; -torna al testo della sentenza

[12] id., 1991, I, 44; -torna al testo della sentenza

[13] Foro it., 1994, I, 3126. -torna al testo della sentenza


Note dell'annotazione a sentenza

[1] Cfr. Cass. 10 gennaio 1966, n. 184, in Foro it., 1966, I, 1307, in un caso in cui la Corte di cassazione affrontava il problema delle eccezioni opponibili dal debitore al cessionario del credito futuro, risolvendolo nel senso della possibilità di eccepire quanto il debitore avrebbe potuto opporre al cedente, ivi inclusa l’inesigibilità del credito. -torna al testo del commento

[2] Cfr. Cass. 22 novembre 1993, n. 11516, in Foro it., 1994, I, 3126, nonché Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, in Foro it., 1991, I, 2490, con nota di Simone. -torna al testo del commento

[3] Cfr., fra le più recenti, Cass. 17 marzo 1995, n. 3099, in Foro it., Rep. 1995, voce Cessione dei crediti, n. 9, che così viene presentata: “La natura consensuale del contratto di cessione di credito importa che esso si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ma non importa, altresì, che al perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento del credito dal cedente al cessionario; così, nel caso in cui oggetto del contratto di cessione sia un credito futuro, il trasferimento del credito dal cedente al cessionario si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza; prima di allora il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatoria”. -torna al testo del commento

[4] Cfr., per tutti, la ricostruzione prospettata da Furgiuele, Vendita di “cosa futura” e aspetti di teoria del contratto, Milano, 1974; nonché, in epoca precedente, ma di particolare consistenza sistematica, Perlingieri, I negozi sui beni futuri. I. La compravendita di “cosa futura”, Napoli, 1962.-torna al testo del commento

[5] V. Schlesinger, Il “primato” del credito, in Riv. dir. civ., 1990, I, 825, il quale fa riferimento ai diversi fenomeni che caratterizzano gli scambi nella nostra epoca e che attengono: a) allo spostamento della ricchezza dal momento statico del godimento dei beni a quello dinamico dell’attività d’impresa; b) al crescente rilievo delle attività finanziarie (definite in termini di beni di “secondo grado”); c) alla terziarizzazione della società incentrata sui servizi; d) all’indispensabilità per le imprese di fondarsi sul credito per poter operare. -torna al testo del commento

[6] L’affermazione in sede di giurisprudenza di legittimità della “efficacia meramente obbligatoria”, esemplificata nella massima di Cass. 3099/1995, cit. [n. 3], è ripresa dai giudici di merito con riferimento sempre ad operazioni di factoring (cfr., ad esempio, Trib. Torino, 21 novembre 1994, in Dir. fallim., 1995, II, 881; Trib. Bari, 31 ottobre 1987, in Giur. pugliese, 1995, 77; implicitamente, parrebbe, Trib. Genova, 16 maggio 1994, in Contratti, 1994, 561; in epoca più risalente, v. Trib. Ancona, 22 febbraio 1980, in Giur. comm., 1981, II, 129). Per una panoramica, si veda anche Solavagione, “La cessione dei crediti futuri e il momento traslativo dei crediti”, in Riv. it. leasing, 1990, 186, in nota a Trib. Milano, 16 ottobre 1989, che ha affermato la validità della cessione relativamente ai crediti futuri in quanto la determinabilità era assicurata dal riferimento ai rapporti continuativi tra cedente e ceduto. -torna al testo del commento

[7] Sul significato del principio consensualistico e sulla sua concreta operatività, con riferimento alle diverse ipotesi, fra le quali è considerata anche la cessione dei crediti, cfr. Sacco, in Sacco e De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, I, 1993, 718 e spec. 739 segg.. -torna al testo del commento

[8] V., fra le opere più recenti, Calzolaio, Il factoring in Europa, Milano, 1997; nonché, per una serie di contributi attinenti alla materia fallimentare, Aa. vv. La cessione dei crediti d’impresa, a cura di Tatarano, Napoli, ESI, 1995. -torna al testo del commento

[9] Cfr. Cass. 8 maggio 1990, n. 4040, in Foro it., 1991, I, 44, con riferimento ai contributi promessi da un comune ad un’associazione sportiva e da quest’ultima ceduti ad una banca. -torna al testo del commento

[10] Per un’attenta analisi  del problema, cfr. il risalente, ma ancora significativo studio di Mancini, La cessione dei crediti futuri a scopo di garanzia, Milano, 1968, spec. 55 seg.. Più di recente, cfr. Bianca, “La vendita e la permuta”, in Trattato di diritto civile, diretto da Vasalli, tomo 1, Torino, 1993, 375, nonché Luminoso, Contratti tipici e atipici, in Trattato di diritto privato, diretto da Zatti e Iudica, Milano, 1995, 316s. -torna al testo del commento

[11] Cfr. Cass. 9 dicembre 1966, n. 2884, in Foro it., 1967, I, 249, che affrontava un problema di interpretazione della vendita giudiziale, consistente nell’accertare se questa comporti il diritto dell’acquirente di appropriarsi dei canoni di locazione oggetto di precedente cessione. -torna al testo del commento

[12] Cfr. ad esempio Perlingieri, “Cessione dei crediti”, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, 13, nonché Cessione del credito ed eccezione di inesigibilità, in Riv. dir. civ., 1967, II, 502.-torna al testo del commento

[13] Cfr. App. Milano, 18 maggio 1976, in Giur. merito, 1979, 359, in tema di cessione del corrispettivo dell’appaltatore già liquidato, benché da riscuotere a rate (ai singoli stadi di avanzamento), ritenuto dai giudici milanesi credito attuale e non futuro. -torna al testo del commento

[14] Cfr., ad esempio, Trib. Torino, 8 marzo 1995, in Giur. it., 1995, I, 2, 816, con riferimento alla clausola contrattuale che estende la garanzia pignoratizia a tutti i crediti, anche se futuri ed eventuali; ed ancora Trib. Torino, 1 giugno 1991, in Giur. it., 1993, II, 336, in una nota vicenda in tema di pegno su CCT non ancora emessi. -torna al testo del commento

[15] In giurisprudenza, ad esempio, si trova l’affermazione che la revocabilità ex art. 67 L.F. concerne l’atto di cessione “e non gli effetti differiti nel tempo che il negozio ha determinato” in Trib. Napoli, 26 settembre 1984, in Fallimento, 1985, 537, e App. Palermo, 24 gennaio 1989, in Temi siciliani, 1989, 383, ha affermato che “può essere assoggettato a revocatoria l’atto di cessione, ma non l’atto di adempimento, di crediti futuri, effettuato allorché già esista il rapporto da cui i crediti nasceranno”. -torna al testo del commento


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